Il Consiglio di Stato, in tema di sanzionabilità degli atti persecutori, ai sensi dell’art. 612-bis C.P., ha dichiarato illegittimo il provvedimento di ammonimento emesso ai sensi dell’art.8 del D.L.23/2/2009, n. 11 («Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori»), convertito, con modificazioni, con la Legge n.38/2009,laddove il Questore abbia omesso di valutare i concreti elementi addotti dall'interessato a proprio discarico (v.allegato).
Mercoledi 24 Settembre 2025 |
In base alla Legge citata, l'ammonimento riguarda la condotta di chi commette atti persecutori, disciplinati dall'art. 612-bis del codice penale.
La persona offesa può richiedere al Questore di ammonire l'autore della condotta, il quale, dopo aver raccolto informazioni, può ammonire oralmente il soggetto e adottare provvedimenti riguardo le armi e munizioni.
La rilevante decisione è scaturita da una sentenza del T.A.R. Sardegna, con cui era stato respinto il ricorso proposto dall'appellante contro l’ammonimento del Questore di Cagliari, del 9/5/2017,su istanza della convivente more uxorio che, allontanatasi dalla casa coniugale pochi mesi dopo la nascita del figlio nel corso del rapporto, denunziava di essere divenuta destinataria di un comportamento intimidatorio da parte dell'ex compagno, odierno appellante.
Parallelamente alla vicenda amministrativa, veniva celebrato a carico del suddetto anche il processo penale per l'accusa di stalking, conclusosi nel 2022 con una sentenza assolutoria del prevenuto.
Tale sentenza, pur avendo escluso nel suo comportamento gli estremi del reato, aveva, tuttavia, rilevato un alto tasso di conflittualità della coppia causata dalla ostinazione dell'imputato a non voler interrompere la relazione con la denunziante.
All’esito negativo del giudizio svoltosi dinanzi al TAR Sardegna, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso proposto dall’appellante avverso il rigetto delle doglianze espresse dinanzi al Giudice di prima istanza per le motivazion che si riportano in sintesi.
A sostegno dell’impugnazione proposta, l’appellante ha dedotto, in primo luogo, l'erroneità della sentenza impugnata, per violazione degli artt.6 e 8 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo, preordinati a garantire la partecipazione al procedimento dell'interessato, essendo precluso al Questore l'adozione di un decreto di ammonimento sulla base della sola prospettazione dell'ex convivente e istante della applicazione della misura.
Inoltre, l’appellante ha riproposto i tre motivi articolati in primo grado e disattesi dal Tar, costituiti dall’assoluta carenza di motivazione del provvedimento in questione, dalla mancanza di un’adeguata istruttoria e dall'erronea valutazione dei necessari presupposti per l'adozione dello stesso.
Secondo il CdS, le censure prospettate con l’impugnazione e relative al difetto di motivazione ed alla mancata valutazione degli elementi addotti dal ricorrente, vanno invece accolte atteso che “non è dato evincersi dal provvedimento in questione la considerazione da parte dell'Amministrazione intimata degli elementi addotti dall'interessato a proprio discarico”.
Il TAR, per contro, aveva respinto tali censure, essenzialmente, sulla scorta di due argomenti:
L’inconfigurabilità a carico dell'Amministrazione procedente dell'onere di controdedurre minuziosamente ai rilievi dell'interessato;
la diversità dei presupposti sui quali si fondano, rispettivamente, l'accertamento in sede penale, teso a verificare la sussistenza del comportamento tenuto in concreto nella fattispecie astratta di reato, ai fini dell'accertamento di eventuali responsabilità e il giudizio prognostico di pericolosità espresso dal Questore ex ante, con la diversa finalità di prevenzione del reato.
Sulla base di tali considerazioni, supportate dalla giurisprudenza invocata dalla difesa erariale, il TAR aveva ritenuto il provvedimento di ammonimento, divenuto oggetto di gravame, sorretto da sufficienti elementi indiziari.
