L’introduzione della Giustizia Riparativa nel procedimento penale, secondo il Legislatore, “concorre all’efficienza della giustizia penale in vario modo poiché agevola la riparazione dell’offesa e la tutela dei beni offesi dal reato;incentiva la remissione di querela, facilita il percorso di reinserimento sociale del condannato, riduce i tassi di recidiva e il rischio di reiterazione del reato nei rapporti interpersonali così rappresentando un utile e innovativo strumento per le politiche di prevenzione della criminalità”, come si legge nella Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 150/2022 che dsciplina il nuovo Istituto processuale entrato in vigore a Giugno del 2023 ma ancora largamente inattuato.
Mercoledi 19 Marzo 2025 |
In Dottrina, alcuni commentatori, condividendo queste ottimistiche previsioni, hanno accolto fin da subito con favore la Riforma, sostenendo che la giustizia riparativa, essendo fondata su una “dimensione dialogica tra autore e vittima del reato”, costituisce, “uno strumento di pacificazione e coesione sociale”.
Altri commentatori, invece, hanno manifestato serie perplessità sulla validità del sistema, dal momento che questo modello della c.d.restorative justice, fondato su presupposti del tutto difformi da quelli propri dell’accertamento processuale e finalizzato a indurre la persona indicata come autore dell’offesa a riconoscere i propri torti, “costituirebbe, se mossa da simili intenti una vera utopia” .
In ogni caso, come ha scritto di recente, in maniera condivisibile, Antonella Presut ti (v.Riv.Sistema Penale) si preannuncia faticosa la fruibilità della Giustizia Riparativa nel nuovo procedimento penale stante la mancanza della istituzione dei Centri sul territorio ma, soprattutto, dei Mediatori Penali, oggetto di una specifica formazione specialistica, stante la delicatezza del ruolo da ricoprire.
Altrettante perplessità emergono dall’analisi della Dottrina (v.ex multis Antonio Traversi, in Giurisprudenza Penale,2025).
Nei commenti più autorevoli viene.invero, messa in dubbio, in base ai principi costituzionali del c.d. Giusto Processo, la legittimità della scelta legislativa di rendere operante la normativa già nella fase della cognizione, vale a dire prima che la responsabilità per il reato contestato sia stata accertata in via definitiva e, comunque, non in base ad un ravvedimento effettivo dell’ imputato, prima o dopo la condanna e la espiazione di parte della pena nei casi più gravi che suscitano allarme sociale, e comunque mancando nella norma un apposito richiamo in tal senso.
Una tale opinione può, invero, ritenersi fondata anche sulla base della previsione, contenuta nell’129-bis CPP, laddove la norma consente all’Autorità Giudiziaria procedente (Pubblico Ministero e Giudice) di favorire ovvero negare l’accesso alla Giustizia ripartiva a giudizio discrezionale ed insindacabile degli stessi, con un provvedimento (Decreto od Ordinanza) insuscettibile di impugna zione /v.da ultimo, Cass., Sez. I,21 novembre 2024 (dep. 28 febbraio 2025), n. 8400)
Sta di fatto che viene, in tal modo, riconosciuto nel procedimento una sorta di “potere” di iniziativa per spingere l’indagato/imputato e la Vittima ad intraprendere un percorso ripartivo ma, nel contempo, un potere di veto che mal si concilia con la volontà del Legislatore di introdurre una composizione amichevole del procedimento penale che giovi alle ragioni morali ed economiche delle Vittime del reato, sulla base di una volontà unanime manifestata senza alcuna costrizione di sorta.
Si teme, inoltre, che così procedendo, l’Autorità Giudiziaria eserciti un improprio strumento di pressione sulle legittime opzioni di strategia difensiva per l’imputato e la convinzione che risultino violate la presunzione di innocenza, la parità tra le parti e il diritto di difesa, costituzionalmente tutelate, oltre alle ragioni delle Vittime coinvolte, quest’ultime ridotte ad un ruolo cadetto.
Va pure ricordato, inoltre, che la normativa non prevede neppure alcun diritto di opposizione della Vittima, neppure in presenza della gravità del reato commesso dall’imputato, il che rende possibile l’accesso al procedimento riparativo “inaudita altera parte”con grave violazione dei diritti alla stessa spettanti e, come tali, riconosciuti dalla stessa Riforma del Codice di Rito.
