Giustizia Riparativa: le Sezioni Unite escludono l’impugnazione del diniego

Le Sezioni Unite della Suprema Corte, chiamate a pronunciarsi sulla questione «se, per quali motivi e in quali ipotesi sia ricorribile per cassazione il provvedimento con cui il Giudice del merito rigetta la richiesta di invio al Centro per la Giustizia Riparativa di riferimento per l’avvio di un programma di Giustizia Riparativa ai sensi dell’art. 129-bis C.P.P.», sulla quale erano ravvisabili nelle decisioni almeno tre indirizzi, hanno ritenuto non impugnabile l’Ordinanza di diniego se non unitamente alla sentenza.

Mercoledi 5 Novembre 2025

Invero, sin dalle prime applicazioni della nuova disciplina organica sulla Giustizia Riparativa, introdotta dal D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, erano sorti diversi orientamenti interpretativi sulla impugnabilità della Ordinanza di rigetto della istanza di accesso ai programmi riparativi ex art.129-bis C.P.P.

Un primo orientamento in materia era emerso, da parte della Corte di legittimità, con la sentenza Cass., Sez. III,7 giugno 2024, n. 33152, condiviso da una più recente decisione della Prima Sezione della Corte del 21 novembre 2024 n.8400.

La decisione ammetteva l’impugnazione, ai sensi dell’art. 586, co.1, C.P.P. dell’Ordinanza di rigetto «emessa durante il compimento degli atti preliminari o nel corso del dibattimento (ovvero nel corso del giudizio di appello)»purché «tale richiesta risultasse avanzata dall’imputato e riguardasse reati procedibili a querela suscettibili di remissione, trattandosi del solo caso in cui il suo eventuale acco-glimento determinava la sospensione del processo».

Di particolare interesse appariva, sul punto, la distinzione operata dalla Corte con i reati procedibili di ufficio o a querela non soggetta a remissione.

La Corte aveva motivato la decisione affermando che, «posto che nulla impedisce all’interessato di attivarsi autonomamente per accedere al programma di Giustizia Riparativa, l’intervento del Giudice […] non rappresenta né una condizione necessaria per l’acquisizione di diritti né sufficiente».

Inoltre, la circostanza attenuante ex art. 62, n. 6, C.P., come modificata dal D.lgs. n.150, «non risultava correlata alla decisione dello invio di cui all’art. 129-bis cit., posto che: a) l’interessato non aveva alcuna necessità dell’Ordinanza del Giudice per attivarsi al fine di accedere a programmi di Giustizia Riparativa; b) il mero invio non elidea la discrezionalità dei Mediatori incaricati nel ritenere non fattibile il programma».

La tesi espressa nella sentenza, innanzi citata, si affiancava, comunque, ad almeno altri due indirizzi emersi nella giurisprudenza di legittimità.

Il primo, sviluppatosi sin da subito, riteneva inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di cui all’art. 129-bis C.P.P. atteso che lo stesso non avrebbe natura giurisdizionale (Cass., Sez. II,7 novembre 2024, n. 46018; Cass., Sez. III,4 giugno 2024, n. 24343; Cass., Sez. II,12 dicembre 2023, n. 6595).

Il secondo si era delineato con la sentenza Cass., Sez. V,26 novembre 2024,n. 131 e confermato da una recente decisione della Terza Sezione (Cass., Sez. III, ud. 26 febbraio 2025) secondo cui era stata ritenuta ricorribile, ai sensi dell’art. 586 C.P.P.unitamente alla sentenza che definisce il grado di giudizio, «l’Ordinanza reiettiva della richiesta di accesso ai programmi di Giustizia Riparativa pronunciata dal Giudice su istanza dell’imputato, senza alcuna distinzione tra reati procedibili a querela suscettibile di remissione e reati procedibili d’ufficio» (così, Cass., Sez. V,26 novembre 2024, n. 131, cit.).

Veniva così superata la limitazione dell’impugnativa, affermata con la sentenza innanzi citata, ai soli reati perseguibili a querela suscettibile di remissione poiché si era ritenuto che colui che impugna il provvedimento fosse tenuto a «dedurre contestualmente l’interesse alla attenuazione del trattamento sanzionatorio, come possibile conseguenza dell’esito del programma di Giustizia Riparativa» (Cass., Sez. III, ud. 26 febbraio 2025 cit.).

