La riforma del reato di violenza sessuale

La Commissione Giustizia della Camera, nell’ambito dell’esame, in sede referente, della proposta di legge in tema di “Modifica dell’articolo 609-bis del codice penale in materia di violenza sessuale e di libera manifestazione del consenso” (C.1693 Boldrini, C. 2151 Sportiello e C. 2279 Ascari), nella seduta del 13 Novembre, ha approvato all’unanimità un importante emendamento che modifica il testo dell’art 609-bis in relazione alla mancanza di consenso della Vittima di violenza sessuale.

Giovedi 20 Novembre 2025

Il testo dell’emendamento prevede quanto segue:

L’articolo 609-bis del codice penale è sostituito dal seguente:Chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali ad un’altra persona senza il consenso libero e attuale di quest’ultima è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

Alla stessa pena soggiace chi costringe taluno a compiere o a subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità ovvero induce taluno a compiere o a subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica o di particolare vulnerabilità della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Si tratta di un cambiamento epocale sul piano culturale e giuridico che rafforza la tutela della libertà sessuale.

La riforma chiarisce che il consenso deve essere:

  • esplicito e volontario, non presunto o dedotto da comportamenti ambigui;

  • attuale, cioè valido nel momento in cui l’atto sessuale avviene;

  • libero, privo di coercizione, intimidazione, manipolazione o incapacità di intendere e volere.

La modifica apportata alla norma in questione dà concreta esecuzione alla Convenzione di Istanbul superando la ormai vetusta concezione di violenza e minaccia.

In tal modo il delitto di violenza sessuale, disciplinato dall’articolo 609-bis, viene integrato con la tutela della mancanza di un “consenso libero ed attuale” da parte della malcapitata Vittima nei casi di costrizione ad un rapporto sessuale contro la sua volontà.

In effetti l’originaria formulazione della norma, peraltro analoga a quella in vigore in altri Paesi Europei, come la Germania e la Spagna, era stata già criticata siccome ritenuta espressione di una concezione “vetero maschilista” che presupponeva una posizione dominante della condotta dell’uomo nei confronti della donna ai fini del rapporto sessuale .

Invero, il bene tutelato nei delitti di cui agli articoli 609-bis e ss. c.p. ossia quello della libertà di autodeterminazione della persona, al posto del vecchio riferimento alla moralità pubblica e al buon costume, avrebbe già da tempo dovuto comportare la sanzionabilità di una condotta realizzata in mancanza del consenso al rapporto sessuale della persona offesa.

Va sottolineato che sulla necessità di introdurre il requisito del consenso era già intervenuta la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, c.d. Convenzione di Istambul, adottata l’11.5.2011 e ratificata dall’Italia con la Legge del 27.6.2013, n. 77

Tale Convenzione, all’art 36, co 1, obbliga gli Stati aderenti ad adottare “misure legislative o di altro tipo necessarie per perseguire penalmente i responsabili dei seguenti comportamenti intenzionali: a) un atto sessuale non consensuale compiuto sul partner con qualsiasi parte del corpo o con un oggetto; b) altri atti sessuali compiuti senza il suo consenso; c) costringere il partner a compiere atti sessuali non consensuali con un terzo”.

Inoltre lo stesso articolo specifica, al co.2, che “il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto”.

Dopo l’avvenuta ratifica della Convenzione, il nostro Paese avrebbe già dovuto riformulare il reato di violenza sessuale incentrandolo sul necessario consenso e non più sulla violenza o minaccia.

A tanto aggiungasi che, più di recente, in tal senso si è orientato il legislatore tedesco emanando nel 2016 la nuova disciplina dei “delitti contro la libertà sessuale” intitolata “potenziamento della tutela della libertà sessuale”.

In base al nuovo testo, si punisce “chiunque, contro la volontà riconoscibile del partner, compia o faccia compiere atti sessuali su di essa o la induca a compiere o tollerare atti sessuali da parte di terzi”.

