Il diritto della vittima di violenza sessuale ad essere risarcita dallo Stato.

Giovedi 3 Dicembre 2020

La Corte di Cassazione ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri per la mancata attuazione della direttiva 2004/80/CE, “relativa all'indennizzo delle vittime del reato” ed in particolare dell'obbligo previsto dall'articolo 12, par., 2, a carico degli Stati membri di introdurre, entro il 1° luglio 2005, un sistema generalizzato di tutela indennitaria, capace di garantire un adeguato ristoro, in favore delle vittime di tutti i reati violenti ed intenzionali, compreso, dunque, anche il reato di violenza sessuale.

In linea con l'orientamento delineato lo scorso 16 luglio dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, la Cassazione, con la sentenza n. 26757, depositata il 24 novembre 2020, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri per la mancata attuazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2004/80/CE, del 29 aprile 2004, “relativa all'indennizzo delle vittime del reato”.

La Corte di Giustizia si è pronunciata sulla domanda circa l'interpretazione della direttiva succitata, proposta dalla Corte di Cassazione nel procedimento tra la Presidenza del Consiglio e una cittadina italiana, la quale chiedeva fosse dichiarata la responsabilità extracontrattuale, a carico dello Stato italiano, per il danno cagionatole a seguito del mancato recepimento della direttiva. La Corte nella sentenza C-129/19, ha ritenuto applicabile il regime extracontrattuale ad uno Stato membro per non aver applicato in tempo utile la direttiva nei confronti di vittime residenti nel proprio territorio e nel cui perimetro il reato intenzionalmente violento è stato commesso.

Sulla base dell'articolo 12, par., 2, della direttiva, la Corte ha, altresì, chiarito che i destinatari degli indennizzi sono tutte le vittime residenti nel territorio di uno Stato membro e non solo quelle transfrontaliere, e che per quanto riguarda l'importo dell'indennizzo, esso “non può essere puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime”.

Fatta questa premessa, vediamo quale è stato l'iter che ha portato la Suprema Corte alla decisione in oggetto. Nel 2005, una cittadina italiana appena maggiorenne, a seguito di aggressione e di sequestro, viene costretta da due soggetti a subire atti sessuali. A conclusione del procedimento di primo grado, i due venivano condannati alla pena di 10 anni e sei mesi di reclusione oltre al risarcimento del danno, con assegnazione, in favore della vittima di violenza sessuale di una provvisionale immediatamente esecutiva di euro cinquantamila. A causa della latitanza dei due condannati, la donna aveva intrapreso un'azione civile di risarcimento nei confronti dello Stato citando in giudizio, innanzi al Tribunale di Torino, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, affinchè ne venisse dichiarata la responsabilità per la mancata attuazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2004/80/CE ed in particolare dell'obbligo di introdurre, entro il 1°luglio 2005, un “sistema generalizzato di tutela indennitaria”, in grado di assicurare “un adeguato ed equo ristoro” a tutte le vittime dei reati violenti ed intenzionali.

Il Tribunale, nel 2010, dichiarava l'inadempimento della Presidenza del Consiglio, per la mancata attuazione delle disposizioni europee, condannando la stessa al pagamento di euro novantamila. La Corte d'Appello, nel 2012, riformava la sentenza solo per la parte relativa alla misura risarcitoria ( da novantamila a cinquantamila euro), confermando, nel resto, la condanna ed evidenziando che l'indennizzo non coincideva con “un pieno risarcimento danno” e ciò in quanto l'inerzia da parte dello Stato ha impedito che la violenza sessuale subita potesse rientrare tra i reati intenzionali violenti che avrebbero consentito alla giovane donna di ottenere un indennizzo “equo ed adeguato”.

Con ordinanza interlocutoria n. 2964 del 31 gennaio 2019, veniva richiesto alla Corte di Giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale sulle due questioni riportate in apertura di queste brevi considerazioni. La Cassazione, nella sentenza n. 26757, allineandosi alla pronuncia del giudice comunitario, ha ribadito la responsabilità dello Stato “per omessa, incompleta o tardiva trasposizione di direttiva eurocomunitaria nell'ordinamento interno”, sottolineando che la stessa riveste natura di illecito contrattuale e che, come tale “genera un'obbligazione risarcitoria in conseguenza di detto inadempimento, i cui effetti pregiudizievoli sono da ristorare integralmente ai sensi dell'articolo 1223 c. c. o con valutazione equitativa del danno non altrimenti dimostrabile nel suo preciso ammontare, ex art. 1226 c.c”.

Pertanto, il parametro per la valutazione del danno subito dal soggetto a causa dell'inadempimento dello Stato, è costituita “dall'ammontare dell'indennizzo di cui esso, (…), avrebbe avuto diritto ab origine come bene della vita garantito dall'obbligo di conformazione del diritto nazionale a quello dell'Unione”. Tra il diritto scaturente dall'art. 12, par., 2 e il risarcimento del danno, in sede civile, conseguente al reato di violenza sessuale, non vi è alcuna coincidenza e ciò in quanto, quest'ultimo, attiene all'ambito dei danni alla persona, disciplinati dagli artt., 2043 e 2059 codice civile.

La Corte chiarisce anche che, al caso di specie, è stata applicata la cosiddetta compensatio lucri cum damno e, pertanto, dall'ammontare riconosciuto all'attrice a titolo di danno per la tardiva trasposizione della direttiva nel nostro ordinamento, liquidato dalla Corte d'Appello di Torino in € cinquantamila, deve essere detratta la somma di € venticinquemila, corrisposta alla stessa a titolo di indennizzo, ex legge n. 12 del 2016. Sulla base di questo chiarimento, la Corte “condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica, al pagamento, in favore della controricorrente, della somma di euro 30.022,43, oltre interessi legali dal 17 novembre 2020 al saldo”.

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