Vittime di femminicidio: dal “divorzio all’ italiana” alla violenza alle donne

Il Disegno di Legge n.2528, già approvato dal Senato e concernente l' “Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime”, è in attesa della approvazione definitiva da parte della Camera.

Martedi 18 Novembre 2025

Tuttavia, è utile soffermarsi sul testo approvato e sui numerosi commenti da parte della Dottrina più autorevole per i suoi contenuti innovativi.

In effetti la Legge in discussione prevede, all’art.1, l’introduzione della fattispecie autonoma del reato di femminicidio con alcune circostanze aggravanti modellate sugli stessi elementi costituitivi del nuovo reato, per i seguenti reati: maltrattamenti contro familiari o conviventi (art. 572 c.p.), lesioni personali e omicidio preterintenzionale (modificando le aggravanti previsto dall’art. 585 c.p.), interruzione di gravidanza non consensuale (art. 593-ter c.p.), violenza sessuale (intervenendo sull’art. 609-ter c.p.), atti persecutori (art. 612-bis c.p.), diffusione illecita di foto e video a contenuto sessualmente esplicito (art. 612-ter c.p.).

La formulazione del nuovo reato di femminicidio, è quella seguente:

Art 577-Bis C.P. “Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di odio o di discriminazione o di prevaricazione o come atto di controllo o possesso o dominio in quanto donna, o in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali è punito con la pena dell’ergastolo. Fuori dei casi di cui al primo periodo si applica l’articolo 575 C.P.

  • Le opinioni della Dottrina sulla nuova norma

Nel corso delle Audizioni dinanzi alle Commissione Parlamentare, alcuni valenti giuristi hanno espresso le proprie opinioni in merito alla Legge in elaborazione.

Tra di esse assume particolare rilievo quella espressa dalla Prof.ssa Antonella Massaro, Docente di Diritto Penale, che ha commentato positivamente l’iniziativa legislativa, sia pure con qualche perplessità, affermando, in sintesi, che “Il cambio di passo che un intervento di questo tipo imprimerebbe all’Ordinamento giuridico italiano è evidente, posto che il diritto penale supererebbe la propria neutralità rispetto alle questioni di genere.

La violenza contro le donne, in particolare, sarebbe stata considerata dal Legislatore come un fenomeno diverso e di ulteriore gravità rispetto alla violenza domestica, cui si ispirano le norme attuali che sanzionano la relazione (attuale o passata) tra reo e vittima.

Si tratta, quindi, di un cambiamento sostanziale, non solo in linea con le indicazioni offerte dal diritto internazionale e da quello eurocomunitario ma divenuto opportuno ed auspicabile nell’attuale contesto storico-culturale che vede un aumento dei Femminicidi (in spregio alle misure introdotte dal c.d. Codice Rosso del quale è apparsa evidente l’inefficacia preventiva-NdR )”

E ancora.

Secondo la Prof.ssa Massaro “Il diritto penale, specialmente quando si occupa di regolamentare la tutela di interessi personali o personalissimi, esprime, insieme e in maniera conforme alla Costituzione, le aspettative del contesto sociale e culturale di cui il diritto stesso è una espressione.

Ne consegue che il diritto penale diviene in tal senso un diritto “culturalmente orientato” che, dopo alcuni decenni dall’abrogazione dei delitti per causa d’onore e del c.d. “divorzio all’italiana”, narrati dall’omonimo film di Pietro Germi, colloca la violenza contro le donne tra le scelte di criminalizzazione attribuendole un ruolo del tutto antitetico rispetto a quello assegnatole dalla versione originaria del codice penale.

Non si tratta di sacrificare la tutela delle donne sull’altare di un diritto penale simbolico, inutile e anzi, controproducente, ma di valorizzare la risposta dello Stato di dritto sul piano della repressione dei comportamenti illeciti senza rinunciare ad in intervento sul piano preventivo”.

Una delle scelte più evidenti del DDL è quella di avere introdotto una fattispecie autonoma di reato prevedendo, invero, un reato circostanziato per le altre fattispecie che si è ritenuto di attrarre nell’orbita della violenza contro le donne.

Secondo l’autorevole docente, il nuovo delitto di femminicidio individua, quindi, una fattispecie speciale rispetto all’omicidio volontario (art. 575 c.p.).

In base alla connotazione attribuita, la nuova norma garantisce, anzitutto, una maggiore “flessibilità” sul versante della commisurazione della pena.

