Vittime di violenza domestica e Vittimizzazione secondaria

La Commissione d’inchiesta del Senato sul Femminicidio e la Violenza ha reso nota la“Relazione sulla Vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale”.

Mercoledi 11 Ottobre 2023

La vittimizzazione secondaria è una conseguenza, spesso sottovalutata, nei casi in cui le donne sono vittima di violenza domestica allo scopo di scoraggiare la presentazione della denuncia da parte della vittima stessa.

Il primo tema trattato dalla Commissione,che costituisce anche il tema principale, è quello della disciplina normativa nazionale e internazionale e i suoi indicatori.

Di seguito vengono esposte le risultanze dell’indagine a campione compiuta presso i Tribunali civili ordinari e presso i Tribunali per i minorenni..

Infine,alla luce della attività di indagine svolta dalla Commissione,sono state formulate alcune specifiche raccomandazioni sulle più evidenti criticità emerse dall’insieme dell’indagine su casi specifici analizzati..

Alla presentazione del documento il Ministro della Giustizia Cartabia ha definito la violenza di genere “una sconfitta della nostra civiltà”e che“il diritto fondamentale della vittima di violenza è quello di non essere violata una seconda volta nella sua dignità” che costituisce un principio stabilito dalla Corte di Strasburgo proprio in pronunce che riguardano direttamente il nostro Paese, ovvero lulteriore vittimizzazione della vittima di violenza da parte delle Istituzioni o degli individui chiamati a proteggerla.

L’inchiesta è nata anche su sollecitazione di numerose madri vittime di violenza e dalla consapevolezza che solo una risposta coerente di tutte le Istituzioni può arginare la diffusione della violenza domestica e di quella di genere.

Non è,infatti,ancora ammissibile reprimere la violenza a livello penale e poi ignorarne gli effetti nei procedimenti che regolano l’affidamento dei figli o la responsabilità genitoriale,tollerando che l’autore di tali condotte, da una parte,sia indagato e condannato per quanto commesso, e,dall’altra, venga considerato un genitore idoneo a conservare un rapporto familiare con il coniuge ed i figli.

All’esito dell’inchiesta è emersa l’esigenza di un radicale mutamento all’approccio culturale sul tema, individuando gli strumenti che consentano di riconoscere la violenza domestica in maniera tempestiva e preventiva per poter intervenire in tempo utile ad evitare peggiori conseguenze, come registrano e cronache..

A tal fine, la Commissione ha evidenziato una serie di linee guida e buone prassi volte ad incrementare la formazione specifica degli operatori sul tema della violenza domestica, tra cui:

  • la specializzazione obbligatoria dei soggetti istituzionali coinvolti (forze dell’ordine, magistrati, avvocati, consulenti, operatori dei servizi sociali), con corsi di formazione sugli indici di riconoscimento della violenza domestica e sulla normativa nazionale e sovranazionale in materia;

  • la formazione di liste di operatori e professionisti specializzati, in ogni settore, sul tema della violenza domestica, cui attingere in presenza di casi di violenza;

  • l’attuazione di percorsi di formazione condivisa tra magistratura (inquirente e giudicante; ordinaria e minorile),forze dell’ordine, avvocatura, servizi sociali, servizi sanitari, centri e associazioni anti-violenza, per diffondere conoscenze atte ad individuare gli indici di violenza domestica.

Ulteriori prospettive di riforma riguardano direttamente l’impianto normativo ed, in particolare,le disposizioni che disciplinano i procedimenti di affidamento dei minori e quelli aventi ad oggetto la titolarità della responsabilità genitoriale, al fine di rendere effettiva applicazione all’art. 31 della Convenzione di Istanbul ed imprescindibile l’ascolto diretto del minore in sede di istruttoria nei giudizi per l’affidamento.

Inoltre, la Commissione ha assunto il compito di monitorare la concreta attuazione della Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, approvata a Istanbul l’11 maggio 2011[...]e quello “di accertare le possibili incongruità e carenze della normativa vigente rispetto al fine di tutelare la vittima della violenza e gli eventuali minori coinvolti” (articolo 2, comma 1, lettere b) e c)).

Invero, la c.d.Convenzione di Istanbul, all'articolo 18, stabilisce che “gli Stati firmatari si impegnano ad "evitare la vittimizzazione secondaria",che consiste nel far rivivere le condizioni di sofferenza a cui è stata sottoposta la vittima di un reato che è spesso riconducibile alle procedure delle Istituzioni a seguito di una denuncia inoltrata dalla vittima o comunque all'apertura di un procedimento giurisdizionale.

La necessità è stata anche quella di accertare le dimensioni e l’ampiezza del fenomeno della vittimizzazione secondaria nella consapevolezza che solo una risposta coerente di tutte le istituzioni può arginare la diffusione dell’endemico fenomeno della violenza domestica e di genere,sempre più diffusa..

