Vittime di violenza familiare: la sentenza del tribunale di Torino

Il Tribunale di Torino, Sez.III penale, con la sentenza 24 luglio 2025 n.2356,che ha avuto ampio risalto mediatico per i suoi contenuti controversi, ha assolto un imputato dalla contestazione di maltrattamenti in famiglia, condannandolo solo per il reato di lesioni.

Giovedi 18 Settembre 2025

Sarebbe stata considerata come una delle ordinarie storie di “ordinaria follia” tra coniugi, divenute ormai comuni nelle Aule di Giustizia, seguite dalle separazioni e dai divorzi, se non avesse suscitato forti perplessità sulla decisione assunta dai Giudici in base ad una ricostruzione...alquanto riduttiva e giustificativa delle violazioni commesse dall’imputato nei confronti della consorte, ed ancor più, poiché avvenuta alla presenza dei figli minori della coppia.

  • Il grave episodio alla base della decisione

Comunque la si guardi, la squallida vicenda merita una breve disamina.

Il grave episodio risale al 28 luglio 2022 e risulta molto grave perché, in appena sette minuti di violenza nei confronti della Vittima, una donna di 44 anni, la stessa ha subito, da parte del coniuge, una grave lesione del nervo oculare e il volto sfigurato, in seguito, ricostruito con 21 placche di titanio, che, di per sé denota la gravità dell’offesa arrecata per il quale il responsabile meritava un diverso quanto più pesante trattamento sanzionatorio.

Inoltre i colpi inferti, senza alcun limite, al viso della donna dall’energumeno, hanno provocato un indebolimento della vista e, per tale ragione, la donna ha perso anche il lavoro.

La denuncia della malcapitata all’A.G.di quanto accaduto, ha generato un processo a carico dell’imputato per maltrattamenti e per le gravi lesioni personali arrecate al coniuge, reati per i quali la stessa PM, incaricata del caso, aveva chiesto una condanna a quattro anni e sei mesi di carcere del prevenuto.

I Giudici, invece, hanno deciso, in maniera apodittica, di assolvere l’ex marito dal primo reato e di condannarlo solo per il secondo ad un anno e sei mesi, sospendendo finanche la pena comminata, poiché hanno ritenuto che le frasi ingiuriose quali «sei una puttana», «non vali niente», «non sei una madre», rivolte alla moglie davanti ai figli, sarebbero giustificabili «nel loro specifico contesto dall’amarezza per la dissoluzione della comunità domestica, che sarebbe umanamente comprensibile»(sic!!).

Peraltro, per i Giudici anche il pugno sferrato dall’uomo, con violenza, alla donna, si legge nella sentenza, va considerato “nel contesto e ricondotto alla logica delle relazioni umane», ossia al fatto che la donna avesse una relazione con un nuovo compagno andato a vivere con lei e i figli, che costituirebbe una condizione umana per la quale «l’imputato si sentiva vittima di un torto, sentimento molto umano e comprensibile per chiunque», ma certamente non tali al punto da giustificare le percosse inflitte al coniuge, a giudicare dalla loro gravità desumibile dai danni arrecati (NdR).

Il tutto è accaduto prescindendo da una sia pur minima valutazione del comportamento contra legem dell’imputato per il reato di maltrattamenti, sebbene contestato dal PM.

Per contro, proprio le parole, innanzi evidenziate, espresse dai Giudici a sostegno della infausta decisione, hanno scatenato numerose critiche a livello nazionale nei commenti alla decisione e sui massmedia, culminate con l’intervento della Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sui Femminicidi, che ha chiesto gli atti del procedimento e l’audizione dell'estensore del provvedimento.

Il PM Parodi, che presiede anche l’ANM mentre a Torino coordina il pool “Fasce deboli” della Procura, ha affermato che «questa è una vicenda seguita dal mio gruppo e la collega aveva chiesto al Tribunale di irrogare una pena severa per l’imputato a cui erano contestati il reato di lesioni gravi e quello di maltrattamenti.Purtroppo, per questo secondo reato, spesso ci sono delle assoluzioni perché ha una fattispecie estremamente indefinita».(??)

Tuttavia, «la Procura ha impugnato la sentenza per il linguaggio che è stato utilizzato dai Giudici, perché, conclude il Procuratore, “non sarebbe in linea con quei principi espressi anche dalla Corte Europea, proprio sui criteri di valutazione delle condotte poste in essere dall’autore di tali reati”.

Di segno opposto l’intervento della locale Camera Penale, sulla base di «ricostruzioni parziali e distorte, che trasformano un’assoluzione parziale in simbolo di malagiustizia e colpendo l’indipendenza dei Magistrati» posto che“senza Giudici liberi e indipendenti non vi sia giustizia, invitando stampa, politica e opinione pubblica a rispettare l’autonomia delle decisioni giudiziarie, pilastro irrinunciabile dello Stato di diritto»(benché siano tenuti anch’essi all’osservanza della normativa vigente.NdR).