Dopo la rimessione alle SS UU della decisione su un punto fondamentale della Giustizia Riparativa, introdotta dalla Riforma Cartabia, con la sentenza depositata il 30 ottobre 2025, hanno risposto al quesito contenuto nell’Ordinanza del 29 Marzo 2025 affermando che “il provvedimento del Giudice di merito di rigetto della richiesta di invio al Centro per la Giustizia Riparativa per l’avvio di un programma di Giustizia Riparativa è impugnabile solo con l’appello o con il ricorso per cassazione unitamente alla sentenza conclusiva del relativo grado e indipendentemente dal regime di procedibilità del reato”.

In attesa di leggere i contenuti della pur importante decisione, dal CS emanato dalla Corte scaturisce quanto segue (v. commento P. Maggio e V. Virga, L’impugnabilità del diniego, in Riv Sistema Penale 31 Ott 025)

La Corte afferma, anzitutto, che la questione interpretativa, benché limitata all’aspetto della reclamo avverso l’Ordinanza ex art.35-bis dello Ord. Pen., era stata già affrontata dalla Magistratura di Sorveglianza che si era espressa in favore dell’impugnabilità del provvedimento con cui si negava l’autorizzazione all’invio del condannato ai Centri di G.R., posto che, nella fase esecutiva, secondo la l’articolo citato, è sempre ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge avverso la decisione del Tribunale di Sorveglianza.

Per contro, molto più problematica era apparsa l’impugnazione della Ordinanza di diniego ex art. 129-bis C.P.P. emanata nel giudizio ordinario.

Le SS UU hanno ricordato i diversi orientamenti della varie Sezioni sulla delicata materia, come sopra meglio evidenziati in base alle sentenze ivi indicate.

Un primo orientamento di legittimità aveva negato ogni possibilità di impugnazione (sia differita sia autonoma con ricorso per cassazione) dell’Ordinanze con cui il Giudice aveva rigettato l’istanza di invio degli interessati ai Centri di GR facendo leva sulla natura non giurisdizionale del procedimento riparativo, nonostante la Dottrina sostenesse il contrario.

L’esclusione era stata motivata sulla base del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, desumibile dall’art. 568 C.P.P. ma anche in base alla non riconducibilità dell’atto emanato, ai sensi dell’art. 129-bis C.P.P. nel novero dei provvedimenti che rientrano nel campo di operatività dell’art. 111, co. 7, della Costituzione.

Per contro, un secondo indirizzo interpretativo, che sarebbe quello accolto dalle Sezioni Unite, aveva ritenuto lo stesso provvedimento come «atto del procedimento/processo avente natura endoprocedimentale che, in mancanza di una disciplina normativa specifica, soggiaceva alla regola generale dell’impugnabilità ai sensi dall’art. 586 C.P.P. delle Ordinanze emesse sia negli atti preliminari che nel del giudizio di appello, insieme all’impugnazione della sentenza del giudizio così escludendo un’autonoma impugnazione dopo la emissione con palese pregiudizio dei benefici riflessi sulla pena derivanti da un provvedimento di accoglimento della istanza avanzata dall’imputato e dall’esito favorvole del programma riparativo.

Infine, un terzo orientamento propendeva per l’impugnazione del provvedimento di rigetto dell’istanza solo nei casi in cui . la richiesta risultasse proposta dall’imputato nei casi di reati perseguibili su querela rimettibile della persona offesa e sul presupposto che detta Ordinanza potesse ritenersi giuridicamente influente sull’esito del processo.

In conseguenza, la Suprema Corte aveva subordinato l’impugnabilità differita del rigetto alla realizzazione di un risultato «giuridicamente rilevante sull’esito del processo», sebbene configurabile solo per gli illeciti a procedibilità condizionata, per i quali la Legge prevede la sospen sione del procedimento per un periodo massimo di 180 giorni ex art. 129-bis, co. 4, C.P.P.

Negli altri casi di reati procedibili ex officio e a querela non rimettibile, invece, ritenere che l’Ordinanza di rigetto possa influire sull’esito del giudizio, secondo la Corte, significherebbe introdurre, di fatto, un obbligo di sospensione non previsto dalla normativa né da alcuna altra norma di legge né tantomeno ricavabile in via interpretativa, come, al contrario, era stato sostenuto dalla Dottrina prevalente (NdR)

In forza dell’evidente contrasto delle decisioni emanate, la Quinta Sezione della Corte con l’Ordinanza n. 14833/2025 aveva rimesso la questione alle Sezioni Unite.