Non si può tollerare ancora che,da una parte,l’autore di violenze venga indagato e condannato per i reati commessi e, dall’altra,venga considerato un genitore adeguato,al pari di quello che le violenze abbia subito, nei procedimenti civili e minorili ed abbiano dirette conseguenze sulla gestione della genitorialità.

Sono ,pertanto,stati sottoposti all'esame della Commissione un considerevole numero di casi emblematici riguardanti le storie giudiziarie di donne che hanno segnalato le loro vicende processuali affermando di aver subito forme di vittimizzazione secondaria a causa del mancato riconoscimento della violenza domestica da parte dei Gudici..

Cerchiamo di sintetizzare le risultanze delle indagine per contenere la esposizione nei suoi punti essenziali.

A – L’ambito dell’indagine svolta

L’allarmante diffusione di condotte di violenza domestica nei confronti delle donne nella gran parte dei Paesi ha portato all’adozione di numerosi interventi normativi nazionali e sovranazionali per il suo contrasto.

La radice culturale del fenomeno, per lungo tempo tollerato e sottovalutato, in quanto ritenuto espressione di costumi sociali consolidati, solo negli ultimi decenni ha visto una più incisiva presa di coscienza internazionale nell’ambito della tutela dei diritti umani, con la conseguente introduzione di norme più efficaci.

La Convenzione di Istanbul, ratificata in Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77, ha dettato specifiche disposizione per il contrasto ad ogni forma di violenza domestica.

Nel contrasto al fenomeno della violenza domestica,l’attenzione del legislatore e degli operatori giudiziari si è concentrata, a livello nazionale, principalmente nella repressio ne delle condotte penalmente rilevanti, con l’adozione di norme (cfr. da ultimo legge sul cosiddetto “codice rosso”, legge 19 luglio 2019, n. 69 e succ recenti modifiche), che hanno previsto risposte sanzionatorie sempre più gravi.

La severa repressione penale di tutte le forme di violenza domestica, l’introduzione in forza delle norme richiamate di nuove fattispecie incriminatrici, di inasprimenti delle sanzioni già esistenti, rappresenta una valida risposta delle Istituzioni per il contrasto del fenomeno, ma non ha dimostrato di avere l’efficacia deterrente auspicata(!!).

Infatti,la radice culturale della violenza domestica, ha impedito al legislatore ed agli operatori di dedicare analoga attenzione ad un diverso ambito nel quale le condotte di violenza domestica, declinate in tutte le loro forme di violenza fisica, psicologica, economica,che hanno la maggiore incidenza nell’ambito delle relazioni familiari.

È infatti all’interno della famiglia che i rapporti fondati sulla prevaricazione e sulla sopraffazione esplicano gli effetti più gravi e devastanti posto che tra le mura domestiche che si concentra il numero più elevato di violenze, che hanno la maggiore difficoltà ad emergere come fenomeno.

Nelle relazioni basate su rapporti tra un partner violento ed il coniuge inerme,si realizza il cosiddetto “ciclo della violenza” che vede susseguirsi una prima fase nella quale si realizzano le condotte preliminari della violenza, a cui seguono,prima,i comportamenti violenti e poi fasi di ricostituzione del legame,nelle quali il coniuge violento promette di non reiterare le condotte aggressive,si mostra premuroso e tende ad attribuire la responsabilità a condotte esterne,a volte addebitate alla stessa vittima, in modo da riconquistarne la fiducia, anche in nome dell’unità familiare.

In questo circolo vizioso,la donna, in posizione di soggezione rispetto al partner (in molti casi anche economicamente), finisce per riprendere la relazione fino al successivo episodio di violenza, in un ciclo ripetitivo che può susseguirsi per un lungo numero di anni coperto dal silenzio del coniuge..

Ne risulta la incapacità dell’Ordinamento e soprattutto degli operatori della giustizia (magistrati, avvocati, responsabili dei servizi socio assistenziali,consulenti) di individuare la violenza in comportamenti considerati e sovente descritti dalla stessa vittima.

Anche i minori in tale contesto divengono le vittime incolpevoli di tali rapporti familiari deteriorati e violenti.

Se tra i doveri principali di ogni genitore vi è quello di educare la prole, e poiché l’educazione si esplica con l’esempio, i comportamenti violenti posti in essere da parte di uno dei genitori in danno dell’altro hanno indelebili e negativi effetti sulla crescita del figlio, posto che, come dice Freud, i minori sono come una carta assorbente dell’ambiente in cui essi vivono.

Ne consegue l’ulteriore rischio che il minore introietti modelli genitoriali distorti che producono danni immediati per le dirette conseguenze della violenza vissuta in famiglia sull’equilibrio psico-fisico,a cui si aggiungono danni differiti nel momento in cui il figlio, crescendo, assumerà a sua volta ruoli genitoriali, poiché l'esposizione a modelli distorti può produrre la replica degli stessi.

