Stato di semi-abbandono ed adozione mite

“Il giudice chiamato a decidere sullo stato di abbandono del minore, e quindi sulla dichiarazione di adottabilità, deve accertare la sussistenza dell'interesse del medesimo a conservare il legame con i suoi genitori biologici, pur se deficitari nelle loro capacità genitoriali, costituendo l'adozione legittimante una extrema ratio cui può pervenirsi nel solo caso in cui non si ravvisi tale interesse”.

Martedi 9 Febbraio 2021

Con ordinanza n. 1476/2021, la Prima Sezione Civile della Cassazione, ha riproposto l'annosa questione della “adozione mite”, evidenziando la necessità di favorire il contatto fra il minore e i genitori biologici anche partendo dall'invito, più volte sollecitato dalla Corte CEDU, circa l'importanza di preservare, laddove si ravvisino le opportune condizioni, il legame tra il bambino e la famiglia d'origine.

Già nel febbraio 2020, con l'ordinanza n. 3643, gli ermellini avevano sancito il principio secondo il quale - in linea con quanto previsto dalla Corte europea e nel rispetto di quanto stabilito dagli articoli 1 e 4 della Convenzione dell'Aja sull'adozione internazionale e dall'art., 21 della Convenzione dell'Onu sui diritti del fanciullo - devono riconoscersi nel nostro ordinamento modelli di adozione mite, in grado di garantire il mantenimento di un legame tra il minore ed il genitore biologico. Il presupposto giuridico di questa particolare forma di adozione, è il semi-abbandono permanente, da intendersi come stato di abbandono permanente ma non totale che, tuttavia, non consente di dichiarare adottabile il minore. Esso racchiude in sé tutte quelle situazioni nelle quali la famiglia del bambino, pur non avendo gli strumenti adeguati per rispondere ai suoi bisogni, continua a ricoprire un ruolo attivo, attutendo le conseguenze dell'interruzione del legame.

A titolo puramente esemplificativo, va ricordato che il nostro ordinamento, oltre a tutelare il prioritario diritto del minore ad essere istruito ed educato nell'ambito del nucleo familiare di origine, riconosce due sole forme di adozione: quella legittimante ( di cui agli artt., 6 e ss., L. n. 184/1983, così come modificati dagli artt., 6 e ss., L. n. 149/2001), e quella in casi particolari (disciplinata dall'art., 44 l. n. 184/1983, così come modificato dall'art., 25 l. n. 149/2001).

L'istituto dell'adozione mite deriva dall'interpretazione sistematica degli artt., 7 e 44, lett. d), l. n. 184/1983. La Corte europea ha messo in evidenza come, nonostante nell'ordinamento italiano non sia disciplinata espressamente questa forma di adozione, i Tribunali per i Minorenni di varie città abbiano adottato una interpretazione estensiva delle ipotesi normative di adozioni in casi particolari. Come ribadito nella ordinanza in commento, il ricorso alla dichiarazione di adottabilità è praticabile solo come extrema ratio laddove l'incapacità dei genitori di allevare e curare il figlio sia irreversibile. Per la Cassazione, il Tribunale per i Minorenni è tenuto a verificare preventivamente se possa essere fornito un intervento di sostegno mirato in grado di rimuovere situazioni di difficoltà familiare. Solo laddove non sia possibile recuperare le capacità genitoriali e garantire un ordinario sviluppo psico-fisico del minore, è legittimo e corretto l'accertamento dello stato di abbandono ( Cass. Civ., Sez. I, 26 marzo 2015, n 6137).

La vicenda alla base della decisione si origina nel 2015, allorquando il Tribunale per i Minorenni dichiarava la decadenza della potestà genitoriale dei coniugi sulla minore. Nel 2018 veniva dichiarato lo stato di adottabilità della piccola. La Corte d'Appello confermava la decisione di primo grado ritenendo che la madre biologica potesse svolgere solo un ruolo secondario, a causa delle evidenti fragilità sia di ordine psicologico che economico e che l'affidamento etero-familiare fosse l'unica soluzione praticabile. La donna proponeva ricorso per Cassazione lamentando il mancato accertamento, da parte della Corte territoriale, della reale capacità genitoriale oltre alla mancata considerazione dei numerosi tentativi messi in atto per recuperare il rapporto con la figlia. Evidenziava, inoltre, che i Servizi Sociali nulla avevano fatto per favorire il recupero progressivo della potestà genitoriale. La difesa della donna faceva espresso richiamo alle indicazioni fornite dalla Cedu, secondo la quale la rottura dei legami familiari impone alle autorità nazionali di adottare tutte le misure necessarie a garantire il diritto del genitore al ricongiungimento con il figlio, anche laddove siano accertate situazioni di parziale compromissione dell'identità genitoriale.

La Cassazione accoglie tutti i motivi del ricorso affermando, alla luce dei principi fissati dalla Corte CEDU (il riferimento è alle sentenze 21 gennaio 2014, Zhou c/Italia e 13 ottobre 2015, Sh c/Italia), che nel procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità, è necessaria un'indagine completa e non approssimativa circa la condizione di abbandono materiale e morale del minore e della oggettiva capacità dei genitori biologici attraverso un'adeguata valutazione tecnica, così da accertare se l'interesse del minore a non recidere il legame con la famiglia di origine, debba prevalere o meno rispetto al quadro deficitario della capacità genitoriale. Per la Suprema Corte occorre valutare, di volta in volta, tenuto conto della particolarità di ogni singolo caso, il ricorso a modelli di adozione che non recidano totalmente i rapporti del minore con il nucleo originario.

La Cassazione, sulla scorta del quadro ricostruttivo fornito dalla Corte territoriale, sottolinea che dal maggio 2012, data di affidamento della bambina, la genitrice era riuscita ad incontrarla per due sole volte, nel 2014, esplicitando la volontà di poter avere “rapporti saltuari ma continui”. A seguito del sisma del 2016, che aveva interessato la zona di residenza della madre, la stessa aveva acconsentito di graduare gli incontri sì da preparare la bambina “all'accesso nella sua vita di una madre diversa da quella affidataria”, senza peraltro mai dismettere il suo interesse per la figlia”tanto da opporsi all'adozione legittimante in favore di quella “mite”. Nel 2016, il Tribunale per i Minorenni, aveva sollecitato i Servizi Sociali a predisporre un calendario di incontri ma il provvedimento era stato del tutto ignorato. La donna, nel frattempo – siamo nel 2017- aveva partecipato a quattro incontri preparatori, senza la presenza della bambina, per affrontare adeguatamente eventuali incontri futuri. A parere della Suprema Corte, la motivazione da parte della Corte d'Appello è “totalmente assente oltre che del tutto illogica e contraddittoria, in ordine alle ragioni del mancato riavvicinamento della madre alla figlia naturale, e dunque certamente al di sotto del minimo costituzionale che rende la anomalia motivazionale rilevante come violazione di legge in relazione all'art. 132, n. 4, cod. proc.civ.,”.La Corte d'Appello, cioè, si è sottratta all'obbligo di compiere tutti gli opportuni accertamenti volti a consentire una forma di adozione “mite”, in grado di garantire alla bambina e alla madre la continuità di un rapporto che, per quanto compromesso, risulta essere alla base del corretto sviluppo psico- fisico del minore:“l'esclusione di una piena idoneità della madre, (…), non comporta, nondimeno, che la stessa non possa rivestire un ruolo importante e complementare, rispetto a quello svolto dalla coppia affidataria, nella vita della minore e nell'interesse della medesima”.

Per i motivi esposti, la Corte ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d'Appello in diversa composizione.

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