Il che, tuttavia, non risolve le critiche sollevate anche dalla Dottrina sulla decisione che appare, invero, sconcertante per i risvolti che potrebbe avere nei confronti del figlio minore, coinvolto nel reato in questione ed innocente spettatore delle violenze subite dalla madre ad opera del padre (!!) e che costituiva il vero nocciolo della questione, come si dirà infra.

  • La decisione del Tribunale di Torino

In sintesi, il Tribunale, nella decidere il caso esaminato, ha escluso la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 572 C.P.ed, in particolare, quello della abitualità della condotta posta in essere dal coniuge incriminato, sulla base dell’inattendibilità della Vittima/Parte civile, le cui dichiarazioni sono state ritenute ”caratterizzate dalla tendenza a trasfigurare episodi che fanno parte dei consueti rapporti familiari in insopportabili soprusi di elevata frequenza”(!!) e dalla“sovrapposizione e conseguente identificazione delle discussioni con le violenze fisiche” (nonostante le gravi lesioni inflitte alla Vittima.NdR).

Per contro tali dichiarazioni“sono da valutarsi con estrema cautela, in ossequio alle fondamentali indicazioni di Cass. SS.UU n.4146/2012,perché proveniente da una Parte civile portatrice di macroscopici interessi personali e patrimoniali(!!),

Si legge pure nella decisione che, contrariamente a quanto affermato dalla Parte civile “è palese che non vi furono atti di violenza fisica e che, soltanto in una occasione, nel corso di una discussione, l’imputato forse allontanò da sé il viso della moglie, spingendolo con una mano, episodio che può ritenersi irrilevante ai fini del reato abituale di maltrattamenti”(!!)(che ha lasciato di stucco i commenatori, non avendo preso in considerazione le gravi lesioni al viso della donna a causa dei colpi subiti dal coniuge.Ndr) .

Sul punto, Il Tribunale afferma che quanto accaduto sarebbe confermato dalle dichiarazioni di altri testimoni, tra i quali il nuovo compagno della Vittima, poiché, secondo i Giudici, si tratterebbe di “un testimone che non può certo essere sospettato di parteggiare per l’imputato poiché dallo stesso definito come un uomo arrogante” che costituirebbe, tuttavia, “una valutazione che va ignorata, perché l’accalorarsi dell’imputato ben può essere interpretato anche come espressione del risentimento di un uomo ferito dalla condotta della moglie“ e poiché lo stesso teste avrebbe affermato che l’imputato“discuteva con sua moglie e che durante la discussione, avvicinava il suo viso a quello di lei, mentre ciò che sarebbe mancato è proprio il contatto fisico, e non si dubita che, se vi fossero state spinte, manate, schiaffi il testimone lo avrebbe dettagliatamente riferito”.

La motivazione della decisione, su questo punto rilevante, sarebbe, in tutta evidenza, in contrasto con le gravi lesioni al viso subite dalla Vittima che ne hanno cagionato il ricorso a numerosi interventi ricostruttivi da parte dei sanitari.(Ndr)

Nondimeno, lo stesso Tribunale, in maniera contradditoria con quanto asserito in sentenza, ha ritenuto provato l’episodio della violenza fisica subita dalla Vittima, ed ha condannato l’imputato per il solo reato di lesioni, evidenziando che “la ricostruzione dei fatti mostra chiaramente che il pugno fu un gesto volontario e che nessuna causa di giustificazione può essere invocata”.

Gli stessi Giudici hanno ritenuto necessario, in una maniera che ha destato lo sconcerto dei critici, affrontare il contesto nel quale l’episodio di violenza era maturato, affermando che “la causa scatenante deve essere ricercata nel risentimento, molto umano e comprensibile per chiunque, derivante dal sapere che un estraneo trascorreva del tempo nella casa che per 20 anni era stata la sua dimora familiare e si sostituiva a lui nel rapporto con i figli”.

Pertanto, in punto di fatto, il Tribunale ha ritenuto anche credibile la versione fornita dall’imputato, secondo cui lo stesso si sarebbe recato nella casa coniugale dopo aver appreso dal figlio dodicenne di avere assistito, dentro l’abitazione familiare, ad atti sessuali della madre con il suo nuovo compagno, cosa che, si legge nella pronuncia“in termini oggettivi, a prescindere dal soggettivo “fastidio” che poteva aver arrecato all’imputato, era educativamente inaccettabile”, senza trarre le dovute conseguenze per la salute psico-fisica del minore da sempre alla base delle sentenze relative ai maltrattamenti, come si dirà oltre.