Tali considerazioni, oltre ad essere principi riconosciuti dal contesto scientifico internazionale,costituiscono patrimonio della comune esperienza collettiva, ma non sempre sono adeguatamente valutate nell’ambito dei procedimenti civili e minorili che abbiano per oggetto l’affidamento dei figli minori ovvero domande di limitazione o di decadenza dalla responsabilità genitoriale del coniuge violento..

Peraltro, dall’esame della giurisprudenza di legittimità e di merito,emerge che la Convenzione di Istanbul sia richiamata in provvedimenti giudiziari ma senza provve dere alla sua applicazione in concreto.

La sottovalutazione del fenomeno della violenza domestica e nei confronti delle donne nell’ambito dei Giudizi civili e minorili ha avuto come conseguenza il verificarsi di fenomeni di. vittimizzazione secondaria in danno delle madri e dei figli, esposti a continue condotte violente.

B. La Vittimizzazione secondaria. Definizione

La sottovalutazione del fenomeno della violenza domestica e nei confronti delle donne nell’ambito dei giudizi civili e minorili ha avuto come conseguenza il verificarsi di fenomeni di. vittimizzazione secondaria in danno delle madri e dei figli, esposti a condotte violente.

Una puntuale definizione di vittimizzazione secondaria si rinviene nella Raccomandazione n. 8 del 2006 del Consiglio d’Europa secondo la quale «vittimiz zazione secondaria significa vittimizzazione che non si verifica come diretta conse guenza dell'atto criminale, ma attraverso la risposta di istituzioni e individui alla vittima».

La vittimizzazione secondaria colpisce le donne che hanno subito violenza soprattutto in ambito familiare e nelle relazioni affettive.

Diversamente dalla vittimizzazione ripetuta da attribuire allo stesso autore, è attribuibile alle Istituzioni con cui la vittima viene in contatto, qualora operino senza seguire le direttive internazionali e nazionali, e non garantiscano comportamenti rispettosi e tutelanti, tali da non ledere la dignità personale, la salute psicofisica e la sicurezza della vittima, sia essa la donna sia esso il minore vittima di violenza assisti ta.

Pertanto, va ricordato che è la stessa Convenzione di Istanbul che obbliga gli Stati a contrastare la vittimizzazione secondaria.

Nell’articolo 18 è previsto che I Paesi aderenti devono adottare le misure necessarie, legislative o di altro tipo, per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza.

Lo stesso articolo, al comma 3, indica interventi puntuali finalizzati al raggiungimento di questo obiettivo disponendo che le Parti devono adottare misure che: «siano basate su una comprensione della violenza di genere contro le donne e della violenza domestica e si concentrino sui diritti umani e sulla sicurezza della vittima; siano basate su un approccio integrato che prenda in considerazione il rapporto tra vittime, autori, bambini e il loro più ampio contesto sociale; mirino ad evitare la vittimizza zione secondaria; mirino ad accrescere l’autonomia e l’indipendenza economica delle donne vittime di violenze; consentano, se del caso, di disporre negli stessi locali di una serie di servizi di protezione e di supporto; soddisfino i bisogni specifici delle persone vulnerabili, compresi i minori vittime di violenze e siano loro accessibili.».

La forma più ricorrente e grave di vittimizzazione secondaria può realizzarsi nei procedimenti di affidamento dei figli, in conseguenza della mancata applicazione dell’articolo 31 della Convenzione,nel quale si prevede che «al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, devono essere presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione».

Il mancato accertamento delle condotte violente e la conseguente mancata valutazione di tali comportamenti nella adozione di provvedimenti di affidamento dei figli, ha come conseguenza l’emanazione di provvedimenti stereotipati che dispongano l’affidamento condiviso del minore ad entrambi i genitori, senza distinguere tra il genitore violento e la genitrice vittima di violenza,con la conseguenza che la imposizione alla madre, in base alle decisioni dalla stessa Autorità giudiziaria, di assumere decisioni, spesso ostacolate dal genitore violento, con l'ulteriore pregiudizio per il minore che rimane privo dei necessari interventi di sostegno, mentre per i figli collocati con l’autore della violenza, con il rischio di essere di nuovo esposta ad aggressioni, a pressioni o a violenti condizionamenti.

Altra forma di vittimizzazione secondaria è rinvenibile nell’adozione di provvedimenti standardizzati, per la disciplina del diritto di visita del padre, quando i figli minori affidati congiuntamente ad entrambi i genitori siano collocati in via prevalente presso la madre.

Il mancato riconoscimento della violenza o la sottovalutazione del fenomeno hanno come conseguenza l’omessa adozione di tutele per i figli e per le madri vittime di violenza, con il rischio che comportamenti violenti si realizzino di nuovo o in danno dei minori, nei periodi di frequentazione o in danno della madre, nel momento in cui il padre prelevi o riceva i minori per l’esercizio del diritto di visita.