Inoltre, l’introduzione di una circostanza aggravante, anche in riferimento all’omicidio, potrebbe semplificare l’imputazione del responsabile, specie per ciò che attiene all’accertamento del dolo.

Da questa premessa, deriva, come necessaria conseguenza, il ricorso a una tecnica di descrizione della fattispecie di tipo non sintetico, ma analitico, con un minuzioso elenco degli elementi costituitivi che caratterizzano la violenza contro le donne.

In questo contesto si colloca anche l’inserimento della espressione “in quanto donna”.

Questa precisazione, che ha destato numerose perplessità in alcuni commenti soprattutto per una possibile tensione rispetto al principio di determinatezza, compare ormai stabilmente nel dibattito internazionale relativo al reato di femminicidio.

Sul piano normativo, il riferimento obbligato è all’art. 3 della Convenzione di Istanbul, lettera d) che recita testualmente «l’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato» ovvero all’art.2 della Direttiva UE 1385/2024, lettera a) che definisce come “violenza contro le donne” “qualsiasi atto di violenza di genere perpetrata nei confronti di donne, ragazze o bambine solo perché donne, ragazze o bambine, o che colpisce le donne, le ragazze o le bambine in modo sproporzionato, che provochi o possa provocare danni o sofferenza fisica, sessuale, psicologica o economica, incluse le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, nella sfera pubblica come nella vita privata.”

Nella formulazione introdotta dal DDL l’espressione “in quanto donna” sembrerebbe connotare la sola condotta di “controllo, possesso o dominio” del Partner sebbene possa e debba riguardare anche le altre condotte, trattandosi, appunto, di una caratteristica generale della violenza contro le donne come forma di violenza di genere.

La descrizione analitica proposta dal DDL si affida a un elenco di elementi tra loro alternativi.

Il fatto-reato, più esattamente, deve essere commesso: a) come atto di odio o di discriminazione o di prevaricazione oppure b) come atto di controllo o possesso o dominio in quanto donna oppure c) in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o, infine, d) come atto di limitazione delle sue libertà individuali.

È comprensibile la preoccupazione di delineare una fattispecie capace di comprendere l’eterogenea casistica riconducibile al femminicidio e, più in generale, alla violenza contro le donne, anche se l’elenco, forse, potrebbe risultare ripetitivo.

In ogni caso, la violenza contro le donne ha come pacifico presupposto la sussistenza di una relazione affettiva e la asimmetria di potere tra uomo e donna.

Il rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo va commisurato, tuttavia, con l’aggravante della relazione prevista all’art. 577, comma 1, n.1 c. p. .

Posto che il concetto di “mantenere un rapporto affettivo” si riferisce a una relazione in corso e non ancora conclusa, potrebbe configurarsi l’aggravante prevista dall’art. 577 c.p., che richiama l’esigenza di evitare irragionevoli duplicazioni sul piano sanzionatorio.

Anche la limitazione delle libertà fondamentali della donna non sembra svolgere una funzione ulteriormente selettiva della offesa, scontando, in più, un maggior grado di indeterminatezza rispetto alle altre condotte.

Tuttavia, se, in via interpretativa, si riferisse la precisazione “in quanto donna” anche a questa possibile modalità di realizzazione del fatto, essa potrebbe trovare una migliore concretezza e collocazione.

  • Dubbi di Costituzionalità

Alcune osservazioni in senso opposto alla necessità di introdurre il nuovo reato di femminicidio, alla sua legittimità costituzionale come pure sulla struttura della fattispecie, sono state espresse dal Prof. Marco Gambardella nell’Audizione della Commissione Parlamentare ma anche riportate dalla Riv. Diritto Penale del 21 Ottobre 2025.

Secondo l’Illustre Giurista, innanzitutto, non possono essere sottaciuti i dubbi – da più parti segnalati in Dottrina – che il nuovo delitto poggi su una “base criminologica” non adeguata alla nostra realtà, sebbene nei Paesi latino-americani vi sia un numero nettamente più alto di uccisione di donne, che giustifica l’introduzione di questa fattispecie.

Inoltre, sostiene il Prof Gambardella, sembrerebbbe che siano le Nazioni africane ad avere il numero più elevato di femminicidi.

Si tratta di dubbi che portano, quindi, a ritenere sufficiente, secondo molti giuristi, l’introduzione nel nostro sistema di una circostanza aggravante ad effetto speciale, che valorizzi i motivi a delinquere fondati sul “genere”, evitando, poiché scarsamente determinata, la fattispecie di nuovo conio.