Dalla decisione assunta, emergerebbe che sia stata superata dalle SS UU la tendenza a considerare la Giustizia Riparativa come un «servizio pubblico di cura relazionale tra persone» e la limitazione della impugnazione ai soli reati a procedibilità condizionata, oltre ad affermare la piena applicabilità del regime di cui all’art. 586 C.P.P., in sintonia con il § 23 Raccomandazione CM/Rec (2018) 8, secondo cui “le Parti processuali devono avere accesso a procedure di reclamo chiare ed efficaci”

In conseguenza, il principio di diritto delineato consentirebbe nel giudizio di appello e, nei limiti del controllo sulla legittimità della motivazione, la verifica del rispetto dei criteri decisori preposti all’invio delle Parti ai programmi riparativi nei Centri di nuova istituzione.

Va sottolineato, tuttavia, l’avvenuto riconoscimento della valenza giuridica dell’Ordinanza in questione nell’ambito della disciplina organica del diritto e del processo penale, laddove l’esito positivo dei programmi riparativi favorisce, anche per la Vittima e per la Comunità, l’estinzione del reato per remissione della querela, la individuazione pena da comminare ex art. 133 c.p. e gli altri benefici applicabili anche nella esecuzione penale, come introdotti o modificati dalla Riforma.

In tal modo la Giustizia Riparativa, anche attraverso l’intervento delle Sezioni Unite, si armonizza con il tradizionale sistema punitivo offrendo alla giustizia penale una nuova opportunità per accelerare la durata dei processi e per definire gli stessi “in bonis”, specie nell’interesse della Vittima.

Si tratta di un passaggio culturale rinvenibile nella decisione delle Sezioni Unite che consente percorsi paralleli e virtuosi, in cui imprescindibile é il confronto fra mediatori, operatori della giustizia, magistrati e avvocati.

  • La tesi contraria

La decisione, tuttavia, non soddisfa appieno le aspettative della Dottrina prevalente.

Per modificare l’impostazione seguita dalla Corte, come afferma Valeria Bonini in un recente scritto, sarebbe necessario “un invito che qualche decennio fa è stato autorevolmente lanciato da uno dei “padri” della Giustizia Riparativa moderna, ossia quello di “cambiare lenti” (Howard Zehr, Changing lenses, Herald Press,1990), che viene spesso reiterato quando ci si accosta ai meccanismi riparativi”(cfr. V. Bonini – P. Maggio L’impugnazione dei provvedimenti a caratura riparativa: equilibri e squilibri tra sistemi, in Rivista Sistema Penale ,5/2024, p. 5 ss.).

E aggiunge. Un vero e proprio incidente di percorso è quello accaduto anche alla Cassazione, giunta a soluzioni visibilmente contrastanti con il dettato normativo come nel caso della sentenza della Prima Sezione del 9 luglio 2024, n.41133, che ha escluso la possibilità di accedere al pro- gramma riparativo durante l’esecuzione della pena, in aperta violazione dell’art. 44 d.lgs. n. 150/2022 e dell’Ordinamento Penitenziario, come innanzi ricordato nel citare i primi orientamenti della Corte.

Davanti al silenzio legislativo, la Corte, nella decisione segnalata, aveva valorizzato l’alterità del paradigma riparativo, per escludere la natura giurisdizionale anche degli atti che si collocano in posizione preliminare rispetto al programma riparativo e così sancirne la non impugnabilità (così Cass., sez. II,12 dicembre 2023, n. 6595-24).

Pertanto, una volta affermato che il percorso riparativo non ha natura giurisdizionale, alla luce del fatto che non vi partecipano i soggetti necessari del processo penale e non vi si accertano fatti e responsabilità penali la Suprema Corte sarebbe giunta a postulare una sorta di “contaminazione riparativa” degli atti a tema riparativo, sebbene appartengano alla processo penale, sancendo la non impugnabilità di un’Ordinanza pronunciata dal Giudice in un contesto procedimentale e sulla base di criteri offerti dal codice di rito, siccome ritenuta come un’espressione di un «servizio pubblico di cura della relazione tra persone»(!!)