Sul punto la Convenzione,sempre al citato Art.18, detta specifici obblighi positivi a carico dei Paesi aderenti,volte a scongiurare tale rischio, oltre a prevedere, all'Art. 15,che sia assicurata una formazione specifica delle figure professionali che si occupano di vittime e di autori di atti di violenza domestica..

C. Il Mancato riconoscimento della violenza domestica

La mancata valutazione della violenza domestica nell’ambito dei giudizi civili e minorili che abbiano per oggetto domande di affidamento dei figli o domande attinenti la titolarità o le limitazioni all’esercizio della responsabilità genitoriale è stata oggetto di specifici monitoraggi da parte del Consiglio Superiore della Magistratura.

Con le delibere del 9 maggio 2018, del 4 giugno 2020 e da ultimo del 3 novembre 2021 il CSM, al fine di rendere più efficiente ed efficace la risposta giurisdizionale ,ha evidenziato la necessità di una puntuale formazione e specializzazione per la trattazione di questi procedimenti, nonché di interventi per creare e migliorare i collegamenti tra il settore penale e il settore civile e minorile.

Nei procedimenti civili e minorili la prima difficoltà che emerge è il mancato riconoscimento della violenza domestica e molteplici sono le cause di questa criticità.

In primo luogo, tranne il già richiamato Art.31 della Convenzionel,nessuna disposizione normativa che regola la disciplina della titolarità o dell’esercizio della responsabilità genitoriale fa espresso riferimento alla violenza domestica come causa di revoca, sospensione o limitazione nell’esercizio della responsabilità genitoriale.

Le predette disposizioni hanno formulazioni ampie che richiamano genericamente violazioni o abusi in grado di realizzare un pregiudizio per il minore (articoli 330 e 333 c.c.) ovvero prevedono che il Giudice possa derogare alla regola dell’affidamento condiviso, disponendo l’affidamento esclusivo dei figli ad uno dei genitori, nel caso in cui «l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore» (articolo 337-quater c.c.).

Queste disposizioni sarebbero astrattamente idonee all’adozione di provvedimenti in grado di limitare, in misura più o meno ampia, la titolarità o l’esercizio della responsabilità genitoriale del genitore violento sul figlio,tuttavia, nella loro concreta applicazione, la violenza come causa di pregiudizio per il minore non viene adeguata mente considerata, e ciò in quanto la violenza domestica, in alcuni casi, non viene riconosciuta, in altri viene minimizzata e ricondotta a mero conflitto tra i genitori. Una delle cause della mancata qualificazione dei comportamenti violenti come violenza domestica è la mancanza di specifica formazione degli attori del processo (avvocati, pubblici ministeri, giudici, consulenti tecnici, ausiliari, addetti al servizio socio assistenziale).

Ciò,ad es.,comporta che già al momento della proposizione della domanda di affidamento dei figli minori, quando presentata dal genitore vittima di violenza, possa accadere che gli stessi difensori della vittima, nell’atto introduttivo del giudizio, pur descrivendo condotte violente, le minimizzino ovvero le riconducano nell’alveo del conflitto tra coniugi o tra partner, non cogliendo le ricadute negative che queste condotte hanno avuto sui minori, giungendo quindi in molti casi a chiedere che venga disposto l’affidamento condiviso del figlio.

Anche il Pubblico ministero che,secondo quanto previsto dall' articolo 72 del codice di procedura civile,è chiamato ad intervenire in tutti i procedimenti che hanno ad oggetto domande di affidamento dei minori, interviene in realtà solo nei casi più gravi. Parimenti, i consulenti tecnici d’ufficio,gli ausiliari del giudice,gli operatori del servizio socio assistenziale e socio sanitario, in molti casi,non ritengono che l’esistenza di condotte violente nel corso della vita familiare debba necessariamente essere oggetto di valutazione da parte del giudicante. .

Se è vero che consulenti ed ausiliari del Giudice della famiglia e dei minori non devono e non possono sostituirsi al giudice nell’accertamento dei fatti, laddove correttamente specializzati dovrebbero tuttavia essere in grado di cogliere gli indici rilevatori della violenza domestica per segnalare al giudice quanto rilevato.

Al contrario, nella prassi accade che questi invitino le parti alla mediazione ed alla conciliazione, vietata invece dall'articolo 48 della Convenzione di Istanbul nei casi di violenza.

Anzi, a volte gli operatori coinvolti nei diversi ruoli nei procedimenti giurisdizionali che hanno per oggetto domande relative ai figli minori pongono in essere, spesso involon tariamente, forme di vittimizzazione secondaria della madre e soprattutto del minore.

L’assenza di accertamenti preliminari in merito all’esistenza di condotte di violenza, rinviati alla fase istruttoria, ovvero non compiuti in presenza di accertamenti peritali o indagini dei servizi sociali sulle capacità genitoriali delle parti,produce forme di vittimizzazione secondaria ancora più evidenti nell’adozione dei provvedimenti.