Orbene, secondo il Cds, se è vero che il giudizio prognostico di pericolosità non debba fondarsi su prove certe e che l'Amministrazione non possa essere gravata dell'onere di controdedurre minuziosamente ai rilievi dell'interessato, ”l'attenuazione dell'obbligo di motivazione non può spingersi fino ad esonerare l'Amministrazione stessa dalla considerazione dei concreti elementi introdotti dall'interessato stesso nella dialettica procedimentale e dall'esplicitazione delle ragioni della loro supposta ininfluenza, senza vanificare la finalità di composizione preventiva di possibili conflitti posta a base delle disposizioni che regolano la partecipazione del destinatario del provvedimento”.
A maggior ragione tale principio trova applicazione nella fattispecie, atteso che si tratta di misure che interferiscono con le libertà fondamentali dell'individuo, coperte da garanzia costituzionale.
Pertanto, nel caso esaminato dai Giudici d’Appello, non è in discussione la completezza dell'istruttoria, bensì l'accuratezza della valutazione amministrativa delle risultanze dell'istruttoria stessa, stante il tenore scarno del provvedimento impugnato e tanto meno possono ritenersi dirimenti le relazioni fornite dalla stessa Questura.
Per le ragioni di cui innanzi, l'appello è stato accolto nei sensi e limiti dello stesso, fatti salvi gli eventuali ulteriori provvedimenti.
Sin qui la decisione assunta dal Consiglio destinata ad avere un seguito in altri provvedimenti similari che mettano in discussione l’istruttoria carente del provvedimento di ammonimento emanato a tutela delle Vittime del sesso debole.
Merita, inoltre, evidenziare, sempre in relazione al reato di stalking, un altro caso analogo, suscettibile di una composizione bonaria attraverso il ricorso alla Giustizia Riparativa, come di recente segnalato dalla Rivista Terzultima Fermata.
La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Livorno ha affrontato un caso di presunto reato di “stalking”a seguito della denuncia presentata direttamente dalla persona offesa.
Durante la fase delle Indagini preliminari, veniva esperito incidente probatorio innanzi al GIP durante il quale la Vittima costituita nel giudizio, dichiarava che si sentiva sufficientemente tutelata dalla misura cautelare del divieto di avvicinamento, nel frattempo applicata all’indagato, ma non anche dal braccialetto elettronico il cui cattivo funzionamento creava più problematiche che altro ed, in conseguenza, la denunciante aderiva alla revoca di tale inefficace misura.
Dopo alcuni mesi, la vita dei due protagonisti della vicenda tornava alla normalità che la ex coppia ritrovava nella distanza ed indifferenza reciproca.
Nel frattempo, veniva notificato alle Parti l’avviso di conclusione delle indagini preliminari e la Vittima si mostrava propensa alla possibilità di incontrare l’indagato per un chiarimento, per chiudere definitivamente la pur spiacevole vicenda.
Alla luce di tale disponibilità, non essendo ancora intervenuta alcuna decisione sul procedimento de quo e ritenendo sussistere i requisiti richiesti anche in considerazione dele esigenze espresse dalla persona offesa, il difensore di questa ultima predisponeva l’istanza di cui all’art. 129-bis, C.P.P.per l’avvio delle Parti ai programmi di Giustizia Riparativa.
Poiché si procedeva per il reato di cui all’art. 612 bis C.P “Atti persecutori”, il legale motivava l’istanza de qua richiamando innanzitutto la funzione della Giustizia Riparativa, diretta a responsabilizzare la persona indicata come autore del reato e a ricostruire i legami con la persona offesa e con la Comunità tramite la risoluzione mediata delle questioni derivate dal reato.
In quest’ottica risultava evidente, tra l’altro, anche la funzione deflattiva del contenzioso propria della Giustizia Riparativa.
Quanto, invece, al requisito dell’assenza di pericolo concreto per l’accertamento dei fatti, si riteneva che l’esperimento dell’incidente probatorio fosse sufficiente a scongiurare un siffatto pericolo e che, nel merito, si riteneva che il tempo trascorso, la condotta tenuta dalle Parti in medio tempore, la disponibilità espressa dalla persona offesa nel voler superare positivamente e responsabilmente la questione insorta tra le stesse e da ultimo, ma non meno importante, il ruolo “attivo” svolto dalla piccola Comunità di residenza delle stesse Parti, in cui si erano svolti i fatti in narrativa, evidentemente interessata al ripristino della pacifica convivenza tra i suoi consociati, fossero tutti elementi necessari e sufficienti a soddisfare i requisiti richiesti dalla norma per l’accoglimento della istanza in questione da parte del PM.
