La Corte Costituzionale, con la sentenza n.66 del 21 Maggio 2025,ha stabilito che non è costituzionalmente illegittimo subordinare la non punibilità dell’aiuto al suicidio al requisito che il paziente necessiti, secondo la valutazione medica, di un trattamento di sostegno vitale.
Lunedi 26 Maggio 2025 |
Pertanto, sono state ritenute infondate le varie questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 580 del Codice Penale, sollevate dal GIP di Milano, al quale il Pubblico Ministero aveva chiesto di archiviare due procedimenti penali per aiuto al suicidio a carico di Marco Cappato.
Invero, il GIP del Tribunale di Milano aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art 580 C.P. ritenendo che la norma violi gli artt. 2,3,13,32,117 Cost. e gli art 8 e 14 della CEDU, nella parte in cui é prevista la punibilità della condotta di chi agevola l’altrui suicidio, nella forma di aiuto al suicidio medicalmente assistito, di una persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili e che, infine, abbia manifestato la propria decisione, in maniera libera e consapevole, di porre fine alla propria esistenza.
La Corte ha rammentato, in proposito, quanto già precisato nella sentenza numero 135 del 2024,in base alla quale è necessario che il requisito che il paziente dipenda da un trattamento di sostegno vitale va anche integrato dall’indicazione medica della necessità di un tale trattamento allo scopo di assicurare l’espletamento delle sue funzioni vitali, ed, in particolare, ogni volta che si debba ritenere che l’omissione o l’interruzione di tale trattamento determinerebbe, prevedibilmente, la sua morte in un breve lasso di tempo, come pure che sussistano tutti gli altri requisiti sostanziali e procedurali indicati dalla decisione della stessa Corte n. 242 del 2019 di cui infra.
La Corte ha sottolineato, sul punto, il carattere essenziale che rivestono i requisiti e le condizioni procedurali per la non punibilità dell’aiuto al suicidio, così come evidenziati nella costante giurisprudenza costituzionale, in quanto funzionali sia a prevenire il pericolo di abusi a danno delle persone deboli e vulnerabili, sia a “contrastare derive sociali o culturali che inducano le persone malate a scelte suicide, quando invece ben potrebbero trovare ragioni per continuare a vivere, ove fossero adeguatamente sostenute dalle rispettive reti familiari e sociali, oltre che dalle istituzioni pubbliche nel loro complesso”.(!!)
In conseguenza, secondo la decisione della Corte, ”non è necessario che il paziente sia tenuto a iniziare il trattamento al solo scopo di poter poi essere aiutato a morire!”.
In assenza delle condizioni come innanzi stabilite, la Corte, reiterando considerazioni già svolte nella richiamata sentenza n.135 del 2024.ha ritenuto che non appare, tuttavia, discriminatorio limitare a questi pazienti la possibilità di accedere al suicidio assistito e che tale limitazione non viola il diritto all’autodeterminazione del paziente terminale.
Inoltre, non può essere precluso al Legislatore compiere scelte diverse, laddove appresti le necessarie garanzie contro i rischi di abuso e di abbandono del malato. Al Legislatore stesso deve infatti riconoscersi un “significativo margine di discrezionalità […]nel bilanciamento tra il dovere di tutela della vita umana, discendente dall’art.2 Cost., ed il principio dell’autonomia del paziente nelle decisioni che coinvolgono il proprio corpo, e che è a sua volta un aspetto del più generale diritto al libero sviluppo della propria persona”.
Tuttavia, la Corte ha rammentato che costituisce preciso dovere della Repubblica garantire “adeguate forme di sostegno sociale, di assistenza sanitaria e socio sanitaria domiciliare continuativa, perché la presenza o meno di queste forme di assistenza condiziona le scelte della persona malata e può costituire lo spartiac que tra la scelta di vita e la richiesta di morte”.
In proposito, i Giudici hanno manifestato la preoccupazione di fondo che, ancora oggi, nel nostro Paese:
non è garantito un accesso universale ed equo alle cure palliative nei vari contesti sanitari, sia domiciliari che ospedalieri;
- vi sono spesso lunghe liste di attesa;
- vi è una mancanza di personale adeguatamente formato e una distribuzione territoriale dell’offerta troppo divaricata;
- che la stessa effettiva presa in carico da parte del servizio sociosanitario, per queste persone, risulta a volte insufficiente.
Alla luce di tali considerazioni, la sentenza ribadisce, con forza, l’auspicio […]”che il Legislatore e il Servizio sanitario nazionale intervengano prontamente ad assicurare concreta e puntuale attuazione a quanto stabilito dalla sentenza n. 242 del 2019,ferma restando la possibilità di dettare una diversa disciplina nel rispetto delle esigenze richiamate ancora una volta dalla pronuncia”.
In sintesi, la Corte delle Leggi, nella sentenza in commento, conferma la linea della importanza del c.d.“trattamento di sostegno vitale”, che costituisce uno dei quattro requisiti necessari per accedere al suicidio assistito in Italia, così come delineati nella richiamata e corretta interpretazione effettuata con la sentenza 135 del luglio 2024.