D. L’Allontanamento del minore nei casi di violenza domestica

In alcuni casi, il mancato riconoscimento della violenza domestica nell’ambito dei giudizi civili e minorili può realizzare la forma più grave di vittimizzazione secondaria in danno del minore e della madre, attraverso l’allontanamento del figlio dalla madre stessa.

Infatti, il mancato accertamento della violenza e le conseguenti distorsioni proces suali possono avere come risultato il mancato accertamento delle ragioni per le quali il figlio minore si oppone alla frequentazione del padre

Per scongiurare tutti gli effetti negativi legati al mancato riconoscimento della violenza, occorre verificare:

  • la compatibilità dell’articolo 31 della Convenzione di Istanbul con la ordinaria applicazione della disposizione sull’affidamento condiviso compiuta nei giudizi civili in Italia;

  • il bilanciamento del diritto alla bigenitorialità con i diritti fondamentali del minore (alla salute, sicurezza, libertà di autodeterminazione);

  • eliminare ogni riferimento alla cosiddetta sindrome dell’alienazione parentale, o a sindromi analoghe quali la sindrome della “madre malevola”, della “madre manipolativa”, che non hanno alcun riconoscimento nella comunità scientifica.

In particolare, quando emerge una forma di violenza domestica o di genere, nell’ambito applicativo della Convenzione di Istanbul, dovrebbe essere escluso (in via presuntiva ed in una prima fase)l’affidamento condiviso, dovendo essere applicata correttamente la disposizione che dispone l’affidamento esclusivo ad un genitore, in presenza di condotte pregiudizievoli poste in essere dall’altro.

Deve infatti essere sottolineato come il principio o il diritto alla bigenitorialità debba essere sempre subordinato all’interesse superiore del minore, diritto quest’ultimo di rango costituzionale, che in ogni bilanciamento di interessi deve essere riconosciuto e tutelato quale preminente rispetto agli altri.

L’articolo 30 della Costituzione (unitamente agli articoli 2, 3 e 29 Cost.) impone prima il dovere e riconosce poi il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli. La norma, ponendo al suo centro il minore stesso, incardina in capo ai genitori prima di tutto i doveri di cura e solo successivamente il diritto di “scegliere come” curarli. Infatti, data la delicatezza della materia, questa è l’unica fra le disposizioni costitu zionali che anticipa il riferimento al “dovere” rispetto al “diritto” di cura dei genitori nei confronti dei figli.

Ed é proprio alla luce delle modalità con cui i genitori esercitano detta responsabilità, a garanzia dei diritti dei figli, il giudice può anche «stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente»,fino a giungere al provvedimento di allontanamento del figlio dalla residenza familiare o del genitore secondo quanto previsto dall’articolo 330 del codice civile (decadenza dalla responsabilità genitoriale) oppure al provvedimento di affidamento a un solo genitore,laddove «ritenga,con provvedimento motivato,che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore» a norma dell’articolo 337-quater del codice civile (affidamento a un solo genitore).

Anche la CEDU ha assunto il superiore interesse del minore a parametro nell’applicazione dell’articolo 8 della CEDU, sia quanto agli obblighi negativi, sia quanto agli obblighi positivi atteso che nella valutazione dell’interesse del minore assume un ruolo determinate l’opinione del figlio, che discende del suo diritto ad essere ascoltato.

Se la Corte Europea ha affermato che è diritto del minore avere piene relazioni con entrambi i genitori stabilendo tra gli obblighi positivi a carico degli Stati aderenti l’adozione di misure che assicurino le relazioni tra genitori e figli e le rendano effettive, ha comunque puntualizzato che “il bilanciamento tra i contrapposti interessi deve garantire l’equilibrio tra il diritto del minore a vivere in modo sereno e il diritto del genitore a mantenere rapporti con il figlio”.

E. L’Ascolto del minore da parte del Giudice

Nella valutazione dell’interesse del minore assume un ruolo determinate l’opinione del figlio, che è il precipitato del suo diritto ad essere ascoltato.

Il diritto del minore all’ascolto in tutte le situazioni che lo riguardano, previsto dal codice civile (articoli 315-bis c.c. e 336-bis c.c.) nonché da tutte le convenzioni internazionali sui diritti del minore, rischia di essere disatteso nei Tribunali civili e minorili quando i giudici affrontano vicende che riguardano la violenza domestica.

In alcuni casi l’ascolto del minore viene eluso, a causa di una presunta situazione psicologica di condizionamento che renderebbe lo stesso incapace di esprimere le sue opinioni, le sue esperienze, le sue richieste.

Ed è proprio la diagnosi psicologica di “alienazione”, adottata frequentemente nelle consulenze tecniche d'ufficio, a contenere implicitamente un giudizio di condiziona mento del minore che renderebbe le sue parole inattendibili e l’ascolto delle sue opinioni superfluo.

Così il minore o non viene ascoltato dal giudice o,quando ascoltato attraverso i consulenti, vede le sue parole interpretate in chiave di apodittica adesione alle opinioni della madre, ritenendo sussistenti forme di condizionamento e plagio della madre in danno del figlio.