Sul punto va sottolineato, tra l’altro, che, trattandosi di reato procedibile a querela, non soggetta a remissione, l’eventuale esito riparativo poteva essere valutato positivamente dall’Autorità Giudiziaria.
Tuttavia, il PM rigettava l’istanza con una motivazione che lascia perplessi:
“Rilevato che il prossimo termine di scadenza delle misure cautelari in atto, non consente di svolgere le attività previste dall’art.129 bis CPP. come propedeutiche all’ordinanza di sospensione dei termini di cui all’art. 303 CPP e ritenendosi preminente le esigenze della parte offesa, rigetta – in questa fase – l’istanza”.
Sebbene sia possibile la reiterazione dell’istanza in altra fase del procedimento e l’impugnazione del provvedimento del PM, in forza della più recente giurisprudenza in materia di reati procedibili a querela di parte (v. Cass.33152/ 2024), non sembra condivisibile l’orientamento del Pubblico Ministero in merito alla sussistenza/insussistenza dei requisiti richiesti dalla Legge per l’accesso al procedimento riparatorio né lo stesso ha fornito chiarimenti sull’improcedibilità della richiesta a causa della tardiva attivazione dei Centri di Giustizia Riparativa.
Il PM è entrato direttamente nel merito della questione, effettuando una scelta discrezionale, individuando una presunta inconciliabilità tra lo svolgimento di un percorso di giustizia riparativa a causa dalla misura cautelare dell’allontanamento ancora in atto a carico dell’imputato.
Tanto meno si comprende, dal provvedimento di rigetto, in che termini e con quali modalità le attività di giustizia riparativa possano essere propedeutiche all’Ordinanza di sospensione dei termini di cui all’art.303 CPP.
Infine, come ulteriore motivo di rigetto dell’istanza, il PM sembra appellarsi a generiche ed astratte esigenze della persona offesa, tali da considerarsi preminenti rispetto ad una serena valutazione in concreto del caso.
In definitiva, anche questa decisione potrebbe costituire un notevole precedente per casi similari nelle Aule di Giustizia.
Per entrambi i casi innanzi esaminati occorre, a questo punto, fare una riflessione sulla natura del reato, dell’autore, della Vittima e delle conseguenze psico-fisiche arrecate.
Il termine“stalking”deriva dall’inglese stalk, traducibile con“appostare, braccare, pedinare”, sebbene per comprendere a fondo il significato di esso è utile andare oltre la semplice definizione linguistica.
Le Vittime di stalking subiscono conseguenze psicologiche ed emotive profonde come ansia, depressione, disturbi del sonno, attacchi di panico e isolamento, oltre a sintomi fisici come disturbi alimentari o aumento del consumo di sigarette e alcol.
Inoltre lo stalking può portare a un costante stato di allerta e a un senso di impotenza, logorando l'autostima e la fiducia nella vita.
Non si tratta di un singolo gesto inopportuno, ma di un insieme di comportamenti persecutori, ripetuti e intrusivi, che erodono lentamente la libertà e la serenità di una persona perché chi lo subisce si sente costantemente osservato, privato della propria privacy e sicurezza.
È una forma di violenza che non si esaurisce in un momento, ma si insinua nella vita quotidiana, generando un profondo stato di angoscia.
Questo fenomeno si manifesta attraverso una serie di azioni ossessive, come:
Pedinamenti e appostamenti: la sensazione angosciante di essere seguiti nei propri spostamenti, che sia mentre si va al lavoro, si fa la spesa o si esce con gli amici.
Molestie telefoniche e digitali (cyberstalking): un bombardamento di chiamate, messaggi, email o commenti sui social media che invadono lo spazio personale e digitale, rendendo impossibile trovare un rifugio.
Minacce: parole che incutono paura, a volte esplicite, altre volte velate, rivolte non solo alla persona ma anche ai suoi affetti più cari, con l'obiettivo di isolarla e controllarla.