Seguendo la stessa logica di quella decisione, con l’odierna sentenza, la Corte ha ritenuto non fondate le varie questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 580 del C.P. che, come innanzi ricordato, punisce la istigazione o aiuto al suicidio, sollevate dal Gip di Milano e per le quali il P.M.aveva chiesto di archiviare due procedimenti penali per aiuto al suicidio, in maniera analoga a quanto avvenuto, in precedenza, a seguito dell’Ordinanza di rimessione del Gip di Firenze nel caso di Massimiliano, malato di sclerosi multipla, morto nel 2022 in una clinica in Svizzera con l’aiuto dell’Associazione Coscioni.
Pertanto, secondo la Corte, non risulta costituzionalmente illegittimo subordinare al requisito del sostegno vitale la non punibilità di chi aiuta il paziente a mettere in pratica il proprio proposito.
Ma non è necessario che il trattamento sia già in essere, né bisogna intenderlo in maniera restrittiva posto che il c.d. sostegno vitale non è costituito soltanto da un “macchinario”, come, ad es. quello per la ventilazione, ma da una procedura sanita ria obbligatoria da cui dipende la vita del malato.
In tale direzione, come già affermato nella sentenza n.135/2024,tra tali trattamenti la Corte include anche «procedure quali, ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali, normalmente compiute da personale sanitario, ma che possono essere apprese anche da familiari o “caregivers” che assistono il paziente, sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo».
Occorre, comunque, che sussistano le altre tre condizioni previste dalla storica sentenza della Corte n.242 del 2019,emessa sul caso Cappato/Dj Fabo come segue:
- che la richiesta arrivi da un malato affetto da una patologia irreversibile,
- che lo stesso sia capace di autodeterminarsi,
- che reputi le proprie sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili.
Come chiarito dalla stessa Corte nel Comunicato Stampa, emanato a corredo della attuale sentenza, i Giudici hanno ritenuto “che non è discriminatorio limitare a questi pazienti la possibilità di accedere al suicidio assistito, e che tale limitazione non viola il diritto all’autodeterminazione del paziente, sebbene non possa essere in ipotesi, precluso al Legislatore compiere scelte diverse, laddove appresti le necessarie garanzie contro i rischi di abuso e di abbandono del malato”.
Proprio al Parlamento, a cui va riconosciuta una maggiore discrezionalità nel bilanciamento tra il dovere di tutela della vita umana e il principio dell’autonomia del paziente nelle decisioni che coinvolgono la sua eistenza, la Corte rivolge l’ennesimo invito ad occuparsi della materia sia assicurando l’attuazione dei requisiti già stabiliti, sia garantendo «adeguate forme di sostegno sociale, di assistenza sanitaria e sociosanitaria domiciliare continuativa, perché la presenza o meno di queste forme di assistenza condiziona le scelte della persona malata e può costituire lo spartiacque tra la scelta di vita e la richiesta di morte assicurando un accesso “universale ed equo” alle cure palliative spesso impedite da lunghe liste di attesa dei malati!”.
A conforto della decisione, vale la pena di aggiungere che, secondo la Dottrina prevalente, la sentenza della Corte n.242/2019 può essere qualificata come una “sentenza–legge” che, come formulata, assumerebbe un carattere politico esorbitante le competenze assegnate alla Corte dalla Costituzione, caratterizzata da una sorta di normazione in forma di sentenza.
Ciò posto, la sentenza in questione assume essenzialmente una funzione ricognitiva di un’esimente penale per chi aiuti al suicidio, benché in presenza delle quattro condizioni che riguardino il paziente terminale “agevolando l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del Comitato etico territo rialmente competente”.
Ed è per questa ragione che sotto questo profilo si può ritenere che la sentenza n.242/2019 sia auto-applicativa.
Tuttavia, quando la Corte Costituzionale ebbe a dichiarare l’illegittimità parziale dell’art. 580 C.P.lo ha fatto, appunto, in relazione a una disposizione del Codice penale, che concerne la lettera l) dell’art. 117, co.2,Cost. “Ordinamento civile e penale”ossia una competenza legislativa esclusiva dello Stato, contrariamente a quanto erroneamente sostenuto, di recente, dalla Regione Toscana (v commento dello stesso Autore su questa Rivista) che si é vista impugnare la Legge emanata sulla delicata questione.
La Corte ha voluto, quindi, mettere dei paletti al Legislatore statale con una formulazione di tipo “normativo”, condizionante sul piano dell’esercizio successivo della funzione legislativa da parte del Parlamento nazionale tra cui rientrano le quelle delle cd sentenze delega, con cui la Corte si preoccupa di indicare al Legislatore quali dovrebbero essere, alla luce del dettato costituzionale, le linee generali della normativa della materia.
Quanto al supposto fondamento di una competenza legislativa regionale, in materia di assistenza sanitaria al suicidio medicalmente assistito, lascia seriamente perplessi l’inquadramento di una procedura medicalizzata che conduca alla morte nell’ambito della materia di legislazione concorrente “tutela della salute”, a differenza di quanto concerne, ad esempio, il novero delle cd “cure palliative” che rientrano nella competenza regionale.
