Se il quantum è incerto, la sentenza che liquida una somma maggiore è viziata da ultrapetizione?

Venerdi 29 Settembre 2017

Se nell'atto introduttivo di una controversia, volta ad ottenere un risarcimento del danno, è inserita la formula “o la somma maggiore o minore ovvero altra somma ritenuta di giustizia", il giudice, che riconosca una somma maggiore di quella richiesta dall'attore, incorre in ultrapetizione?

Sulla questione è intervenuta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22330 del 26/09/2017.

Il caso: In conseguenza di un sinistro stradale nel quale erano state coinvolte diverse autovetture, decedevano i coniugi D.N.Q. e S.C..

In seguito al procedimento penale per omicidio colposo nei confronti di D.F., conducente della vettura investitrice, veniva instaurato da D.N.M.S., figlia unica dei predetti coniugi, giudizio civile per il risarcimento del danno nei confronti dell'autore dell'illecito, nonchè di Do.Fr., proprietaria del veicolo, e della Compagnia di assicurazioni, che assicurava la RCA del veicolo investitore.

Il Tribunale accertava la esclusiva responsabilità del conducente. nella produzione del sinistro, e condannava lo stesso, in solido alla proprietaria ed alla società assicurativa, a risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale chiesto "jure proprio" dall'attrice, riconoscendo anche il danno per la perdita del rapporto parentale, liquidato in Euro 200.000,00 per ciascun genitore, mentre rigettava la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale richiesto "jure herditatis".

In parziale accoglimento dell'appello principale proposto dalla Assicurazione e dell'appello incidentale proposto dai D., la Corte d'appello riteneva che il primo giudice fosse incorso nel vizio di ultrapetizione, avendo liquidato a titolo di danno per la "perdita del rapporto parentale" una somma maggiore di quella richiesta dalla D.N. (quantificata nell'atto di citazione in Lire 150.000.000 per la morte di ciascun genitore), e riduceva l'importo risarcitorio in complessivi Euro 154.937,04.

D.N. impugnava la sentenza di appello avanti alla Corte di Cassazione, che, nell'accogliere il ricorso, osserva che la Corte d'appello non aveva considerato:

- che nell'atto di citazione la danneggiata aveva rilevato la insufficiente valutazione tabellare (Lire 90.000.000 nel massimo, secondo le Tabelle in uso presso il Tribunale di Milano ed applicate nel giudizio di merito) del "danno morale comprensivo della perdita del rapporto familiare", richiedendo un diverso e maggiore ammontare che, indicativamente, aveva ritenuto equo determinare in Lire 150.000.00;

  • che, peraltro, nel medesimo atto di citazione, l'attrice aveva rassegnato le conclusioni chiedendo la condanna al risarcimento del danno con riferimento a "quella somma che verrà determinata e quantificata nel corso del giudizio, o ritenuta di giustizia, oltre agli interessi legali ed al danno da svalutazione monetaria";

  • che in materia di interpretazione della domanda e delle clausole comunemente utilizzate negli atti processuali, dirette a non precludere pronunce attributive di un "quantum" maggiore di quello indicato in domanda, la giurisprudenza di legittimità ha individuato un preciso "discrimen" tra quelle clausole cui deve riconoscersi un significato giuridicamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto della lite e quelle clausole inidonee a definire l'oggetto della pretesa, in quanto espressione di una mera formula stilistica, e non incidenti sui limiti quantitativi del "petitum";

  • nella originaria incertezza sulla esatta determinabilità del "quantum", l'indicazione di un importo chiesto a titolo risarcitorio, se accompagnata dalla formula "o la somma maggiore o minore ovvero altra somma ritenuta di giustizia", di regola a manifesta la volontà della parte di ottenere quella somma che risulterà spettante all'esito del giudizio, senza porre limitazioni al potere liquidatorio del Giudice;

  • al contrario, la stessa clausola deve ritenersi priva di qualsiasi rilevanza, ed integra clausola di mero stile, qualora la originaria incertezza sul "quantum" sia venuta meno, nel corso della fase istruttoria, ad esempio essendo stata quantificata la pretesa in esito all'espletamento di prove o di CTU;

  • nel caso di specie, l'incertezza originaria non è venuta meno a seguito della istruttoria che, quanto al danno non patrimoniale da perdita della relazione parentale, consente di individuare ed accertare i fatti rilevanti ai fini della applicazione dei criteri di "aestimatio" del danno, ma non fornisce anche specifiche indicazioni sulla quantificazione dello stesso;

  • di conseguenza il richiamo della clausola di salvaguardia di cui all'atto di citazione, effettuato in sede di precisazioni delle conclusioni in primo grado, ha mantenuto la sua originaria giustificazione volta a consentire al Giudice di procedere alla valutazione estimatoria senza apposizione di vincoli limitativi.

Allegato:

Cass. civile Sez. III, Sentenza del 26/09/2017 n.22330

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