Con l'ordinanza n. 5839 del 5 marzo 2025 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi dei criteri che devono presiedere alla ripartizione della pensione di reversibilità tra l'ex coniuge divorziato e il coniuge superstite.
Martedi 18 Marzo 2025 |
Il caso: Mevia conveniva in giudizio Lucilla, seconda moglie dell'ex marito, e l'INPS al fine di vedersi riconosciuta, ai sensi dell'art. 9, comma 3, L. n. 898 del 1970, la quota dell'80% della pensione di reversibilità dell'ex marito e, comunque, una somma non inferiore a Euro 315,00 mensili, rivalutati all'attualità, condannandosi l'INPS a versare in proprio favore i ratei pensionistici maturati e maturandi dalla sopravvenuta morte dell'ex marito, oltre agli interessi dal dovuto al saldo: infatti, in ragione della durata del matrimonio (contratto in data 10/05/1975 e cessato in data 15/10/2014), le spettava una quota di pensione più elevata rispetto a quella che spettava alla seconda moglie il cui matrimonio era durato solo 5 anni.
Lucilla si costituiva chiedendo accertarsi e dichiararsi il proprio diritto a percepire una quota della pensione di reversibilità del defunto marito in misura non inferiore all'80% del totale, e rigettarsi le richieste formulate dalla ricorrente: deduceva di avere avuto con il marito Caio una relazione prematrimoniale durata tre anni, di essere stata sposata per sei anni e di versare in uno stato di indigenza economica, tanto da essere stata costretta a presentare domanda per ottenere il reddito di cittadinanza.
Il Tribunale di Bergamo attribuiva all'ex coniuge di Caio, Mevia, il 70% della pensione di reversibilità erogata dall'INPS e alla coniuge superstite, Lucilla, la quota del 30% della stessa pensione di reversibilità.
Lucilla proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte distrettuale; Lucilla ricorre quindi in Cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., con riferimento all'art. 9 L. n. 898 del 1970, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, alla luce dei criteri correttivi stabiliti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1999, per non avere la Corte d'Appello tenuto conto che il coniuge superstite ha conseguito una quota di pensione di reversibilità del tutto inadeguata alle più elementari esigenze di vita rispetto all'ex moglie, che ha conseguito, invece, una quota di pensione di reversibilità del tutto sproporzionata rispetto all'assegno di divorzio in precedenza goduto (€ 1200,00 a fronte dell'assegno pari a € 357,00), non ispirandosi ai principi di equità, che regolano l'istituto.
Per la Cassazione la censura è fondata: sul punto enuncia il seguente principio di diritto:
a) la ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per l'ottenimento della stessa, deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando (alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 419 del 1999) ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di reversibilità, da individuare facendo riferimento all'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge ed alle condizioni economiche dei due, nonché alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali;
b) secondo le Sezioni Unite, il requisito funzionale del trattamento di reversibilità è riconducibile al presupposto solidaristico finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge, fermo restando che non si tratta di una mera continuazione post mortem dell'assegno di divorzio, ma si giustifica con le stesse ragioni che giustificavano il sostegno economico all'ex coniuge, anche se il quantum, in caso di concorso con il diritto del coniuge superstite, deve essere modulato sulla base della verifica giudiziale, diretta ad accertare gli elementi in fatto, che conducono a una ripartizione equa fra gli aventi diritto;
c) il principio secondo il quale l'entità dell'assegno non costituisce un limite alla determinazione della quota di pensione di reversibilità non comporta che l'entità di tale assegno non debba essere in alcun modo valutato, essendo, anzi, la considerazione dello stesso fondamentale per consentire l'esplicazione, nella concreta fattispecie, della funzione solidaristica propria dell'istituto, volto a sopperire alla perdita del sostegno economico dato in vita dal lavoratore deceduto da parte di tutti gli aventi diritto;
d) la Corte di merito non solo non ha tenuto dell'entità dell'assegno divorzile come limite alla determinazione della quota di pensione di reversibilità, ma non ha valutato in alcun modo di tale elemento, aggiungendo che, comunque, il criterio della durata del matrimonio rimane pur sempre l'elemento preponderante.
Viene quindi enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di determinazione della quota di pensione di reversibilità all'ex coniuge divorziato ai sensi dell'art. 9, comma 3, L. n. 898 del 1970, la quota spettante a quest'ultimo non deve necessariamente corrispondere all'importo dell'assegno divorzile, né tale quota di pensione ha in detto importo un tetto massimo non superabile, ma, in conformità all'interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto, tra gli elementi da valutare, senza alcun automatismo, deve essere compresa anche l'entità dell'assegno divorzile, in modo tale che l'attribuzione risponda alla finalità solidaristica propria dell'istituto, correlata alla perdita del sostegno economico apportato in vita dal lavoratore deceduto in favore di tutti gli aventi diritto."