Si impone in ogni caso la necessità di procedere ad accertamenti di fatto poiché il Giudice non può prescindere dalla verifica della presenza di condotte violente, anche attraverso l’ascolto del minore, che certamente non costituisce mezzo di prova ma può essere valorizzato e fornire importanti elementi per disporre successivi accerta menti.

Un netto rifiuto espresso dal figlio alla frequentazione di uno dei genitori non può essere sottovalutato e rende necessari accertamenti accurati da compiere sui fatti e non sulle valutazioni espresse da consulenti ed esperti.

G. I profili comuni delle vicende giudiziarie penali

Per quanto riguarda i casi delle madri che hanno già subito un provvedimento di allontanamento del minore è da sottolineare come tali vicende abbiano avuto inizio con l'interruzione della relazione con il partner a causa di episodi di violenza.

Solo alcune delle madri si sono rivolte a centri antiviolenza per avviare un percorso di aiuto e di autonomia.

La violenza denunciata, oltre a costituire oggetto di un percorso giudiziario parallelo in un procedimento penale, viene rappresentata all’inizio come causa della separazione o dell’allontanamento della donna dal domicilio comune con il partner.

Le denunce sono, in taluni casi, coeve al momento della separazione o della cessazio ne della relazione mentre in altri casi sono successive all'inizio del procedi mento civile di separazione o di affidamento del figlio nato fuori del matrimo nio, ma comunque temporalmente vicine a tale inizio.

Le denunce coeve sono in prevalenza delle madri non coniugate e con un minor tempo trascorso nella relazione; le denunce successive riguardano in prevalenza donne coniugate con maggior tempo trascorso nella relazione di coppia, probabilmente in ragione della maggiore difficoltà e resistenza emotiva della madre coniugata a denunciare il padre dei suoi figli.

Nelle denunce sono talvolta comprese anche quelle per abusi sessuali e maltrattamenti sui minori: si tratta di abusi riferiti dai minori alle madri dopo la separazione o la cessazione della convivenza, ma avvenuti prima, oppure di abusi riferiti sempre dai minori ma avvenuti durante le frequentazioni del padre nelle fasi successive alla separazione o alla cessazione della convivenza.

In tutti i casi, a seguito delle denunce, si aprono procedimenti penali di cui ad oggi la metà è ancora pendente e un'altra metà è stata archiviata112.Un preoccupante elemento comune a tutti i casi, che sarà spiegato diffusamente nei paragrafi successivi, è che nelle denunce penali archiviate nei confronti dei padri le motivazioni fanno spesso riferimento alla valutazione effettuata nel procedimento civile o minorile dal consulente tecnico, il quale considera la violenza del padre come esito di una conflittualità scaturita dai comportamenti materni ostili all’affidamento condiviso. Al contrario, il procedimento penale dovrebbe rappresentare un campanello d'allarme idoneo ad una lettura tempestiva della violenza nel procedimento civile o minorile.

La particolare gravità della problematica evidenziata è stata oggetto anche di analisi da parte del CSM,tanto che nella Risoluzione del 2021 indica la necessità di una specifica formazione in materia di violenza ed uno stretto coordinamento tra processo penale e civile nel caso di denunce di violenza.

Nei confronti di una metà delle madri dei casi esaminati sono presenti anche denunce dei padri che, nel corso della separazione, lamentano l’allontanamento dei figli o altri reati e che fanno da contraltare alle denunce delle madri per i reati tipici della violenza di genere.

Più madri sono state ripetutamente denunciate per lo stesso reato ogni volta che il bambino si rifiutava di andare dal padre, configurandosi ciò come una vera e propria persecuzione.

H.Le denunce sugli abusi sui minori

Una particolare attenzione meritano i casi in cui sono state presentate denunce per sospetto abuso sui minori.

Questi casi sono particolarmente complessi e delicati anche sul piano della procedura giudiziaria. Le denunce di abuso sono spesso archiviate per una ritenuta incapacità a testimoniare del minore a seguito di consulenze ad hoc disposte nel procedimento penale ovvero a seguito di analoghe valutazioni contenute nelle consulenze tecniche svolte nei giudizi civili ed acquisite nel procedimento penale (spesso in questi casi le consulenze parlano di alienazione).

Tali consulenze veicolano in taluni casi pregiudizi sulla insussistenza dell’abuso e sulla suggestionabilità del minore soggetto a manipolazione materna. È proprio l'archiviazione di queste denunce che spesso induce le madri ad essere ancora più protettive nei confronti dei minori alle cui parole credono incondizionatamente. Colpisce pertanto il fatto che le denunce delle madri per abusi sui figli abbiano avuto scarsa considerazione per la presunta inattendibilità delle dichiarazioni dei bambini.

