Benefici penitenziari per i condannati per violenza sessuale: la pronuncia della Corte Costituzionale

"La peculiare ratio che giustifica il periodo di osservazione nei confronti di soggetti condannati per violenza sessuale è stata, del resto, ulteriormente rimarcata dalla legge 1° ottobre 2012, n. 172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonchè norme di adeguamento dell'ordinamento interno), che, modificando l'art. 4-bis, comma 1-quater o.p., ha ampliato l'elenco dei delitti rispetto ai quali l'accesso ai benefici penitenziari è subordinato ai risultati positivi dell'osservazione scientifica della personalità del condannato per almeno un anno".

Venerdi 18 Febbraio 2022

La Corte Costituzionale, con sentenza del 15 febbraio 2022, n. 33, ha dichiarato l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1-quater, della L. 26 luglio 1975, n. 3541, nella parte in cui prevede che i benefici di cui al comma 1 possano concedersi al condannato per i delitti di violenza sessuale e violenza sessuale aggravata (rispettivamente, artt., 609-bis e 609 ter cod. pen.), solo a seguito delle risultanze dell'osservazione scientifica della personalità condotta, collegialmente, "per almeno un anno".

La questione veniva sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Messina, a parere del quale, la norma censurata violerebbe gli articoli 3 e 27 della Costituzione.

Il primo per contrasto con il principio di ragionevolezza perchè "la rigidità del parametro temporale fissato dal legislatore" - il quale vieta l'accesso ai benefici quando la pena da espiare, anche se residua, risulti inferiore ad un anno - si fonderebbe su una presunzione "assoluta, arbitraria e irrazionale", essendo, la personalità del condannato, passibile di un'osservazione di più breve durata, in grado di far emergere la personalità dello stesso riguardo l'idoneità di una misura alternativa alla detenzione, finalizzata alla rieducazione e alla prevenzione del compimento di ulteriori reati. Per il giudice rimettente, la durata dell'osservazione necessaria per valutare l'ammissibilità o meno dell'applicazione del beneficio, dovrebbe essere, temporalmente, proporzionata alla personalità del reo in relazione alla quale, in taluni casi, la prestabilita durata annuale potrebbe risultare non in linea con la finalità della misura, con ciò richiamando l'art. 13 dell'ordinamento penitenziario, ai sensi del quale il fine ultimo della misura è quello di "rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto" e che tutti i condannati debbano essere sottoposti alla relativa osservazione scientifica della personalità "per rilevare le carenze psicofisiche o le altre cause che hanno condotto al reato".

Con ciò si creerebbe una disparità di trattamento tra i cosiddetti sex offenders e gli autori di altre tipologie di reati per i quali il legislatore ha indicato un termine massimo di 6 mesi di durata dell' osservazione proprio per evitare che un termine troppo lungo incidesse sul percorso di trattamento del detenuto.

Infine, risulterebbe violato anche l'art. 27 Cost., perchè la rigidità della soglia temporale prescritta, impedendo una valutazione soggettiva del reo, farebbe sì che l'inevitabile espiazione della pena in regime carcerario per almeno un anno, o dell'intera pena, se inferiore all'anno, possa assumere un carattere afflittivo e non educativo.

La Consulta ha dichiarato le questioni inammissibili per insufficiente descrizione della fattispecie concreta e difetto di motivazione sulla rilevanza, sottolineando che il giudice rimettente riferisce che l'istante è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, a tre anni e sei mesi di reclusione per tre diversi reati: sequestro di persona aggravato, lesioni personali aggravato e violenza sessuale aggravata. Solo quest'ultimo reato è ostativo alla concessione dei benefici penitenziari.

Il giudice ha omesso sia di verificare che di indicare a quale dei reati ascritti era imputabile la frazione di pena residua di 2 anni e 18 mesi di reclusione che il soggetto doveva scontare alla data dell'ordinanza di remissione. La Corte rimanda all'indirizzo maggioritario della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di cumulo - materiale e giuridico - di pena inflitte per diversi titoli di reato, è necessario procedere allo scioglimento del predetto cumulo "venendo meno l'impedimento alla fruizione dei benefici penitenziari qualora l'interessato abbia già espiato la parte di pena relativa ai reati ostativi"; precisando, ulteriormente, che deve ritenersi scontata per prima la pena più gravosa per il reo, vale a dire quella che fa riferimento a quei reati che non consentono l'accesso ai relativi benefici.

La Consulta rimanda, a tal proposito, alle indicazioni offerte con la sentenza n. 361 del 1994 la quale "ha escluso che la disciplina dell'art. 4- bis o.p. abbia creato uno status di detenuto pericoloso destinato a permeare di sè l'intero rapporto esecutivo, a prescindere dallo specifico titolo di condanna concretamente in esecuzione".

L'ordinanza di remissione è stata considerata lacunosa "perchè non consente di verificare l'effettiva rilevanza delle questioni: il che, per costante giurisprudenza di questa Corte, ne determina l'inammissibilità ( ex plurimis, ordinanze n. 136 del 2021, n. 147 e n. 108 del 2020, n. 64 del 2019). Le questioni sarebbero, infatti, prive di rilievo ove la frazione di pena ancora da scontare fosse imputabile ai soli reati non ostativi".

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Note:

1 "Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà".

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