Queste considerazioni, secondo i Giudici, ”avrebbero grande importanza ai fini di una corretta valutazione dell’accaduto” perché, “se si descrive l‘eccesso d’ira dello imputato, come immotivato e inspiegabile, l’uomo finirebbe per apparire come un pericoloso squilibrato, capace di ripetere indefinitamente e imprevedibilmente gesti violenti ma, al contrario, se lo sfogo venga correttamente inserito nel suo contesto, che tenga conto delle cause derivanti da comportamenti non ineccepibili della stessa Vittima, potrebbe essere ricondotto alla logica delle relazioni umane e si potrebbe ragionevolmente concludere che esso costituisca un unicum legato alle contingenze sopra descritte”.

Tutto questo, precisa il Tribunale, “assume una diretta influenza sulla valutazione della capacità a delinquere, sul riconoscimento delle attenuanti generiche, sulla quantificzione della pena e sulla concessione della sospensione condizionale della pena da infliggere”.

Inoltre, sul piano della sanzione da irrogare“l’incensuratezza, i motivi a delinquere, innanzi ricostruiti e la positiva condotta processuale giustificano il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti contestate”.

Pertanto, conclude la sentenza, una volta ritenuto il gesto violento commesso dall’imputato“legato a una specifica condizione di stress alimentata per vie diverse, per tali ragioni, questo Collegio ritiene di poter formulare una prognosi positiva circa l’astensione, in futuro, da ulteriori reati e reputa conseguentemente di poter concedere i doppi benefici di legge subordinando tale statuizione sia al percorso” imposto dal Legislatore all’art. 165 co.5 C.P., sia al pagamento della provvisionale stabilita in favore della Vittima”.

Ne è conseguita una condanna dell’imputato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di una provvisionale in favore della Vittima, regolarmente costituita in giudizio..

  • L’orientamento della Cassazione

Sin qui il provvedimento che ha suscitato grandi perplessità per la sua potata che va a di là del giudizio in questione, essendo in contrasto con le numerose decisioni della Cassazione in casi similari ed, in particolare, a tutela dei figli minori, comunque coinvolti nelle vicende alla cui base c'è il reato di maltrattamenti e violenza familiare ma anche le lesioni gravi alla Vittima di turno e che possono giungere persino alla soppressione della stessa, come narrano le cronache ormai quotidiane.

Basti ricordare che la Cassazione penale, Sez VI, con la recente sent.n.18985/ 2025 ha inteso dare continuità al principio posto a base della fattispecie aggravata dei maltrattamenti commessi in presenza del minore, ai sensi dello art.572,co.2,C.P., sebbene abbia affermato che “non sia sufficiente che il minore abbia assistito ad un singolo episodio in cui si concretizza la condotta illecita del reato.” (v.a commento R.Amadei nella Riv Terzultima Fermata)

Nella motivazione, la Corte ha richiamato la precedente decisione della stessa sezione, con la sent.n.31929/2024,che ha stabilito che, ai fini della integrazione della fattispecie aggravata dei maltrattamenti commessi in presenza del minore, ai sensi della norma innanzi citata, è necessario che il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da causare il rischio della compromissione del suo normale sviluppo psico-fisico.

La sentenza si contraddistingue per aver affermato un principio diverso da quello espresso in precedenza dalla medesima sezione, con la sent n. 21998/2023,che, sempre in tema di maltrattamenti contro familiari e conviventi, aveva ritenuto che “stante la natura abituale del reato, derivante dalla ripetizione delle condotte vessatorie, è sufficiente che anche solo una di esse sia stata posta in essere alla presenza di un minore laddove sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge 19 luglio 2019,n.69 del c.d.Codice Rosso, affinché trovi applicazione la circostanza aggravante ad effetto speciale introdotta nell’articolo citato, della Legge m 69/2019.in luogo del precedente art.61,co.primo, n.11-quinquies, C.P.e già posto a base della motivazione della sentenza n.19832/2022 prevedendo l’aumento della pena fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di persona in stato di gravidanza o di persona con disabilità”.

Tuttavia, con la sentenza del 2025, la S.C.ha precisato che, ai fini della configurabilità della fattispecie aggravata della “violenza assistita”, è necessario che il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui il minore assiste siano tali da lasciare inferire il rischio della compromissione del suo normale sviluppo psico-fisico.

La Corte è pervenuta a tale orientamento sulla base di una interpretazione strutturale della fattispecie aggravata, quale reato di pericolo astratto, in quanto fondata sull’elevata probabilità di produzione del danno in ragione della semplice realizzazione della condotta tipica, ovvero i maltrattamenti, alla presenza del minore.