Infatti non vi è dubbio che laddove siano presentate denunce a carico del genitore per sospetto abuso sui figli le indagini dovrebbero essere non solo tempestive, ma anche altamente specialistiche e comunque dovrebbero essere svolte garantendo un efficace coordinamento tra procedimento civile e procedimento penale, anche al fine specifico di proteggere il minore dal rischio di ulteriore violenza.

L'importanza del coordinamento tra il processo civile e penale è stata sottolineata anche dalla recente legge delega di riforma del processo civile.

I. Le criticità emerse dalla indagine svolta

Nella maggior parte dei procedimenti analizzati, sia presso il Tribunali ordinari che per i minorenni, non emerge una specifica attenzione al tema della violenza domestica, anche in presenza di allegazioni di parte in merito all’esistenza di condotte violente, e in alcuni casi persino in presenza di provvedimenti emessi nell’ambito di procedimenti penali (misure cautelari che dispongono ordini di allontanamento o divieti di avvicinamento; ordinanze di rinvio a giudizio; sentenze penali di condanna emesse in primo grado). Nessuna specifica istruttoria viene compiuta per verificare se, in concreto, le condotte violente descritte dalla donna negli atti di causa o riferite nel corso delle udienze, siano state poste in essere. Solo in pochi casi si realizzano forme di coordinamento tra le autorità giudiziarie.

Nei procedimenti presso i Tribunali ordinari, analizzati all’esito della ricerca, nessuna cautela viene adottata per evitare forme di vittimizzazione secondaria nel corso del procedimento: le parti compaiono davanti al giudice contemporaneamente per il tentativo di conciliazione. In molti dei procedimenti analizzati, pure in presenza di allegazioni di violenza domestica, quando negli atti depositati dalla vittima della violenza vengono descritte condotte di aggressione, minaccia, violenze fisiche, il difensore della stessa parte nelle conclusioni fa istanza affinché venga disposto l’affidamento condiviso dei minori. In alcuni procedimenti è la stessa madre, che pur affermando di essere stata destinataria di condotte violente, conferma che il marito seppure violento “è un buon padre”.

È frequente la cosiddetta “consensualizzazione” del procedimento, con recepimento da parte del giudice, di accordi conclusi dalle parti, nei quali la violenza domestica non viene considerata, e vengono omologate condizioni di affidamento standardizzate (affidamento condiviso, collocazione del minore presso la madre, ordinarie

frequentazioni padre-figlio senza specifiche limitazioni o cautele).

resenza del Pubblico ministero è quasi sempre formale, con interventi e conclusioni che anche in presenza di allegazioni di violenza domestica non fanno alcun riferimento a queste condotte. Residuale, e presente solo in alcuni Tribunali con Sezioni specializzate, è il coordinamento tra le autorità penali e civili.

Quasi del tutto assente lo scambio di informazione tra i Tribunali ordinari e quelli per i minorenni.

Dalle rilevazioni statistiche emerge altresì che, anche in assenza di consensua lizzazione,i giudici adottano provvedimenti standardizzati in presenza di condotte violente: nella maggior parte dei casi viene disposto l’affidamento condiviso dei figli con collocamento presso la madre e la disciplina delle frequentazioni paterne senza che siano adottate particolari cautele.

Seppure nei procedimenti analizzati nel campione le consulenze tecniche e le richieste rivolte dal giudice ai servizi socio assistenziali per redigere relazioni sono disposte in un numero limitato dei casi, nel quesito sottoposto al consulente tecnico e nella richiesta inoltrata ai servizi il giudice non inserisce specifici riferimenti alla violenza, né prescrive che vengano adottate specifiche cautele a difesa della vittima di violenza o dei minori

L’ascolto del minore viene disposto in un numero limitato di casi, ed inoltre in questo già limitato sottoinsieme è ancora più ridotto il numero di casi in cui l’ascolto viene eseguito direttamente dal giudice procedente. In molte ipotesi l'ascolto è delegato al consulente tecnico o ai responsabili del servizio socio assistenziale, che tendenzialmente non procedono (se non in casi residuali) alla sua registrazione o alla sua analitica verbalizzazione, e si limitano a riportare stralci, estrapolati dal contesto, di quanto riferito dal minore.

Nei procedimenti presso i Tribunali per i minorenni, analizzati all’esito della ricerca campionaria, emerge la costante ed attiva presenza del Pubblico ministero minorile che, nella quasi totalità dei casi, è la parte che propone d’ufficio ex articolo 336 del codice civile l’azione per la decadenza o per la limitazione della responsabilità genitoriale, proprio in conseguenza di procedimenti penali instaurati nei confronti del genitore violento.

Ma anche nei Tribunali specializzati come quello per i minorenni nessuna cautela viene adottata per evitare la contemporanea presenza in udienza dell’autore della violenza e della vittima, e totalmente deficitario è il coordinamento con i Tribunali ordinari civili, in caso di contemporanea pendenza di procedimenti che abbiamo ad oggetto domande di affidamento dei medesimi minori (per esempio separazioni, divorzi, procedimenti di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio) o di procedimenti penali (non vengono acquisiti gli atti dei procedimenti penali pendenti nei confronti dell’autore delle violenze, pur se ostensibili).