A tanto aggiungasi che competerebbe solo al Giudice (o al Pubblico Ministero “valutare, in positivo, se il programma di Giustizia ripartiva, prospettato dall' imputato, possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto di reato ed escludere, in negativo, che l’invio possa comportare pericolo concreto per gli interessati o frustrare l’acquisizione della prova in funzione dell’accertamento dei fatti”(v.Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione, pag. 321), fermo restando che, stante il principio di tassatività delle impugnazioni, non è neppure possibile proporre alcun rimedio avverso un siffatto provvedimento, atteso che la normativa non ne prevede alcuno, se non unitamente alla sentenza, come affermato in alcune recenti decisioni della Suprema Corte, oggetto di un articolato commento su questa stessa Rivista.
Per tali ragioni, è opinione comune, in Dottrina, che il vulnus arrecato ai principi costituzionali sia così grave da risultare non rimediabile se non rimuovendo in toto la impostazione legislativa (!!).
Invero, un’analisi più approfondita può contribuire ad indivi duare gli altri punti critici della Riforma come segue.
Innanzitutto, il Giudice dovrebbe valutare la possibilità di disporre l’avvio di un programma di giustizia riparativa, facoltà esercitabile anche d’ufficio in base alla nuova previsione contenuta all’art.129-bis cod.pen., fermo restando in diritto dello imputato di ricevere un apposito avviso in ordine alla facoltà di accedere ai pro grammi di giustizia riparativa.
La Suprema Corte, dopo avere fatto presente che le nuove previsioni contenute all’art. 129-bis e 419, comma 3-bis, CPP non contemplano alcuna ipotesi di nullità nel caso di mancata applicazione, ha evidenziato che la norma processuale, nel prevedere la possibilità che il Giudice disponga d’ufficio l’invio delle parti ad un Centro per la mediazione, si limita a disciplinare un potere discrezionale, senza introdurre alcun obbligo di attivarsi in tal senso.
Tale opzione sarebbe dettata solo da una serie di valutazioni che attengono alla tipologia del reato, ai rapporti tra l’autore e la persona offesa, all’idoneità del percorso ripartivo a risolvere le questioni che hanno determinato la commissione del fatto criminoso, trattandosi di una valutazione che non impone al giudice di di motivare la sua scelta.
In conseguenza, nel caso di mancata attivazione del percorso ripartivo, non sarebbe configurabile alcuna nullità, né speciale, né di ordine generale, non essendo compromesso alcuno dei diritti e facoltà elencati all’art. 178, lett. c), CPP.
Precisato ciò, sempre per i Giudici di Piazza Cavour, ad analoghe considerazioni si deve pervenire pure in relazione all’omesso avviso alle Parti della facoltà di accedere ai programmi eli giustizia ripartiva, come previsto dall’art. 419, comma 3-bis, CPP visto che tale norma non prevede alcuna nullità speciale per il caso in cui l’avviso venga omesso, né può ritenersi che l’omissione vada a ledere il diritto dell’imputato di accedere a tale forma di definizione del procedimento, tanto più se si considera che l’avviso in esame, a ben vedere, avrebbe solo una finalità informativa e, peraltro, riguarderebbe una fase in cui l’imputato beneficia dell’assi stenza difensiva disponendo del necessario ausilio tecnico finalizzato alla migliore valutazione delle molteplici alternative processuali previste dal Codice, ivi compresa quella di richiedere l’accesso al programma di giustizia ripartiva (v.Cassazione -sez.VI pen.- sent.n. 25367 del 9-05-2023).
Tra le norme processuali penali applicabili al procedimento riparatorio e che hanno suscitato legittime doglianze della Dottrina, rientrano senz’altro sia l’art. 129 bis CPP nonché l’art.15 bis della legge n.354/1975 sull’Ordinamento penitenziario, i quali prevedono che l’Autorità giudiziaria possa disporre, anche d’ufficio, l’invio ai programmi di giustizia riparativa, rispettivamente, dell’indagato/imputato “in ogni stato e grado del procedimento” ovvero del condannato/internato “in qualsiasi fase dell’esecuzione”, anche se, di recente, la Cassazione ha chiarito che tale facoltà per il condannato è prevista solo a pena espiata, come si dirà infra.