Su questo punto, l’intervento chiarificatore delle SS UU appariva più che necessario, com’è avvenuto in senso favorevole al principio citato dalla Bonini, peraltro condiviso dalla Dottrina prevalente.

Invero, una prima correzione a tale assunto era stata apportata con un’altra decisione della Cassazione (sez. III,7 giugno 2024, n. 33152, cit). che, superando la qualifica extra-giurisdizionale di un’Ordinanza pronunciata dal Giudice per rigettare l’impugnabilità dell’Ordinanza di diniego, aveva ritenuto che tale diniego potesse essere impugnato solo quando fosse stato pronunciato in relazione a reati perseguibili su querela soggetta a remissione.

In questo caso, pur riconoscendo la valenza giuridica del provvedimento, la decisione della Corte limitava l’impugnabilità del rigetto solo sulla base degli effetti processuali del programma riparativo (sospensione del processo in caso di reato procedibile su querela soggetta a remissione), così sottostimando i rilevanti effetti sostanziali (commisurazione della pena ex art. 133 c.p.; applicazione della circostanza attenuante ex art. 62, n. 6 c.p.; sospensione condizionale della pena ex art. 164 comma 4 c.p.; oltre al possibile rilievo dell’art. 131-bis c.p. e dell’art. 464 bis C.P.P.) derivanti dall’esito riparativo positivo in caso di reati procedibili d’ufficio.

Si tratterebbe di un punto non chiarito dalle SS UU poiché, in tali casi, gli effetti dell’esito dei programmi riparativi sarebbero preclusi poiché agli stessi si potrebbe accedere solo con un’Ordinanza giudiziale, rimasta ancora discrezionale e non impugnabile, nonostante l’importanza processuale della chance riparativa anche nei casi di reati procedibili d’ufficio.

Per contro, una volta assunto come dato acquisito che il provvedimento di cui all’art. 129-bis C.P.P., in ragione della forma, dei tempi e dei luoghi in cui viene adottato e della previa instaurazione del contraddittorio, rappresenta, come ricordato, un «atto del procedimento/processo di natura endo-procedimentale», la Cassazione, in mancanza di una disciplina specifica, si è vista costretta a ricorrere alle norme procedurali esistenti relative all’impugnabilità delle Ordinanze .e del principio di tassatività delle impugnazioni, nei limiti di cui all’art. 586 C.P.P., unitamente all’impugnazione della sentenza.

Sul punto, la Corte aveva sancito che «escludere la impugnazione differita dell’Ordinanza ai sensi dell’art. 586 cod. proc. pen. si tradurrebbe nella assenza di confronto con i principi che disciplinano il sistema processuale, ma anche con le ulteriori indicazioni legislative che collegano significative ricadute di natura sostanziale all’accesso ai programmi di Giustizia Riparativa».

Per contro, a conforto dell’impugnabilità del provvedimento che preclude l’esperienza riparativa, vanno richiamati i principi dettati dalle fonti sovranazionali ed, in particolare, il § 33 della Raccomandazione CM/Rec 2018--8 del Consiglio d’Europa oltre agli effetti sulla pena collegati all’esito positivo dei programmi riparativi, come innanzi ricordato.

Sulla base di queste osservazioni risulterebbe superata la limitazione del diritto di impugnare il diniego a fini riparativi ai soli casi in cui il reato sia perseguibile su querela, valorizzando il principio dell’accesso generalizzato che emerge dalla lettura dall’art. 44 dF lgs. n. 150/2022, che esprime un favor riparationis non escluso né dalla norma regolatrice del procedimento né dalla tipologia del reato.

Sul punto, la stessa Corte si è spinta oltre e, recuperando un inciso della Relazione illustrativa del d.lgs. n. 150/2022, ha osservato che, sebbene la sospensione del procedimento è espressamente prevista all’art. 129-bis C.P.P. solo in caso di reato perseguibile su querela, anche nelle altre ipotesi«resta […] salva la possibilità di valorizzare l’istituto - già impiegato nella prassi- del rinvio su richiesta dell’imputato, per consentire di concludere il programma e quindi di permettere al Giudice di tenerne conto in sede di definizione del trattamento sanzionatorio».

Argomentando così il proprio orientamento in materia, la Cassazione sgombra il campo anche dai palesati dubbi di legittimità costituzionale, fondati sui limiti all’ impugnazione stabiliti nelle precedenti decisioni sia perché comprimevano ingiustificatamente i diritti di impugnazione, sia perché il controllo sull’Ordinanza ex art. 129-bis C.P.P. costituisce un’ importante occasione per individuare quali siano stati i criteri decisori che la stessa norma assegna al Giudice investito del “tema riparativo”.