Ancora più netta è stata la soluzione adottata dalla Spagna con la Ley Orgánica 10/2022, “de garantía integral de la libertad sexual” nella quale è stata eliminata la distinzione tra abuso sexual e agresión sexual prevedendo solo la fattispecie di agresión sexual nel nuovo articolo 178.

In base a detto articolo, il reato è integrato da “qualsiasi atto che attenti alla libertà sessuale di un’altra persona senza il suo consenso”; e viene precisato che “c’è consenso solo quando questo sia stato manifestato in maniera libera attraverso atti che, in base alle circostanze del caso, esprimano in maniera chiara la volontà della persona”come sancito dalla Convenzione di Istambul.

Infine la riforma italiana segue di poche settimane l’introduzione del consenso assertivo nel Codice Penale Francese.

In Francia il legislatore ha definito lo stupro come qualsiasi atto sessuale compiuto in assenza del consenso espresso della persona, riconoscendo che l’assenza di opposizione non equivale a consenso.

L’Italia, con la novella in questione, si allinea a una visione più moderna e rispettosa dell’autonomia corporea, già sostenuta da organismi internazionali come il Consiglio d’Europa e il Parlamento europeo, come innanzi ricordato.

Peraltro, la giurisprudenza di legittimità della Cassazione si era già orientata a riconoscere il necessario consenso assertivo della Vittima al rapporto sessuale.

Infatti, secondo la Cass. Pen. sez. III sentenza n. 42821/2024, l’assenso all’atto sessuale costituisce l’elemento fondante della volontarietà al suo compimento e non può essere desunto dalla mancata espressione di un dissenso esplicito.

Pertanto, se la persona non esprime il proprio consenso assertivo alla invasione della sua sfera sessuale più intima, non può presumersi alcuna presunzione atta a escludere il dolo di chi ne approccia le parti intime o mira al compimento di un rapporto fisico con la Vittima.

Tanto meno il necessario consenso può essere integrato dall’atteggiamento di tanatosi (ossia del fingersi morta) assunto dalla vittima contraria ad ogni rapporto anzi, la sua totale inerzia non dimostrerebbe uns condotta collaborativa che sottintenda un qualche consenso all’atto sessuale.

Per contro, una tale larvata difesa da parte della Vittima risulta tipica nei casi di aggressione sessuale proprio in ragione della percezione della violenza che sta subendo la stessa, che va intesa come manifestazione di uno stato d’animo che escluderebbe qualsiasi volontà di partecipazione al rapporto forzato

Più di recente, la stessa Corte, III Sez Penale, nella sentenza 13 giugno 2025, n. 22297,ha affermato che “in tema di violenza sessuale è irrilevante il ritardo con il quale la vittima esprime il proprio dissenso, posto che la sorpresa può essere tale da superare ogni sua contraria volontà, ponendola nell'impossibilità di difendersi.

Pertanto, secondo la citata sentenza n. 42821/2024, l’assenso all’atto sessuale è elemento fondante della volontarietà al suo compimento e non può essere desunto dalla mancata espressione di un dissenso esplicito.

Quindi se la persona non esprime il proprio no all’invasione della sua sfera sessuale non scatta alcuna presunzione atta a escludere il dolo di chi ne approccia le parti intime o mira al compimento di un rapporto fisico con la stessa.

Sull’argomento meritano di essere analizzate altre due delle più recenti e innovative pronunce degli Ermellini ed, in particolare, la Sentenza n. 19599/2023 e la n. 47018/ 2023.

Sulla necessità del consenso assertivo da parte della Vittima va esaminata, anzitutto, la Sentenza della III Sez. Penale del 10 maggio 2023, n. 19599,resa sul ricorso del Procuratore generale e della parte civile avverso la sentenza della Corte di Appello di L’Aquila che, in riforma della condanna pronunciata in sede di giudizio abbreviato, assolveva i due imputati dal reato di violenza sessuale di gruppo commesso ai danni di una minorenne.