Anzitutto, numerosi rilievi critici sono emersi nel rapporto tra giustizia riparativa ed il processo di cognizione, che hanno suscitato legittime doglianze di illegitti mità nella Dottrina prevalente, in base alla infausta formulazione della norma citata che regola il procedimento di ammissione ai programmi riparativi in maniera del tutto avulsa dal dettato normativo che disciplina, più in generale la Giustizia Riparativa negli articoli da 41 a 67 del D.Lgs 150/2022, (in merito, cfr. V.Bonini –P.Maggio, L’impugnazione dei provvedimenti a caratura riparativa:equilibri e squilibri tra sistemi, Rivista SP, n 5/2024, p. 5 ss.).
Una prima rilevante criticità nell’ambito di questi rapporti è ravvisabile nella inconciliabile diversità tra i percorsi dialogici mediati al di fuori delle aule di udienza e lo scontro dialettico tra accusa e difesa in sede di esame incrociato dei testimoni, che è alla base del processo accusatorio, per il rischio che “le dichiarazioni future dei diretti interessati ne risultino alterate” così pregiudicando gli interessi difensivi. Ma vi è di più.
Senza soffermarsi sulla discussa carenza dei Centri di Giustizia Riparativa e nel ritardo nella loro istituzione, legato ad un meccanismo farraginoso che allunga i tempi, vale la pena di occuparsi del procedimento di invio.
La norma di carattere processuale al comma 1,prevede che “in ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria può disporre, anche d’ufficio, l’invio dell’imputato e della vittima del reato (…) al Centro per la giustizia riparativa di riferimento, per l’avvio di un programma di giustizia riparativa”, e, al comma 3, che “l’invio degli interessati è disposto con ordinanza del giudice che procede, sentite le parti, i difensori nominati e, se lo ritiene necessario, la vittima del reato (…)” o, “nel corso delle indagini preliminari”, dal “pubblico ministero con decreto motivato”e, al comma 5,che “al termine dello svolgimento del programma di giustizia riparativa, l’Autorità Giudiziaria acquisisce la relazione trasmes sa dal mediatore”.
Tale disposizione appare costituzionalmente illegittima sotto vari aspetti, come affermato da vari commentatori.
Innanzitutto, per il fatto che il Giudice, in ogni stato e grado del procedimento, o anche il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, possano disporre, “anche d’ufficio” – rispettivamente con Ordinanza o con Decreto motivato – l’invio dell’“imputato” (ovvero dell’indagato) e della “vittima del reato”, senza imporre alcun obbligo di interpellare quest’ultima, se non ove necessario, al Centro di giustizia riparativa di riferimento per l’avvio del percorso riparativo.
Tuttavia, l’art. 1,comma 18, lett. c), della legge-delega n.134/2021,nel prevedere la possibilità di accesso ai programmi di giustizia riparativa “su iniziativa dell’autorità giudiziaria competente, senza preclusioni in relazione alla fatti specie di reato o alla sua gravità”, contemplava la necessità che ciò avvenisse “sulla base del consenso libero e informato della vittima del reato e dell’autore del reato”.
Appare evidente che l’acquisizione del consenso delle Parti costituisce un elemento essenziale per l’attivazione del procedimento riparatorio.(!!)
Tale principio risulta codificato anche dall’art. 43, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 150/2022, laddove è stato precisato che la partecipazione ai programmi di giustizia riparativa da parte della persona indicata come autore dell’offesa e della vittima del reato deve essere “attiva e volontaria”.
Ragion per cui l’art. 129 bis CPP, ponendosi in contrasto con i principi di volontarietà e libertà dell’adesione contenuti nella citata Legge Delega, potrebbe essere suscettibile di censura costituzionale per eccesso di delega in violazione dell’art.76 Cost.
In secondo luogo, l’invio dell’indagato/imputato al competente Centro di giustizia riparativa, sia nella fase delle indagini preliminari che nel giudizio di cognizione, presuppone il convincimento del Giudice che il medesimo sia l’autore dell’offesa penale, anche perché l’art. 12, comma 1, lett. c), della Direttiva 2012/29/UE sancisce fra le “condizioni” per l’accesso ai servizi di giustizia riparativa che l’autore del reato abbia “ riconosciuto i fatti essenziali del caso”.