In conseguenza, il delitto di femminicidio come proposto nel disegno di legge n. C. 2528 sembrerebbe espressione – per tale autorevole dottrina – di una legislazione penale simbolica e populista.

Ulteriori dubbi riguardano il rispetto da parte del novello reato del princi- pio costituzionale di eguaglianza (art 3 Cost.), poiché – ad opinione di una cospicua fetta della dottrina – esso sembrerebbe comportare una ingiustificata disparità di trattamento sanzionatorio per situazioni simili.

Si pensi, ad es., al caso di una donna che uccida una persona di sesso maschile come atto di odio verso la persona offesa “in quanto uomo”.

In tal caso non troverebbe alcuna giustificazione la differenziazione della tutela del bene vita in ragione del genere femminile della vittima.

Quanto alla tecnica legislativa adoperata per configurare l’inedita ipotesi delittuosa, si è messa in evidenza sia l’indeterminatezza (e vaghezza) degli elementi di tipicità, sia la mancanza di una precisa descrizione degli stessi.

Senza dimenticare che l’espressione «il fatto è commesso come atto» pare contrastare, per la sua oscurità e illogicità, con il principio di prevedibilità.

Pertanto, dal DDL in elaborazione emerge una chiara volontà politica di introdurre nel nostro ordinamento penale il femminicidio come autonoma figura criminosa, sanzionata con la pena detentiva più afflittiva: l’ergastolo.

La disparità di trattamento sanzionatorio tra uomo e donna s’incentra qui non sull’autore del reato, bensì sulla qualità soggettiva della persona offesa. Al riguardo, si rinviene un precedente all’interno del codice penale con riferimento alle pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 583-bis c.p.).

L’autonomia giuridica del fenomeno del femminicidio d’altronde si ritrova nelle fonti sovranazionali: nella Convenzione di Istanbul del Consiglio di Europa stipulata nel 2011; nella direttiva UE 2024/1385, in cui si nomina tra i delitti di violenza contro la donna il “femminicidio”; nel rapporto sulla Italia del 2024 da parte del Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne (istituito dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 2007, CEDAW), in cui si osserva che nel nostro Ordinamento il femminicidio non è previsto come reato distinto dall’omicidio e si raccomanda di modificare il codice penale per criminalizzare specificamente il “femminicidio”.

L’inserimento nel codice penale nell’inedito e di nuovo conio art. 577-bis come autonomo delitto di “femminicidio”, punito con la pena fissa dell’ergastolo, pena detentiva perpetua, rende, inoltre, inapplicabile al delitto in esame il giudizio abbreviato (art. 438, comma 1-bis, c.p.p.).

Sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, va inoltre segnalato che il divieto, previsto al comma 3 dell’art. 577-bis c.p., di diminuire la pena sotto i ventiquattro anni di reclusione quando ricorre una sola circostanza aggravante sembrerebbe contrastare con la regola generale dell’art. 65 n. 2 c.p. e con la giurisprudenza costituzionale sugli automatismi sanzionatori comminando peraltro una incostituzionale pena fissa di ventiquattro anni ex artt. 23 e 577-bis c.p. (ex multis Corte cost. n. 83 del 2025, n. 195 del 2023, n. 266 del 2022 e n. 222 del 2018)

Non va comunque dimenticato che non si può attribuire una decisiva efficacia preventiva alla configurazione – quale autonomo delitto – dell’omicidio di una donna per motivi di genere.

Per quanto concerne poi le questioni intertemporali, il nuovo delitto di Femminicidio ex art. 577-bis c.p. potrebbe trovare applicazione soltanto per le condotte tenute dopo la sua entrata in vigore evitando di incidere in base alla irretroattività sui giudizi penali in corso e tanto meno influenzare le decisioni già assunte e passate in giudicato.

Essa risulta inoltre ininfluente sulle decisioni di condanna passate in giudicato.

Tanto vanificherebbe le aspettative di chi attende ancora una condanna del responsabile di fatti gravi verificatisi negli ultimi tempi ed all’origine del provvedimento.

  • Conclusioni

Nondimeno, le disposizioni contenute nel DDL all’esame del Parlamento per contrastare la violenza contro le donne rafforzano il ruolo delle vittime di molti reati.

Dal Codice rosso ai nuovi reati introdotti, le nuove norme si inseriscono in un panorama ampio di misure volte a prevenire e sanzionare le violenze di genere.