Questa chiave di lettura condurrebbe a presupporre che i principi fondamentali della materia de qua andrebbero ricavati direttamente da una sentenza della Corte delle Leggi che, in materia di ordinamento penale interloquisce, sia pur discutibilmente, sul piano dei rapporti tra la Corte ed il Parlamento, il quale risulterebbe tagliato fuori ove la sentenza potesse essere intesa come diretta anche ai legislatori regionali.
Questa interpretazione si porrebbe, comunque, in palese violazione dell’art. 117, co. 2, lett. l) e m), della Costituzione che riservano esclusivamente allo Stato la competenza legislativa in materia di Ordinamento penale, come anche di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, senza che su questo possa determinare ingiustificabili disparità di trattamento per casi analoghi.
In definitiva, la chiave interpretativa fornita dai Giudici, proprio alla luce delle considerazioni appena svolte, finirebbe per porsi in contrasto con alcuni degli stessi principi supremi della Costituzione, che costituiscono, com’è noto, un limite alla stessa legislazione costituzionale, anche nel caso in cui si volesse ricostruire la materia de qua come appartenente alla cd legislazione concorrente e, cioè il principio democratico (art. 1, co. 2,Cost.) in base al quale “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, ivi comprese le prerogative che la Costituzione riconosce al Parlamento, ed il principio di uguaglianza (art.3,in combinato disposto con l’art. 117, co. 3, Cost.) che esige che i principi fondamentali di una materia di legislazione concorrente regionale vadano contenuti in una Legge del Parlamento in quanto è lo Stato l’unico capace di garantire ai diritti inviolabili dell’Uomo ed un eguale trattamento sanitario sull’intero territorio nazionale, escludendo, così, qualsivoglia fondamento giuridico alle pratiche del cd “turismo della morte”.
Tali considerazioni trovano puntuale riscontro nella giurisprudenza costituzionale consolidata ed inequivoca, laddove la Corte, proprio nella sentenza n. 242/2019 come pure nella successiva sentenza n. 50/2022,precisa che “dall’art. 2 Cost., non diversamente dall’art. 2 CEDU, discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo e giammai quello di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire”.
Se la competenza legislativa nella materia de qua è incardinata dalla Corte nello Stato, e non più genericamente, come accade quando vengano evocate competenze, legislative o amministrative, anche di altri Enti pubblici territoriali, non si tratta di una scelta casuale, ma collegata al radicamento della disciplina sulla titolarità ed esercizio dei diritti fondamentali nella competenza esclusiva del Legislatore statale (Corte Cost sent, n. 228/2021, fra le altre).
Laddove questi possano coinvolgere materie anche di legislazione concorrente delle Regioni, come la tutela della salute, non va, tuttavia, dimenticato “che il diritto della persona di essere curata efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica, e di essere rispettata nella propria integrità fisica e psichica deve essere garantito in condizioni di eguaglianza in tutto il Paese, attraverso una legislazione generale dello Stato basata sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale” (Corte Cost.sent.n. 5/2018).
Nella stessa direzione, costituisce un dovere costituzionale quello di riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo, tra cui la tutela della vita di ogni individuo, che, in base all’2 Cost. grava.in quanto tale, anche sulle Regioni, così come affermato dalla stessa Corte delle Leggi nella stessa sentenza n. 242/2019.
Si tratta, dunque, di un dovere costituzionale ed n principio supremo della Costituzione, che le Regioni sono chiamate a rispettare senza sostituirsi allo Stato nel legiferare.
Del resto, lo stesso Comitato Nazionale per la Bioetica ha sottolineato la necessità che su materie così delicate, a cominciare dalla definizione di “capacità libera ed informata di agire”, in grado di interferire con la sfera personale, sia “fatto ogni sforzo per evitare che vi siano approcci troppo differenziati o addirittura contra stanti nella valutazione delle condizioni indicate dalla Corte Cost”.
Dal canto suo, la Corte ha più volte ribadito che “una normativa in tema di disposizioni di volontà relative ai trattamenti sanitari nella fase terminale della vita (…) necessita di uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza, ratio ultima della riserva allo Stato della competenza legislativa esclusiva in materia di “ordinamento civile” disposta dalla Costitu zione”.
La stessa Corte, nell’Ordinanza n.207/2018 che ha preceduto la sentenza 242/2019, ha sottolineato, nella materia de qua, che “l’incrocio di valori di primario rilievo, il cui compiuto bilanciamento presuppone, in via diretta ed immediata, scelte che anzitutto il legislatore è chiamato a compiere”, per cui così puntualizza: “questa Corte reputa doveroso – in uno spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale – consentire, nella specie, al Parlamento ogni opportuna riflessione ed iniziativa”.
Tale considerazione, al di là dello “spirito” richiamato dalla Corte che deve animare le scelte legislative, pure oggetto di un approfondito dibattito in Dottrina.non può essere travolta dalle scelte spettanti al Parlamento in materia e di cui lo stesso ha l’onere di assumere coerentemente la responsabilità politica ma senza perdere di vista l’urgenza di provvedere in materia per i malati terminali, che sono quelli che non possono attendere oltre…(!!)