Ne consegue che, in caso di esito negativo del programma riparativo, il Giudice chiamato a giudicare l’imputato dovrebbe essere diverso da quello che, ai sensi dell’art. 129 bis CPP, ne aveva disposto l’“invio” al Centro per la giustizia riparativa, sul presupposto che il medesimo sia, comunque, l’autore del reato allo stesso contestato.
Senonché, in tali casi non sarebbe configurabile un’ipotesi né di “incompatibilità determinata da atti compiuti nel procedimento”, in quanto non espressamente contemplata dall’art. 34 del Codice di Rito né di “indebita manifestazione del proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione”.
Sul punto si ritiene che l’anticipazione del convincimento di colpevolezza, risultante dall’invio dell’imputato al Centro per la giustizia riparativa, deriverebbe dall’applicazione di una norma di legge e non già “indebitamente”, come richiesto dall’art.37,comma 1, lett. b), CPP, affinché il Giudice possa essere ricusato dalle parti.
Anche in base a tale assunto, sussisterebbero seri dubbi di legittimità costituzio nale dell’art. 129 bis CPP, per violazione degli artt. 3,24 e 27 Cost. nonché dell’art.34 CPP.nella parte in cui la norma non prevede che non possa partecipare al giudizio il Giudice che, nei confronti del medesimo imputato, ha pronunciato l’Ordinanza di invio al Centro per la giustizia riparativa, quantomeno nelle ipotesi, indicate dall’art 58,comma 2,del D.Lgs. n. 150/2022,di mancata effettuazione del programma riparativo, interruzione dello stesso o mancato raggiun gimento dell’esito riparativo.
Sempre secondo la Dottrina, un ulteriore dubbio di legittimità costituzionale della norma procedurale, in relazione agli artt. 55 e segg. del D.Lgs. n. 150/2022,deriverebbe dalla evidente violazione dell’art. 24,secondo comma, della Cost, poiché, pur essendo sancito da tale norma che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, il difensore dell’indagato/ imputato non può assistere il proprio cliente nel corso dello “svolgimento dei programmi di giustizia riparativa”, salva la facoltà di intervenire, “su richiesta delle persone interessate”, ai soli “colloqui preliminari” di cui all’art. 54, comma 2, del D.Lgs. n. 150/2022.
Sebbene l’art. 51 del medesimo decreto stabilisca che “le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del programma non possono essere utilizzate nel procedimento penale e nella fase della esecuzione della pena”, non sarebbe logico e, comunque, sarebbe lesivo del diritto di difesa che l’indagato/imputato, specie nei casi di reati di particolare gravità, reato, debba partecipare ai “dialoghi riparativi” senza l’assistenza del proprio difensore (!!) anche perché il Legislatore non ha fornito alcuna giustificazione di tale esclusione che mal si concilia con il dettato costituzionale.
Tale opinione trova giustificazione anche perché, senza mettere in dubbio i requisiti di competenza, imparzialità e sensibilità che sicuramente caratterizze ranno i Mediatori, va ricordato che l’art. 45 del D.Lgs. n. 150/2022 prevede che ai programmi di cui trattasi possa partecipare una moltitudine di persone diver se dai difensori come, ad es,,oltre alla “vittima del reato”, vari “altri soggetti appartenenti alla Comunità”, quali “familiari della vittima del reato”, “persone di supporto segnalate dalla vittima del reato”, “Enti e Associazioni rappresentativi di interessi lesi del reato”, “rappresentanti o delegati di Stato, Regioni, Enti locali o di altri Enti pubblici, Autorità di Polizia e dei Servizi sociali” nonché “chiunque altro vi abbia interesse”, fatta eccezione per il difensore (!!)
Quand’anche soltanto alcuni di tali soggetti decidessero di partecipare, ponendo domande alla “persona indicata come autore dell’offesa” ci sarebbe il rischio che taluno di partecipanti ponga domande “suggestive”, tendenti cioè a sugge rire la risposta, o addirittura “nocive”, tali da nuocere alla sincerità della risposta medesima o che l’accusato, incalzato dalle domande, finisca per rilasciare dichiarazioni autoindizianti ovvero una versione dei fatti non veritiera, compromettendo l’esito della mediazione ai fini risarcitori.
