I tre presupposti alla base del diritto di cronaca e di critica

La libera manifestazione del pensiero, che costituisce uno dei pilastri delle società liberal democratiche, è funzionale all'elevazione culturale e morale dei suoi componenti e non deve diventare uno strumento di avvilimento della dignità delle persone o il mezzo per perseguire altre finalità illecite”.

Giovedi 16 Settembre 2021

La Corte d'Appello di Trento confermava la decisione di primo grado, con la quale un noto cantautore veniva condannato, (per diffamazione, a un mese di reclusione – pena sospesa – e ad un risarcimento di 5000 euro) per aver pubblicato un libro autobiografico nel quale descriveva la ex moglie, come in preda ad “isterismo post gravidanza” che aveva compromesso il suo “sistema nervoso in maniera devastante”, tanto da aizzare di continuo i figli contro di lui.

Avverso la sentenza, la difesa proponeva ricorso per Cassazione lamentando, al terzo motivo, il vizio di motivazione in ordine al giudizio di responsabilità, adducendo che la Corte d'Appello avesse escluso l'applicabilità del diritto di cronaca essendovi “un interesse sociale alla conoscenza dei fatti narrati” nella biografia e che la ex moglie era già nota al pubblico, come comprovato dalla pubblicazione, nel corso degli anni, di innumerevoli articoli di cronaca rosa che la riguardavano. Quanto all'espressione usata “isterismo di fondo”, in riferimento alla donna, era stata adoperata non ai fini di una diagnosi medica ma semplicemente come espressione di uso comune per indicare il comportamento nervoso della donna nell'immediatezza del parto.

A supporto di ciò, la difesa evidenziava che nel corso del giudizio di separazione, era stata la stessa donna ad ammettere di essere venuta in contatto con una psicologa, per essere assistita. La Corte ha rigettato tutti e quattro i motivi sollevati e, con riferimento al terzo, in particolare, ha evidenziato che il ricorrente ha impropriamente invocato il diritto di cronaca e di critica e ciò in quanto, per giurisprudenza consolidata, “la divulgazione di fatti diffamatori è scriminata allorchè ricorrano – congiuntamente – i requisiti della continenza verbale, della verità della notizia e dell'interesse pubblico alla conoscenza del fatto diffamatorio”.

Correttamente i giudici di merito avevano escluso la sussistenza del requisito della rilevanza pubblica della notizia in quanto le vicende e le qualità personali della ex moglie del ricorrente, per quanto sovente presente su riviste di cronaca rosa, “non rivestono, per il pubblico, alcun interesse meritevole di tutela, trattandosi di soggetto che è fuori dalle dinamiche sociali, politiche o culturali del paese e che ha diritto, pertanto, a conservare l'anonimato sulle vicende della sua vita privata”. Gli ermellini, cioè, condividono l'orientamento secondo il quale “le vicende private di persone impegnate nella vita politica o sociale possono risultare di interesse pubblico, quando possano desumersene elementi di valutazione della personalità o della moralità di chi debba godere della fiducia dei cittadini, ma non è certo la semplice curiosità del pubblico a poter giustificare la diffusione di notizie sulla vita privata altrui, perchè è necessario che tale notizie rivestano oggettivamente interesse per la collettività” (1).

Con la pubblicazione del libro e la narrazione di vicende personali riguardanti lo stato di salute della ex moglie, “si è dato in pasto alla generalità dei lettori la cronaca pettegola di vicende domestiche, anche di palmare futilità, senza che in esse possa vedersi un qualche barlume di interesse sociale”. Pertanto, il comportamento del ricorrente, non può essere scusato invocando il diritto di cronaca e di critica proprio perchè le espressioni usate nella biografia, descrivono la donna come “perturbata psichicamente”e perciò vanno ad incidere sulla conservazione della onorabilità della stessa.

Come ribadito dalla Corte, la conditio sine qua non per il corretto esercizio del diritto di cronaca e di critica, è la presenza simultanea di tre elementi:

a) la verità della notizia pubblicata;

b) l'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti;

c) la correttezza formale dell'esposizione (cd continenza) (2).

Veniva, infine, esclusa la rilevanza della cosiddetta verità della narrazione e ciò perchè l'art. 596 cod. pen., “non ammette il colpevole a provare la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa”. Di conseguenza, “rimane priva di rilievo scriminante anche la convinzione dell'imputato di aver narrato dei fatti veri”.

Dunque, la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 32917, pubblicata il 6 settembre 2021, rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile.

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(1) Cassazione Penale,Sez. V, n. 1473 del 10 dicembre 1997.

(2) Cfr. Cass. Civ. Sez., III, 04.02.2005, n. 2271.

 

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