Il Procuratore generale riteneva che la Corte di Appello avesse travisato il significato scientifico dei risultati dell’indagine genetica poiché aveva ritenuto che le tracce biologiche rinvenute sulla Vittima contenevano un profilo genetico misto attribuibile ai due imputati e che stessa Corte avesse omesso di conformarsi al canone della cosiddetta “motivazione rafforzata”, necessario per ribaltare la valutazione del giudice di primo grado.

La parte civile, a sua volta, sosteneva che la Corte di Appello non avesse impedito la “vittimizzazione secondaria” della persona offesa disponendone la riaudizione in secondo grado e che la Corte territoriale avesse fondato il giudizio di inattendibilità sulla fragilità psichica della minore, che, invece, sarebbe stata conseguenza dell’evento traumatico, e sulla ricostruzione della vicenda da questa operata.

Infine, il difensore della parte offesa lamentava l’omessa considerazione della mancanza di consenso al rapporto che rappresentava un elemento cardine del delitto contestato agli imputati.

Nella decisione emanata, la Cassazione ha ritenuto totalmente fondato il ricorso affermando che “secondo costante giurisprudenza, integra l’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona» (Fattispecie in tema di atti sessuali realizzati nei confronti di una persona dormiente).

La Corte ha altresì affermato che «l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale (V.Sez. III, n. 2400 del 5/10/2017, Rv. 272074 – 01; Sez. III, n. 17210 del 10/03/2011, Rv. 250141 – 01).

Ai fini della consumazione del reato di violenza sessuale, è richiesta la mera mancanza del consenso, non la manifestazione del dissenso, ben potendo il reato essere consumato ai danni di persona dormiente (V.Sez. III, n. 22127 del 23/06/2016, Rv. 270500 – 01).

Né è sufficiente il mero consenso all’atto sessuale, è altresì necessario che il consenso riguardi la specifica persona che quell’atto compie (arg. ex art. 609-bis, comma secondo, n. 2, cod. pen.)».

E ancora, la Corte ha affermato (V-Sez. III n. 12628 del 17/12/2019, dep. 2020, n.m.) che «non è ravvisabile in alcuna fra le disposizioni legislative introdotte a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 66 del 1996, [...] un qualche indice normativo che possa imporre, a carico del soggetto passivo del reato [...] un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso alla intromissione di soggetti terzi nella sua sfera di intimità sessuale, dovendosi al contrario ritenere [...] che tale dissenso sia da presumersi e che pertanto sia necessaria, ai fini dell’esclusione dell’offensività della condotta, una manifestazione di consenso del soggetto passivo che, quand’anche non espresso, presenti segni chiari ed univoci che consentano di ritenerlo esplicitato in forma tacita»

In sostanza, nei reati contro la libertà sessuale, il dissenso è sempre presunto salva prova contraria.

Tale interpretazione appare anche conforme alla succitata Convenzione di Istanbul, il cui articolo 36 impegna gli Stati a punire qualsiasi «atto sessuale non consensuale (OMISSIS)» nonché «altri atti sessuali compiuti su una persona senza il suo consenso».

La sentenza, affermando che «la stessa persona offesa ha riferito di avere bevuto qualche bicchiere di vino insieme agli imputati, ma non tanto da ubriacarsi e non ragionare», sembrerebbe lasciare intendere, sia pure in modo larvato, una sorta di«consenso implicito», soluzione ermeneutica che sembrerebbe ravvisare la non punibilità degli atti sessuali compiuti in mancanza di un esplicito dissenso della vittima, finendo così per porre in capo ad essa l’onere di resistere all’atto sessuale che le viene imposto, quasi gravasse sulla vittima una «presunzione di consenso» agli atti sessuali da dover di volta in volta smentire, ciò che si risolverebbe in una supina accettazione di stereotipi culturali ampiamente superati”.