A tanto aggiungasi che, a molti altri commentatori, è apparsa in contraddizione con l’intento di garantire una “celere definizione dei procedimenti giudiziari” la previsione, contenuta nel comma 4 dell’art.129 bis CPP., in base alla quale, nei reati perseguibili a querela soggetta a remissione, il Giudice, al fine di consentire lo svolgimento del programma di giustizia riparativa può disporre la sospensione del processo per un periodo addirittura di centottanta giorni, mentre per i reati non rimettibili non è prevista alcuna tempistica utile alla definizione in via alternativa con la concessione delle attenuanti.
Del tutto indefinita, risulta, inoltre, la natura degli “impegni comportamentali” che l’imputato dovrebbe assumere e rispettare per poter usufruire della circostanza attenuante di cui all’art.62,n.6,C.P., in mancanza di un calcolo tabellare risarcitorio a cui fare riferimento nel corso della Mediazione Penale con il rischio “che la giustizia riparativa, divenga meno che uno strumento di deflazione”.
Vero è che tale disposizione ha per obiettivo quello di indurre l’imputato a porre in essere condotte riparatorie in favore della vittima del reato e, nell’ipotesi di procedimenti per reati perseguibili a querela, di far sì che tali procedimenti, se possibile, vengano definiti con la remissione della querela.
Nondimeno, anche lo strumento della sospensione per favorire il dialogo riparativo esclude tale beneficio per i reati più gravi per i quali non sono previsti tempi di definizione compatibili con la celerità dei procedimenti, così generando anche una disparità di trattamento per l’accesso effettivo alla Giustizia Ripara tiva.
Occorre, tuttavia, ricordare, sul punto, che, in realtà, già prima dell’introduzione della nuova disciplina riparativa, nel Codice penale esistevano norme aventi il medesimo scopo.
Ne sono esempi l’art.162 ter CPP, sulla estinzione dei reati procedibili a querela per “condotte riparatorie”, all’omologa disposizione di cui all’art. 35 del D.Lgs. n.274/2000,applicabile ai reati di competenza del Giudice di Pace, all’art.62, n.6), C.P.che già contemplava la circostanza attenuante dell’avere, prima del giudizio, “riparato interamente il danno”, nonché all’art.133,secondo comma, n.3), C, P, in virtù del quale il Giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale nell’applicazione della pena, deve tener conto, fra l’altro, anche della condotta “susseguente al reato”.
Al di là degli aspetti procedurali evidenziati, un altro punto dolente della Riforma è comunque la mancanza di una distinzione e conseguente esclusione dei reati più gravi dall’accesso ai programmi riparativi con grave pregiudizio per le ragioni delle Vittime di tali reati di opporsi alle Ordinanze ammissive, come innanzi ricordato, in base alle proprie ragioni lese e, in alcuni casi, non risarcibili.
Alla luce delle sopra menzionate criticità normative, analizzando alcune prime decisioni giurisprudenziali, il quadro non appare molto diverso.
Nonostante non vi siano ancora sentenze di particolare rilievo, merita, ad es., di essere citata una sentenza della Prima Sezione Penale della Cassazione del 9 luglio 2024,n.41133,di annullamento dell’Ordinanza di un Magistrato di sorveglianza che aveva accolto il reclamo di un detenuto in regime dell’art.41 bis della legge n.354/1975 avverso il provvedimento della Casa circondariale nella quale era ristretto, che gli aveva negato la possibilità di accedere ad un programma di giustizia riparativa.
Secondo la Suprema Corte il provvedimento andava annullato perché “il disposto dell’art. 44, comma 2,D.Lgs.n.150 del 2022 ai programmi di giustizia riparativa si può accedere in ogni stato e grado del procedimento penale, nella fase esecutiva della penae della misura di sicurezza, dopo l’esecuzione delle stesse’”, mentre il ricorrente, “essendo ancora detenuto in esecuzione di penale gli non può essere ammesso ad alcun programma di giustizia riparativa finché la pena sarà in esecuzione ed indipendentemente dal regime detentivo a cui è sottoposto”.