  • Conclusioni

Alla luce di quanto innanzi e della decisione delle SS UU, sebbene non si possa dissentire sulla natura complementare della Giustizia Riparativa rispetto al processo penale, restano da esaminare i numerosi dubbi della Dottrina sul controverso contenuto dell’art 129 bis C.P.P. che costituisce la norma regolatrice del procedimento riparativo (v. dello stesso Autore, Dubbi di costituzionalità sulla applicazione della Giustizia Riparativa in questa Rivista, Ottobre 2023).

Alcuni commentatori mettono in dubbio, in base ai principi costituzionali del c.d. Giusto Processo, la legittimità della scelta legislativa di rendere operante la normativa già nella fase della cognizione, vale a dire prima che la responsabilità per il reato contestato sia stata accertata in via definitiva e, comunque, non in base ad un ravvedimento effettivo da parte dell’ imputato, avvenuto prima o dopo la condanna e la espiazione di parte della pena, specie nei casi più gravi, che suscitano allarme sociale, e, comunque, mancando nella norma un apposito richiamo in tal senso.

Una tale opinione può, invero, ritenersi fondata anche sulla base della previsione, contenuta nell’129-bis C.P.P., laddove la norma consente all’Autorità Giudiziaria procedente (Pubblico Ministero e Giudice) di favorire ovvero negare l’accesso alla Giustizia ripartiva a giudizio insindacabile degli stessi.

Invero, la norma stabilisce che compete solo al Giudice o al Pubblico Ministero in via discrezionale, “valutare, in positivo, se il programma di Giustizia riparativa, prospettato dall’imputato, possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto di reato ma anche, in negativo, escluderlo dall’accesso laddove l’invio possa comportare un pericolo concreto per gli interessati o frustrare l’acquisizione della prova in funzione dello accertamento dei fatti” (v.Rel. Uff Massimario della Cassazione, pag. 321), fermo restando che, in base al principio di tassatività delle impugnazioni, non appare possibile proporre alcun rimedio avverso un siffatto provvedimento atteso che la norma regolatrice non ne prevede alcuno e che, per questa ragione, la stessa andrebbe riformata dal Legislatore.

A tanto aggiungasi che detta norma non prevede alcun diritto di opposizione della Vittima, neppure in presenza della gravità del reato commesso dall’imputato, il che rende possibile fruire del procedimento “inaudita altera parte” a chiunque e per qualsiasi reato, con evidente grave violazione dei diritti alla stessa spettanti e, come tali, riconosciuti dalla stessa Riforma siccome posti a base della nuova disciplina

Ne costituisce riprova l’esclusione della Vittima anche dalla decisione della sospensione del processo in caso di reati a querela di parte rimettibili, senza tenere in alcun conto della volontà della stessa ma compiendo un vero atto di fede nella volontà, espressa consensualmente da entrambe le Parti, di addivenire ad una conciliazione attraverso la Mediazione Penale.

In conseguenza, si sarebbe in presenza di una disparità di trattamento tra l’imputato e la Vittima, che lascia alquanto perplessi sulla legittimità costituzionale della decisione prevista dalla norma regolatrice, assunta in spregio del principio di parità fra le parti in giudizio sancito dall’art.111, co.2 della Costituzione, che disciplina il c.d. Giusto Processo (!!).

Nondimeno, è opinione comune, in Dottrina, che il vulnus arrecato ai principi costituzionali sia così grave da risultare non rimediabile se non rimuovendo in toto l’attuale impostazione legislativa (!!).

La convinzione diffusa, tra i commentatori, è che sia imposto l’avvio del programma riparativo, in aperto contrasto con il principio cardine, ossia l’accesso libero e volontario delle Parti al procedimento, con la conseguente impugnabilità delle Ordinanze ammissive o di diniego al programma riparativo che ne costituiscono il presupposto essenziale.

Non resta altro che sperare che la Corte Costituzionale intervenga per sanzionare l’illegittimità dell’art 129-bis C.P.P. così risolvendo un contrasto che rischia di impedire l’utilizzo della Giustizia Riparativa nel processo penale e, naturalmente, la risarcibilità della Vittima.

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