In particolare, la Cassazione, affrontando il tema relativo alla configurabilità dei “maltrattamenti assistiti”, ha ritenuto necessario, sul piano della offensività in concreto della condotta, che il minore, qualunque sia la sua età, abbia presenziato ad un numero di episodi che, per la loro gravità, non solo per l’uso della violenza fisica e per la loro ricorrenza nel tempo ed abitualità, possano compromettere il sano sviluppo psico-fisico.

La Suprema Corte ha escluso, tuttavia, l’aggravante se il minore assista ad una sola condotta illecita e ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma per contrasto con l’art.3 Cost., nella parte in cui prevede il medesimo trattamento sanzionatorio per le condotte di maltrattamenti in presenza del minore e per quelle realizzate in suo danno, che costituiscono, al contrario, in una scelta rimessa alla discrezionalità del Legislatore non irragionevole, posto che la “ratio” dell’aggravante è quella di elevare la soglia di protezione di soggetti deboli mediante la tutela della integrità psicologica e di quella fisica degli stessi, in cui la prima è suscettibile di essere compromessa, nel caso in cui il minore sia spettatore di violenza in ambito familiare e l’altra ove sia egli stesso vittima di violenza (v.Cass. pen., sez. III,28 aprile 2022,n. 21024).

E’ stato, infatti, osservato, in Vittimologia.che, in ragione dell’incompletezza dello sviluppo psicofisico dei minori, essi divengono più sensibili ai riflessi dell’ azione aggressiva, specie se commessa da un genitore in danno dell’altro, e possono, così rimanerne vulnerati (!!).

In efffetti il Legislatore con la citata Riforma del Codice Rosso avrebbe inteso attribuire un maggiore disvalore penale ai fatti commessi in presenza o in danno di minori, oltre che dei soggeti fragili indicati nell’aggravante introdotta, stante l’offensività della condotta, estesa, oltre che al soggetto maltrattato, anche a colui che assiste a siffatte condotte maltrattanti.

Non va, comunque, dimenticato che i maltrattamenti in famiglia integrano un’ipotesi di reato necessariamente abituale (esclusa, tuttavia, dal Tribunale di Torino nel caso in questione) caratterizzata anche dalla sussistenza di fatti commissivi e omissivi, quali percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni, umiliazioni alla Vittima, ovvero, ancora, atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che, valutati isolatamente possono anche essere privi di rilevanza penale (Cass. pen., sez. VI,10 marzo 2016, n. 13422), ma che assumono rilevanza per effetto della loro reiterazione nel tempo e dalla loro i abitualità (Cass. pen., sez. VI,31 maggio 2012, n. 34480), come é invero accaduto nel caso descritto nella contestata sentenza del Tribunale Piemontese.

Sul punto, va rammentato l’insegnamento della Corte costituzionale in tema di necessaria offensività del reato comtenuto nella sent.n.139 del 2023 ed il correlato principio di proporzionalità della pena, desumibile dagli artt. 3 e 27,della Cost., recentemente riaffermato dalla Consulta con la sent. n. 217 del 2023,che esige che la pena sia adeguatamente calibrata al concreto contenuto di offensività del fatto di reato e al suo disvalore soggettivo, principio completamente dimenticato dalla sentenza del Tribunale in commento.

Ebbene, ad avviso della Corte di Cassazione, un’interpretazione della fattispecie aggravata di “maltrattamenti assistiti”, coerente con i principi sopra richiamati, non può prescindere dalla valutazione della concreta offensività della condotta e, dunque, dall’accertamento della presenza del minore ad un numero di episodi che per la loro gravità, intensità e reiterazione nel tempo ne hanno leso l’integrità.

Di contro, l’adesione al precedente orientamento disatteso, potrebbe comportare una possibile contrasto con i suddetti principi di offensività e proporzionalità della pena nonché, in ultima analisi con la funzione rieducativa della stessa.

In definitiva l’aggravante, introdotta dal Legislatore, proprio in ragione della maggiore offensività del fatto, da valutare nella sua globalità e non con riferimento ai singoli episodi, ha, infatti, previsto un sensibile inasprimento del trattamento sanzionatorio con l’aumento fino alla metà della pena.

Ove si ritenesse sufficiente la realizzazione di un singolo episodio alla presenza o in danno di un minore (o delle altre persone fragili contemplate dalla norma in esame) il notevole incremento sanzionatorio correlato all’aggravante potrebbe far ritenere tale pena come ingiusta, così compromettendo la funzione rieducativa ad essa assegnata dalla Costituzione.

Il fatto che il Tribunale di Torino non abbia preso in considerazione quanto innanzi esposto non depone favorevolmente sulla motivazione della decisione in commento in cui la vera Vittima da prendere in considerazione e tutelare ai fini del reato di maltrattamenti era ed è il minore e non solo la donna martoriata dal coniuge.

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