Danneggiamento di proprietà: atti vandalici contro l'auto, la casa o altri beni personali, usati come un avvertimento o una dimostrazione di potere.
Invio di regali non desiderati: un tentativo di mantenere una presenza costante e inquietante, trasformando un gesto apparentemente innocuo in un atto di controllo psicologico.
Molte Vittime che vivono questa esperienza si chiedono se questi comportamenti siano punibili.
La risposta è chiaro ed inequivocabile: lo stalking è un reato e punito dall’art 612 bis come“atti persecutori”, tuttavia, affinché si configuri non basta un singolo episodio.
La legge trova applicazione quando le condotte persecutorie sono ripetute e provocano nella vittima almeno una delle seguenti conseguenze, documentabili anche a livello psicologico:
Un perdurante e grave stato di ansia o di paura, che rende la vita quotidiana un'esperienza di costante tensione.
Un fondato timore per la propria incolumità o per quella di una persona cara, come un familiare o il partner.
La costrizione a cambiare le proprie abitudini di vita, come modificare il tragitto per andare al lavoro, cambiare numero di telefono o smettere di frequentare luoghi amati per paura di incontrare il persecutore.
È fondamentale sapere che la legge considera delle aggravanti che aumentano la severità della pena per es., se a commettere il reato è un ex partner o un coniuge (anche se separato o divorziato), o se lo stalking avviene tramite strumenti informatici, come nel caso del cyberstalking, condotte ormai divenute negli ultimi tempi molto frequenti
Analizzare il profilo psicologico di chi commette stalking non ha lo scopo di giustificarne le azioni, ma di far luce sulle dinamiche disfunzionali che innescano la persecuzione.
Comprendere queste caratteristiche può aiutare la vittima a realizzare che il problema non risiede in lei, ma in chi agisce il comportamento.
Spesso, dietro l'ossessione si nascondono profonde insicurezze emotive e relazionali.
La ricerca psicologica ha tentato di classificare i comportamenti di stalking in cinque diverse tipologie ed una delle più note é quella proppsta da Mullen e colleghi (1999):
L'ex partner non accetta la fine della relazione.
È la tipologia più comune. La fine della relazione viene vissuta come un abbandono intollerabile, una ferita profonda al proprio senso di valore. La persecuzione diventa un tentativo disperato di mantenere un legame, anche se tossico e doloroso.
Il corteggiatore incompetente.
Questa persona vive in una fantasia relazionale in cui ogni segnale, persino un chiaro rifiuto, viene distorto e interpretato come un incoraggiamento. Non riesce a vedere la realtà della relazione e si convince di un legame che non esiste.
Il Cercatore di intimità.
E' motivato dal desiderio di instaurare una relazione affettiva o romantica con la vittima, spesso idealizzata. Questo profilo è frequentemente associato a deliri erotomani o altre forme di pensiero psicotico, in cui l’individuo crede erroneamente che i propri sentimenti siano ricambiati.
Il risentito.
Agisce per vendetta o rivalsa, percependosi come vittima di un’ingiustizia da parte della persona perseguitata. Il suo comportamento è guidato da rabbia e desiderio di intimidire o far soffrire la vittima, spesso per alimentare un senso di potere o giustificazione personale.
Il predatore.
Osserva e segue la vittima in modo furtivo e pianificato, spesso come preludio a un’aggressione sessuale. È motivato da un desiderio di controllo, dominio o gratificazione sessuale, e trae piacere dal terrore e dalla vulnerabilità che riesce a infliggere.
Alla radice di questi comportamenti spesso si ritrova una profonda paura della solitudine.
L'altra persona cessa di essere vista come un individuo con una propria volontà e diventa un oggetto da possedere, un modo per tentare di riempire un incolmabile vuoto interiore.
Ecco alcune indicazioni per contrastare il fenomeno, secondo le Forze dell’Ordine:
Interrompere ogni contatto: questo è il passo più difficile ma anche il più cruciale. Sii categorico/a. Non rispondere a messaggi, chiamate o qualsiasi altro tentativo di approccio. Dal punto di vista psicologico, ogni tua risposta, anche se di rabbia, viene interpretata dal persecutore come un segnale di attenzione e rinforza il suo comportamento.
