Un diverso orientamento della Cassazione rispetto a quello delle sentenze di San Martino

La Corte di Cassazione con l’ordinanza del 27 marzo 2019 n. 8442 sembra allontanarsi definitivamente dai principi enunciati nelle famose sentenze di S. Martino (Cass. Civ. 11 novembre 2008 nn. 26972, 26973, 26974, 26975 e 26976).

Martedi 23 Aprile 2019

La Suprema Corte nella sentenza 26972/ 2008 ha enunciato i seguenti principi: “Quando il fatto illecito integra gli estremi di un reato, spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, ivi compreso il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva causata dal reato. Tale pregiudizio può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità), e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad es., derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto): in quest'ultimo caso, però, di esso il giudice dovrà tenere conto nella personalizzazione del danno biologico o di quello causato dall'evento luttuoso, mentre non ne è consentita una autonoma liquidazione.....

La perdita di una persona cara implica necessariamente una sofferenza morale, la quale non costituisce un danno autonomo, ma rappresenta un aspetto - del quale tenere conto, unitamente a tutte le altre conseguenze, nella liquidazione unitaria ed omnicomprensiva - del danno non patrimoniale.

Ne consegue che è inammissibile, costituendo una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione, al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza di un fatto illecito costituente reato, del risarcimento a titolo di danno da perdita del rapporto parentale, del danno morale (inteso quale sofferenza soggettiva, ma che in realtà non costituisce che un aspetto del più generale danno non patrimoniale)…Il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata danno esistenziale perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione costituzionale dell'art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione.

Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. È compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione”. Cass. civ. Sez. Unite Sent., 11/11/2008, n. 26972. 

La Cassazione in questo orientamento pur accettando la struttura bipolare del risarcimento del danno alla persona, ossia di danno  patrimoniale e non patrimoniale, ritiene che il danno  morale rientri nell’ambito del danno biologico e che al giudicante è consentito certamente tenerne conto in sede di liquidazione del danno ma solo “personalizzando” il danno biologico e che nell’alveo del danno morale così precisato rientri pure il danno “esistenziale”.

Pertanto il danno biologico, il danno morale e esistenziale rappresentano tutti componenti dell’unica voce del danno non patrimoniale, si sancisce, così l’onnicomprensività del danno non patrimoniale.

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L’ordinanza 8442/2019 si allontana sensibilmente da questo orientamento perché ritiene che il danno morale sia ontologicamente differente dal danno biologico, ma anche che il danno morale e quello esistenziale siano pregiudizi autonomamente risarcibili perché tendono a “riparare” diverse situazioni costituzionalmente protette: “Al riguardo, deve ribadirsi quanto di recente affermato da questa Corte, ovvero che in "tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti" (e tale è certamente quello in esame, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 29 e 30 Cost., nonchè - mercè la norma costituzionale interposta costituita dall'art. 8 CEDU - dallo stesso art. 117 Cost., comma 1), "il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l'aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo "in pejus" con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell'accertamento e della quantificazione del danno risarcibile - alla luce dell'insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) - è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti" (Cass. Sez. 3, sent. 17 gennaio 2018, n. 901, Rv. 64712502).

Del resto, già in passato questa Corte - come non hanno mancato di riferire i ricorrenti - ha affermato che, "in tema di risarcimento del danno ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali", spetta a costoro "anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso", fermo restando che, trattandosi di "una sofferenza interna del soggetto, esso, da una parte non è accertabile con metodi scientifici e, dall'altra, come per tutti i moti dell'animo, solo quando assume connotazioni eclatanti può essere provato in modo diretto, non escludendosi, però, che, il più delle volte, esso possa essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità" (Cass. Sez. 3, sent. 3 aprile 2008, n. 8546, Rv. 602633-01).

Il danno morale è ontologicamente diverso dal danno biologico in quanto il primo attiene alla sfera interna , interiore, del danneggiato ed alla sua sensibilità emotiva mentre il secondo attiene alla lesione dell’integrità psico – fisica del danneggiato; entrambi però vanno risarciti perché diversi sono anche i diritti costituzionalmente garantiti. Diverso da danno morale e biologico è il c.d. danno esistenziale che attiene all’alterazione del modo di vivere quotidiano del danneggiato e al rapportarsi dello stesso con l’ambiente esterno e con le altre persone in maniera sofferente.

Il danno morale è per così dire “un aspetto interiore del danno” mentre il danno esistenziale è un aspetto esteriore perché ha modificato in pejus la qualità della vita del danneggiato. Interessantissimo è anche il punto della ordinanza in tema di onere della prova: il danno morale e quello esistenziale possono essere provati con ogni mezzo e, quindi, anche per presunzioni.

Non c’è “automatismo” tra danno biologico e danno morale, ma quest’ultimo va allegato e provato anche attraverso delle presunzioni. Il danno morale è diverso dal danno esistenziale perché si tratta di due pregiudizi diversi ed autonomi e sono autonomamente risarcibili.

L’ordinanza n. 8442/2019 è ad avviso dello scrivente assolutamente condivisibile perché si possono rinvenire anche interventi del legislatore in tal senso. Gli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni richiamano per il danno biologico le tabelle delle menomazioni facendo chiaramente intendere che si tratta di tutelare il diritto alla salute mentre nel caso del danno morale si fa riferimento alla entità delle sofferenze e al turbamento d’animo lasciando quindi comprendere che in questo caso da tutelare c’è la dignità della persona ex art. 2  e 3 della Costituzione. Anche gli articoli 1 e 4 del D.P.R. 181/09 (sui  criteri medico-legali per l'accertamento e la determinazione dell'invalidità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo) offrono una chiara distinzione tra danno biologico e morale.

L’art. 1 ricollega il danno biologico alla lesione dell'integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, mentre il danno morale viene individuato nella sofferenza soggettiva creata dal fatto lesivo in sé considerato.  

Ciò che può aver “fuorviato” gli interpreti nonché fautori della teoria della unitarietà del danno biologico e del danno morale è probabilmente la “tecnica” di liquidazione prevista in entrambe le normative qui richiamate che determinano il danno morale in una percentuale del danno biologico. Invero la modalità di liquidazione del danno non fa che semplificare la stessa in termini di “determinazione economica” ma non riduce i due danni, ripetesi ontologicamente diversi, ad un “unicum.”

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