Nel 2019 è stata introdotta la legge “Codice rosso” (69/2019), che ha messo al centro il fattore tempo poiché quando si procede per alcuni reati spia di violenza di genere la persona offesa va sentita in Procura entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato.

La legge ha anche aumentato le condotte punibili, con i nuovi reati di costrizione o induzione al matrimonio, deformazione dell’aspetto con lesioni permanenti al viso, “revenge porn” e violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare, che puntano sulla prevenzione dei reati contro la violenza di genere, con la emanazione della Legge n.168 del 2023.

Il Codice Rosso ha potenziato, anzitutto, il ruolo delle vittime, ponendo la pretesa punitiva privata sullo stesso piano di quella pubblica prevedendo che, per molti reati violenti dai tentati omicidio aggravato e femminicidio alla violenza sessuale allo stalking, stabilisce che il Pm ascolti personalmente la persona offesa che ne abbia fatto “motivata e tempestiva” richiesta oltre a prevedere che, in caso di inerzia dell’inquirente, il Procuratore della Repubblica può revocare il fascicolo al suo sostituto.

Inoltre, è previsto che, nella propria attività di vigilanza, il Procuratore generale della Corte d’appello acquisisca i dati relativi ai casi in cui la vittima ha chiesto di essere sentita personalmente dal PM.

Per gli stessi reati di violenza, la richiesta di patteggiamento deve essere notificata, a pena di inammissibilità, alla vittima, che potrà essere sentita dal Giudice e presentare le proprie deduzioni “in relazione alla qualificazione giuridica del fatto, all’applicazione o alla comparazione delle circostanze prospettate dalle parti o alla congruità della pena nonché alla concessione della sospensione condizionale della stessa.

Se il giudice non ritiene fondate le deduzioni dell’accusa privata, nella sentenza è obbligato aspiegarne le ragioni.

Si tratta, inoltre, di norme che hanno anche rafforzato le misure dell’ammonimento del Questore (ora applicabile d’ufficio al primo segnale eli violenza) e dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare disposto dal PM.

Ma tutto ciò non è bastato a prevenire i reati (!!)

Ne è riprova che il loro utilizzo si è impennato nell’ultimo anno poiché gli ammonimenti sono quasi raddoppiati e gli allontanamenti d’urgenza sono più che triplicati.

Anche il numero dei reati è aumentato poiché i maltrattamenti contro i familiari o i conviventi sono saliti nel 2024 del 34,1% sul 2019, la violazione dell’allontanamento dalla casa familiare o del divieto di avvicinamento del 400 per cento.

Alla luce di quanto innanzi, ad alcuni commentatori non sembra che il nuovo reato di Femminicidio possa avere efficaci e concrete ricadute.

Il DDL giunge a punire con l’ergastolo chi causa “la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”.

Discriminazione e odio che diventano anche aggravante a effetto speciali per altri reati violenti.

Si tratta di condotte esecrabili ma, sotto il profilo processuale, sono comportamenti che non appaiono di semplice dimostrazione, perché riguardano la sfera più intima e interiore dell’autore del reato.

Ad oggi, peraltro, la pena dell’ergastolo era già stata raggiunta in alcune ipotesi, valorizzando condotte oggettive ed esteriori.

È infatti punito con l’ergastolo l’omicidio commesso contro il coniuge (anche separato), l’altra parte dell’unione civile, la persona stabilmente convivente o legata al reo da relazione affettiva.

Inoltre, l’ergastolo è previsto anche se la morte di una persona è causata dal suo stalker o in occasione di alcuni reati di violenza di genere o quando c’è una connessione teleologica tra omicidio e altro delitto.

Tutto ciò senza nulla togliere alla riflessione di fondo che, secondo tale opinione, non si può attribuire una decisiva efficacia preventiva alla configurazione – quale autonomo delitto – dell’omicidio di una donna per motivi di genere; né è risolutivo far entrare il termine femminicidio nel codice penale, e nemmeno l’aumento di pena (rispetto all’omicidio comune) stabilito nell’art. 577-bis c.p. (l’ergastolo quale sanzione base).

Per contro, come da più parti osservato, occorrerebbe investire maggiori risorse finanziarie e umane nel campo educativo, sociale, culturale e dei corretti rapporti interpersonali se si volesse dare una svolta efficace ad un fenomeno divenuto ingovernabile.

Pagina generata in 0.007 secondi