Documentare ogni singolo episodio: conserva tutto.Fai screenshot di messaggi ed email, annota date, orari, luoghi e descrizioni dettagliate di ogni molestia o appostamento. Questa raccolta di prove sarà indispensabile per una futura denuncia per stalking .
Informare le persone fidate .: non affrontare tutto in solitudine. Parlane con familiari, amici fidati o colleghi. Renderli consapevoli della situazione non solo ti darà supporto emotivo, ma aumenterà anche la tua sicurezza fisica.
Rcorrere all'ammonimento del Questore: prima della denuncia, esiste una misura di prevenzione chiamata 'ammonimento'. È una procedura più rapida in cui il Questore avvisa formalmente il persecutore di interrompere ogni comportamento molesto.
Sporgere denuncia o querela: ricorda che lo stalking è un reato . Puoi presentare una querela presso le Forze dell'Ordine (Polizia o Carabinieri) entro 6 mesi dall'ultimo atto persecutorio. Porta con te tutte le prove che hai raccolto.
Chiamare il numero 1522: non esitare a contattare il numero gratuito anti violenza e stalking. È attivo 24 ore su 24,7 giorni su 7, e offre ascolto, supporto qualificato e orientamento sulle azioni da intraprendere.
Subire stalking è un'esperienza traumatica che lascia ferite profonde (Hauch & Elklit,2023). L'impatto psicologico dello stalking va ben oltre la paura del momento: logora la fiducia, l'autostima e il senso di sicurezza nel mondo. La vittima è costretta a vivere in un costante stato di allerta, come se il pericolo fosse sempre dietro l'angolo. Questa ipervigilanza cronica degenerare in veri e propri disturbi, tra cui:
Disturbo d'ansia generalizzata: una preoccupazione costante e pervasiva, accompagnata da tensione muscolare, irritabilità e difficoltà a rilassarsi.
Disturbo da stress post-traumatico (DPTS): la mente rivive il trauma attraverso flashback, incubi e un'ipervigilanza che porta a evitare qualsiasi situazione, luogo o persona che possa ricordare la persecuzione.
Depressione: un velo di tristezza, perdita di interesse per le attività che un tempo davano gioia, sentimenti di impotenza e disperazione che possono diventare totalizzanti.
Isolamento sociale: la paura e la vergogna possono spingere a ritirarsi dalla vita sociale, allontanandosi proprio da quelle relazioni che potrebbero offrire supporto e conforto.
La violenza di genere è divenuta negli ultimi anni.un fenomeno in espansione a livello mondiale.
In Italia, nel 2013,128 donne sono state uccise: nell’83% dei casi il delitto è avvenuto tra le mura domestiche; ma molte altre sono le donne che sopravvivono subendo violenze di tipo fisico, sessuale e psicologico.
Infatti, da una ricerca condotta dall’Unione Europea (Violence Against Women,2014) emerge come in Italia il 19% delle donne nel corso della vita ha subito violenze fisiche o sessuali, il 38% ha subito abusi psicologici e il 9% stalking (quasi sempre dai loro ex mariti o conviventi).
Inoltre, il 62% dei maltrattamenti sulle donne sono avvenuti in presenza dei figli (Istat 2008).
Importantissimo è anche considerare l’elevato tasso di idee suicidarie presenti nelle vittime di stalking, e quindi fare particolare attenzione alle proprietà disinibenti dei farmaci prescritti, per evitare le prescrizioni potenzialmente letali, se assunte a scopo autolesivo.
Le vittime possono trovare beneficio, comunque, preso i gruppi di auto-aiuto, tramite i quali i partecipanti possono ridurre i sentimenti di isolamento e ricercare invece un senso di reciproca comprensione e conferma.
Nel percorso è importante anche includere il partner, se presente, e i familiari più significativi.
Essi, spesso, possono essere fonte di informazioni collaterali, che permettono di sviluppare strategie migliori per affrontare il problema e possono anche sostenere la vittima nelle sue esigenze di sicurezza.