L’ascolto del minore è spesso delegato ai responsabili dei servizi socio assistenziali e quando svolto direttamente dal giudice è delegato al giudice onorario. Anche all’esito dei procedimenti di competenza dei Tribunali per i minorenni, residuale è l’adozione di misure limitative della responsabilità genitoriale motivate sulla violenza domestica cosiddetta assistita, cioè agita da un genitore in danno dell’altro alla presenza del minore; in alcuni casi, pure in presenza di condotte violente, le limitazioni della responsabilità genitoriale sono fondate su diverse motivazioni quali, per esempio, la tossicodipendenza del genitore violento, la dipendenza dall’alcool, o la presenza di altri precedenti penali.

In alcuni casi, soprattutto nelle fasi iniziali dei procedimenti, vengono adottate misure limitative della responsabilità genitoriale in danno di entrambi i genitori, sia l’autore della violenza che la vittima, limitazioni motivate sulla incapacità della vittima di proteggere il minore dall’esposizione alla violenza, con conseguente attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale ai servizi sociali o in alcuni casi ad un tutore.

Nell’esame dei casi specifici, ferma la particolarità di ciascuno, emerge come tratto comune il mancato accertamento della violenza nelle fasi preliminari del procedimento e nelle fasi successive, una forte delega di attività ai consulenti e ai responsabili del servizio sociale, la mancata attenzione a quanto riferito dal minore nel corso dell’ascolto in ragione dell’affermato condizionamento del figlio da parte della madre. In alcuni casi, viene persino disposta l’adozione di provvedimenti molto invasivi, quali il collocamento dei minori in strutture terze, anche con l’utilizzo della forza pubblica per l’esecuzione dei provvedimenti, in mancanza di adeguata ponderazione rischi/benefici. Infine, è da sottolineare come nei casi specifici la madre vittima di violenza sia sempre penalizzata nei provvedimenti relativi all'affidamento e alla responsabilità genitoriale, con la previsione di regimi di visita ai propri figli fortemente punitivi.

Le criticità evidenziate impongono l’adozione di provvedimenti normativi e di buone prassi, ma soprattutto rendono necessaria la specializzazione di tutti gli operatori. E' altresì indispensabile riservare una specifica attenzione ai procedimenti civili e minorili che presentino allegazioni di violenza affinché il giudice, prima di adottare provvedimenti di affidamento dei minori o che limitino la responsabilità genitoriale, accerti la sussistenza o meno della violenza domestica.

In una prospettiva di riforma, anzitutto occorre cambiare l'approccio culturale nei confronti della violenza contro le donne, attraverso l'individuazione di strumenti che consentano di riconoscere la violenza domestica ed assistita precocemente. Prima ancora di valutazioni e accertamenti psicologici, tutti gli operatori coinvolti a vario titolo nel ciclo della violenza devono "riappropriarsi dei fatti", interrogandosi ed accertando, ad esempio, le ragioni per cui un minore rifiuta di incontrare un genitore. Tale accertamento, peraltro, non può essere compiuto dopo anni, ma deve avvenire tempestivamente, già nell'udienza presidenziale o nella prima udienza di comparizione.

Se questo accertamento non viene richiesto dagli avvocati occorre che i giudici procedano d'ufficio, e sempre procedendo all'ascolto del minore direttamente o, se troppo piccolo, in presenza di un ausiliario.

La Commissione pertanto, in relazione alle criticità e alle buone prassi richiamate, raccomanda le seguenti linee di intervento per combattere il fenomeno della vittimizzazione secondaria.

Formazione specialistica in materia di violenza domestica e assistita.

Applicazione dell'articolo 31 della Convenzione di Istanbul sulla custodia dei figli: disciplina dell'affidamento, diritti di visita e sicurezza

Allegazioni di violenza: attività istruttoria e ascolto diretto del minore

Accertamenti tecnici: esclusione di teorie non riconosciute ed accettate dalla comunità scientifica

Sostegno alle Donne Vittime di violenza

Un'ulteriore forma di vittimizzazione secondaria delle donne vittime di violenza è rappresentato dai costi economici per sostenere sia le spese legali e di separazione, sia la ricostruzione di una esistenza libera dalla violenza ed indipendente.

Al riguardo, occorre in primo luogo modificare le norme che disciplinano il patrocinio a spese delle Stato, prevedendo che nei procedimenti civili o minorili aventi ad oggetto l’affidamento di figli minori o la titolarità della responsabilità genitoriale, in presenza di allegazioni di violenza, siano ampliati i requisiti di accesso, in analogia a quanto previsto per i procedimenti penali; in secondo luogo è necessario ampliare il supporto alle donne vittime di violenza nei piani di sostegno previsti per le donne nei vari settori della vita quotidiana (lavoro, casa, cura dei figli, servizi).

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