Successivamente la Sentenza del 23 novembre 2023 n. 47018 emessa dalla Cassazione Penale, Sezione III, ha chiarito il concetto secondo cui “l’induzione necessaria affinché si configuri il reato di violenza sessuale non si identifica solo con la persuasione subdola ma si estrinseca in qualsiasi forma di sopraffazione nei confronti della vittima, che, a causa della sua condizione di inferiorità, soggiace al volere dell’autore che mette in atto la condotta”.

La sentenza, pertanto, assume particolare interesse sia in relazione alle motivazioni rese sul difetto di correlazione tra accusa e sentenza denunciata dal ricorrente, sia in relazione alle fattispecie di costrizione e di induzione.

Tale contestazione era stata formulata ai sensi dell’art. 609-bis, comma 1, c.p., tuttavia secondo i Giudici di merito non vi era stata una violenza con costrizione fisica, perché la paziente era allettata, ancora sotto gli effetti dell’anestesia per l’intervento subito nel pomeriggio, e quindi in condizioni di minorata difesa.

Di qui, la riqualificazione del fatto come induzione senza che fosse ravvisabile una modifica sostanziale dello stesso, posto che nella descrizione formulata nel capo di imputazione si dava conto delle condizioni della donna, limitata nella sua libertà personale dopo l’intervento chirurgico, nonché della circostanza di tempo notturna nella quale si consumava il fatto e del delicato contesto, stante il rapporto non paritario tra il paramedico e la paziente.

La Corte ha escluso nella specie la violazione del principio di correlazione, precisando testualmente che: “del reato per cui è intervenuta la condanna, sono ravvisabili tutti gli elementi costitutivi, ovverosia le menomate capacità intellettive e/o volitive, la consapevolezza di tale menomazione da parte dell’agente, l’induzione a subire l’atto sessuale invasivo” e sottolineando l’importanza di questo altro aspetto e cioè: “che l’induzione necessaria ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, non si identifica solamente nella attività di persuasione subdolamente esercitata sulla persona offesa per convincerla a prestare il proprio consenso all’atto sessuale, potendo estrinsecarsi in qualsiasi forma di sopraffazione posta in essere dall’agente, sia pur senza ricorrere ad atti costrittivi ed intimidatori nei confronti della vittima, la quale, non risultando in grado di opporsi, a causa della sua condizione di inferiorità, soggiace al volere dell’autore della condotta, divenendo strumento di soddisfazione delle voglie sessuali di quest’ultimo.

Peraltro, la donna aveva subito la condotta violenta, anche nell’ignoranza della pratica medica, di cui aveva acquisito piena consapevolezza solo dopo il confronto con il sanitario il giorno successivo. Di qui il differenziale qualificato di potere tra il soggetto passivo e quello attivo nonché l’attività di strumentalizzazione della suddetta condizione da parte dell’agente volta ad ottenere prestazione sessuale, cui la vittima non si sarebbe altrimenti prestata (v.Sez. III, n. 52835 del 19/06/2018 – dep. 23/11/2018, P, Rv. 27441702)”.

  • Conclusioni

Indubbiamente, la crescita del numero delle Vittime è anche da attribuire ad una maggiore consapevolezza e sensibilizzazione delle persone offese circa le tutele offerte dallo Stato per taluni reati ra i quali rientrano i maltrattamenti in famiglia (art.572), gli atti persecutori ossia il reato di “stalking” (art 612 Bis) e la violenza sessuale (art. 609 bis) benché la grande maggioranza dei procedimenti penali aventi ad oggetto condotte di violenza prende avvio dalle denunce-querele delle vittime stesse, ma anche da segnalazioni di altri soggetti coinvolti, come i servizi sanitari e ospedalieri o dai Centri di ascolto e antiviolenza istituiti sul Territorio.