Per contro, la medesima norma afferma in maniera palmare che “ai programmi di cui al comma 1 si può accedere in ogni stato e grado del procedimento”, per cui sarebbe del tutto illogico che tale facoltà fosse preclusa nella fase dell’esecuzione, che, presumibilmente, è proprio quella in cui l’accesso ad un programma riparativo può risultare efficace ai fini di “rieducazione del condannato”, come auspicato dall’art. 27, terzo comma, Cost.
Un’altra decisione molto dibattuta è quella relativa ad un’Ordinanza della Corte d’Assise di Busto Arsizio del 19 settembre 2023,di ammissione, in questo caso, dell’imputato ai programmi di giustizia riparativa che, per la tipologia del reato e modalità della azione, ha destato non poche perplessità (v.commento dello stesso Autore su questa Rivista) .
L’imputato, nella fattispecie, era accusato dei delitti di omicidio e soppressione di cadavere, per avere cagionato la morte di una giovane con “colpi lungo il corpo, poi con sempre maggiore veemenza alla testa, persistendo con violenti colpi di martello e poi accoltellandola alla gola” ed avere poi tentato di occultarne il cadavere “tagliandolo a pezzi, congelandolo, riponendolo in alcuni sacchi”gettati infine in un dirupo.
Si trattava di un grave “Femminicidio” cagionato, come afferma la sentenza di condanna alla pena a 30 anni di reclusione, dalla“incapacità di accettare la decisione della Vittima di porre sostanzialmente fine al rapporto”.
Ebbene, in pendenza dei termini per l’appello, la difesa dell’imputato ha richiesto l’accesso ad un programma di giustizia riparativa e la Corte d’Assise, in accoglimento dell’istanza, ha disposto l’invio dell’imputato al competente Centro di giustizia riparativa sulla base della controversa motivazione dell’Ordinanza che “L’imputato ha manifestato la seria, spontanea ed effettiva volontà di riparare alle conseguenze del reato (…), tanto da avere chiesto scusa ai familiari della vittima”, esclusi, tuttavia, dalla possibilità di impugnare il provvedimento (!!).
Alla luce di quanto innanzi appare necessario valutare l’opportunità di una modifica della norma che metta ordine nel disegno legislativo.
Senz’altro, il coinvolgimento dell’Autorità giudiziaria risponde alla preoccupazione di non vanificare l’impegno organizzativo richiesto per la nuova disciplina organica, affidando la sua operatività alla iniziativa, solo eventuale, dell’autore della offesa e della Vittima.
Più convincente appare il proposito del riformatore di offrire alla Vittima una tutela più idonea alla esigenza di ottenere riparazione dell’offesa provocata dal reato benché il Legislatore, che ha inteso garantire l’accesso agli strumenti della riparazione, sancendo, appunto, il diritto illimitato ed incondizionato delle Parti ad avvalersi della giustizia ripartiva, non abbia fornito alcun parametro di riferimento per una bonaria definizione, come innanzi evidenziato.
Farsi garante di questo diritto è il compito affidato alla Autorità giudiziaria, come si ricava dal ruolo sostitutivo della sua iniziativa, sebbene con i limiti innanzi evidenziati.
Del resto, complice anche la carenza di servizi di assistenza alla vittima, pure previsti dalla Direttiva Europea del 2012,l’informativa circa la facoltà di accedere al programma di Giustizia riparativa, é divenuto un adempimento solo formale e niente di più che un semplice avviso.
In questa prospettiva risulta naturale che, in assenza di alcuna iniziativa, l’Autorità giudiziaria possa farsi carico, con il consenso delle parti, di inviare le stesse al Centro di giustizia riparativa per garantire il diritto di accesso ai programmi riparativi.
A tanto aggiungasi che appare criticabile anche la regolamentazione prevista dall’art.129-bis comma 6 CPP a proposito del momento di chiusura del programma riparativo e con particolare riguardo alla valutazione giudiziale dei risultati raggiunti dall’imputato, a cui fa riferimento anche la proposta avanzata dalle Camere Penali di consentire all’Autorità giudiziaria l’acquisizione della relazione, trasmessa dal mediatore, solo nel solo caso di esito positivo ddel programma e precludere la conoscenza del suo fallimento come soluzione preordinata ad “evitare pregiudizi” sul successivo esito del procedimento penale.