Sinistri stradali: utilizzo delle risultanze probatorie del processo penale nel giudizio civile

Tribunale di Ferrara - sentenza n. 510/2018 del 27/6/2018

Martedi 4 Dicembre 2018

Trattasi di sinistro stradale a seguito del quale rimaneva gravemente leso un pedone che percorreva la carreggiata sulla banchina asfaltata, all’esterno della carreggiata riservata alla circolazione dei veicoli, investito da un’auto che procedeva nella medesima direzione.

Il Tribunale ha ritenuto di escludere la responsabilità della conducente del veicolo traendo elementi utili al convincimento dalla perizia cinematica del Gip, svolta in sede di processo penale concluso con l’archiviazione, ctu che non è stata ritenuta carente “nel ragionamento” quanto alla dinamica del sinistro.

Il pedone ha occupato la carreggiata in modo improvviso e repentino tanto da rendere impossibile da parte del conducente qualsiasi manovra idonea a evitare l’impatto. Nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice potendo porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche, è legittimato ad avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti penali così come delle dichiarazioni rese agli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali.

Il tribunale di Ferrara, conformemente a Cass. Civ. Sez VI 22/5/2018 n 12576, Cass. Civ. Sez III 11/4/2018 n. 9278, Cass Civ. Sez VI 22/2/017 n 4551, afferma che l’investimento da parte di un veicolo di un pedone non goda di una presunzione di responsabilità in capo al conducente occorrendo infatti verificare caso per caso le modalità con cui si è verificato il sinistro: in capo all’attore incombe l’onere di provare sia il comportamento colposo del conducente sia di essere esente da ogni addebito e di aver tenuto un comportamento corretto ai sensi della normativa del codice della strada.

Per quanto concerne la domanda attorea inerente al quantum debeatur il Tribunale ha escluso il risarcimento del danno non patrimoniale jure hereditario a favore del fratello del de cuius, aderendo a quella parte della giurisprudenza in forza della quale la mera esistenza di un rapporto di parentela, per di più collaterale, non è sufficiente a riconoscere un diritto al risarcimento del danno per perdita di un congiunto (danno da perdita del rapporto parentale).

È necessario che venga fornito in corso di causa la prova di un legame affettivo intenso, anche per presunzioni, allegando circostanze specifiche a sostegno del ragionamento presuntivo. Anzi la necessità di allegazioni è proporzionalmente più stringente proprio in considerazione della natura presuntiva della prova del danno non patrimoniale: “La perdita del fratello non produce necessariamente un danno risarcibile in favore dei fratelli superstiti, ma solo quando tra fratelli sussiste un legame affettivo di tale intensità da provocare nel superstite un danno ingiusto causato dalla sofferenza e dallo sconvolgimento emotivo e delle abitudini di vita”. Allegazioni dai quali il tribunale potrà trarre elementi utili per il proprio convincimento sono:

  • la durata della convivenza,

  • il tipo di rapporto esistente tra i fratelli,

  • l’accudimento nel periodo di ricovero precedente la morte.

    Difforme a questo orientamento Cass. civile ord .15/2/2018 n. 3767, il Tribunale di Modena 9/6/014 ( “ Deve ritenersi sussistente il danno non patrimoniale in ragione della perdita del rapporto parentale attinente alla cd. Famiglia nucleare (genitori, figlio, fratelli) in quanto si può presumere questa tipologia di danno, sulla base del normale modo di essere dei rapporti umani”).

    Conforme alla Sentenza Tribunale Ferrara è invece Cass. Civile 17/1/018 n. 907, Cass. Civile 10/07/018 n. 18069, Cass. Civile ord. n 9196 13/4/018 ( “l’attore deve fornire gli elementi minimi per presumere che ci sia stata la sofferenza destinata ai superstiti di un lutto”). L’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano nei “chiarimenti della Tabella” del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale precisa che “il danno in esame non è in re ipsa, per cui nei “criteri orientativi” si ribadisce che “non esiste un minimo garantito da liquidarsi in ogni caso: il Giudice deve valutare caso per caso e la parte è comunque gravata dagli oneri di allegazione e prova del danno non patrimoniale subito”.

    Nulla il Tribunale riconosce all’attore a titolo di danno jure hereditario per carenza probatoria in particolare con riferimento allo stato di “coscienza della vittima” del sinistro e alla quantificazione della sua sofferenza nel periodo di tempo intercorrente tra il sinistro e il decess , la sopravvivenza della vittima per un periodo significativo tra il sinistro e la morte non è sufficiente a configurare un diritto al risarcimento del danno “tanatologico” trasmissibile mortis causa.

    Il cd. Danno tanatologico “consistente nella sofferenza patita dal de cuius prima di morire è stato indicato dalla Suprema Corte, anche a SU in termini di danno morale o da lucida agonia o catastrofale o catastrofico ( Cass. SU 11/11/2008 N. 26772; Cass. SU 11/11/2008 n 26773) quale danno dalla vittima subito per la sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine; per la cui configurabilità assume rilievo il criterio dell’intensità della sofferenza provata. Vedasi anche Cass., 8/4/2010 n. 8360; Cass., 23/2/2005 n. 3766; Cass., 1/12/2003 n. 18305; Cass. 19/10/2007, n.21976; Cass. 24/5/2001 n. 7075; Cass. 6/10/1994 n. 8177; Cass. 14/6/1965 n. 1203.

    In tema di cd. Danno catastrofico v. già Cass., 2/4/2001, n.4783), a prescindere dall’apprezzabile intervallo di tempo tra lesioni e decesso della vittima richiesto per la liquidazione del danno biologico terminale ( in ordine al quale c. Cass, 28/8/2007, n.18163; Cass,, 16/5/2003, n. 7632; Cass,, 1/2/2003. N. 18305; Cass., 16/6/2003, in 9620; Cass. 14/3/2003. N 3728; Cass., 2/4/2001, n.4783; Cass., 10/2/1999, n.1131; cass., 29/9/1995, n.10271).

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