Le indagini preliminari, coordinate dal Pubblico Ministero, in questi casi, dovrebbero assumere una particolare speditezza, che possa garantire l’adozione di provvedimenti immediati ed efficaci a tutela della vittima e che evitino fenomeni di “vittimizzazione secondaria” come innanzi ricordato.

Le misure cautelari a tutela della vittima di reati di violenza di cui il Pubblico Ministero può richiedere l’applicazione al Giudice per le indagini preliminari sono ricomprese in un ventaglio ampio ma tassativo e includono, oltre ovviamente alla custodia cautelare in carcere, agli arresti domiciliari, all’allontanamento dalla casa familiare ed il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Altre e più idonee misure di tutela della Vittima possono essere rafforzate dall’applicazione di un dispositivo di controllo, il cd. “braccialetto elettronico”, che impedisce all’indagato di avvicinarsi alla persona offesa senza che venga dato avviso immediato alle autorità a mezzo di un apposito segnale di cui si lamenta il malfunzionamento.

In casi particolarmente gravi, la Vittima può anche essere ospitata in un luogo protetto, la localizzazione del quale è segreta.

Nel corso delle indagini potrà essere richiesto dal Magistrato inquirente un incidente probatorio, allo scopo di acquisire dalla Vittima il racconto del reato subito, senza che l’eccessivo decorso del tempo deteriori la memoria.

Sulla importante questione si è espressa di recente la Cassazione, stabilendo che l’incidente probatorio “è un atto dovuto in presenza di vittime di reati di violenza domestica e di genere, oltre che di stalking, inclusi dunque i delitti cd. da Codice Rosso. come previsto dalle Convenzioni internazionali, poiché l’Italia ha assunto l’obbligo di garantire maggiore tutela alle persone offese, evitando la vittimizzazione secondaria”.

E proprio sul confine marcabile tra “mancanza di consenso” e “manifestazione di dissenso” da parte della persona offesa è tornata a pronunciarsi la Suprema Corte di Cassazione, che con le più recenti pronunce ha cercato di apporre un punto definitivo sulla vexata quaestio.

In definitiva, con il provvedimento all’esame del Parlamento, il Legislatore ha introdotto un nuovo assetto di tutele per le Vittime imperniato sul rispetto della volontà espressa dalla persona e sulla difesa della autodeterminazione della stessa soprattutto nell’ambito sessuale, elevando la libertà sessuale e individuale a diritti fondamentali della persona.

La giurisprudenza, come innanzi esposto, ha colorato di significato la nozione di consenso, precisando che il reato di cui all’art. 609bis c.p. si configura in presenza di una manifestazione di dissenso da parte della vittima, ma anche quando l’atto sessuale è posto in essere in mancanza di consenso, non espresso neanche tacitamente.

Inoltre, la Cassazione ha sottolineato che il consenso della vittima al compimento degli atti sessuali deve permanere per tutto il rapporto, potendo venire meno a causa di un successivo ripensamento o per la mancata condivisione delle forme di consumazione del rapporto.

Da tale ricostruzione risulta evidente l’intento del Legislatore e della giurisprudenza di apprestare una tutela massima alle Vittime di violenza sessuale.

Nello stesso tempo, maggiore chiarezza dovrebbe essere fatta dal Legislatore sul concetto di consenso, poiché, sebbene con il termine consenso si intenda la presenza di una espressa volontà affermativa, talvolta esso viene ancora erroneamente ritenuto un complemento necessario di altra condizione, esterna al consenso stesso ed indipendente da questo.

In conclusione, sebbene risulti ormai pacifico che il consenso della vittima non possa essere dedotto da elementi diversi dal consenso stesso il quale deve essere libero di formarsi ed esprimersi chiaramente, appare auspicabile, quanto necessaria, la riforma dell’art. 609-bis del C.P. volta ad inserire nella disposizione stessa la locuzione «contro il consenso della persona offesa», al fine di fugare ogni ulteriore margine di dubbio circa la sua interpretazione.

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