Dopo l'entrata in vigore della legge Cirinnà (L.76/2016) lo scenario per le coppie si delinea senza possibilità di dubbio: per le coppie etero la scelta sarà tra il matrimonio e la convivenza di fatto ( registrata o non registrata), per le coppie omosessuali invece tra unione civile e convivenza di fatto (anche qui registrata e non registrata).
Venerdi 8 Dicembre 2017 |
L'unione civile a ben vedere, a parte la modalità di costituzione (cioè per il rito) e la possibilità di aggiungere (prima o dopo il proprio) il cognome del compagno, ha moltissimi punti di contatto con il matrimonio: stessi obblighi di assistenza morale e materiale, obbligo di coabitazione e di contribuzione ai bisogni comuni commisurato con la capacità lavorativa; stessa possibilità di disciplinare il regime patrimoniale della coppia (per optare per la separazione dei beni sarà necessario però rivolgersi al notaio che dovrà redigere l'atto pubblico) che nel caso di una mancata scelta, determinerà la nascita della comunione comunione legale dei beni tra i componeneti l'unione; stessa possibilità di costituire un fondo patrimoniale.
Anche dal punto di vista successorio il compagno/a diventerà successore legittimo con tutti i diritti che ne discendono e potrà abitare vita natural durante nella casa adibita a residenza della coppia.
Una differenza sostanziale tra coppia sposata e coppia unita con unione civile...l'obbligo di fedeltà.
Per le coppie conviventi registrate invece non si instaura ex lege la comuione dei beni ma sarà necessario regolare il regime di convivenza con un contratto di convivenza ( stipulato con atto pubblico dal Notaio o con scrittura privata autenticata da un avvocato cui si dovrà dare pubblicità nei registri anagrafici).
Il contratto così non solo potrà determinare la comunione dei beni acquisiti durante la convivenza ma anche disciplinare le modalità di contribuzione dei conviventi alle necessità del nucleo.
Unica precisaizone che al contratto di convivenza non possono essere applicati termini o condizioni: pena la nullità.
In dubbio invece la possibilità di prevedere una disciplina economica futura nel caso di scioglimento della convivenza, cosa vietata per legge in caso di matrimonio.
Il convivente però non acquisisce diritti in caso di morte del partner: unica eccezione per il diritto di abitazione nella residenza comune della coppia e di titolarità del defunto (due anni o più fino a massimo di 5 se la convivenza si fosse protratta per più di due anni).