Quando il ritardo al lavoro del dipendente legittima il licenziamento

Con l’ordinanza n. 26770 del 15 ottobre 2024, la Corte di Cassazione ha stabilito che un dipendente può essere legittimamente licenziato per essersi presentato al lavoro con un ritardo di 40 minuti, qualora tale comportamento esponga l'azienda a rischi rilevanti, anche se solo potenziali.

Sabato 2 Novembre 2024

Il fatto affrontato

Il caso in questione riguarda un vigilante impiegato presso una banca, che ha contestato in sede giudiziaria il licenziamento ricevuto a causa di un ritardo di circa 40 minuti nell'inizio del proprio turno di lavoro. La condotta contestata è stata ritenuta di particolare gravità dalla Corte d’Appello, che ha respinto la domanda del lavoratore. Secondo i giudici di secondo grado, tale ritardo rappresentava un'inadempienza significativa, poiché durante l’assenza del dipendente la banca è rimasta sprovvista del servizio di vigilanza fissa per un tempo rilevante, compromettendo potenzialmente la sicurezza dell’istituto.

L’ordinanza della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel confermare la sentenza della Corte d’Appello, ha ribadito che, nel caso in esame, la legittimità del licenziamento si fonda, in primo luogo, sulla gravità dell’inadempimento. I giudici di legittimità hanno sottolineato che il ritardo di 40 minuti è da considerarsi un mancato adempimento rilevante, in quanto ha lasciato l’istituto di credito privo di sorveglianza in una fascia temporale significativa, esponendo l'azienda a un rischio potenziale in termini di sicurezza.

Sul piano soggettivo, la Cassazione ha evidenziato che il comportamento del dipendente è caratterizzato da un elevato grado di negligenza. La negligenza, in questo contesto, si traduce non solo in un mancato rispetto dell'orario di lavoro, ma anche in una mancata considerazione del ruolo cruciale del lavoratore all'interno dell'organizzazione aziendale. In altre parole, il vigilante aveva precise responsabilità legate alla sicurezza del luogo di lavoro, e il suo ritardo ha rappresentato una mancanza rispetto alle aspettative di diligenza che la banca legittimamente riponeva in lui.

Infine, la Corte ha ritenuto determinante il concetto di "danno potenziale", ossia il rischio che la banca ha corso restando priva del servizio di vigilanza per un periodo prolungato. Pur non essendosi verificato un danno concreto, il solo fatto di aver lasciato l’azienda esposta a possibili eventi critici, quali furti o altre violazioni della sicurezza, è stato considerato un elemento sufficiente per giustificare il licenziamento. In questo senso, la Cassazione ha adottato un approccio prudenziale, valorizzando il principio secondo cui l’assenza di vigilanza fissa può comportare rischi rilevanti per l'integrità del patrimonio aziendale e per la sicurezza generale dell’istituto di credito.

Conclusione

In base a tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dal lavoratore, confermando la legittimità del licenziamento disciplinare inflitto dal datore di lavoro. La pronuncia ribadisce l’importanza della tempestività e della diligenza in ruoli ad elevato contenuto di responsabilità, come quelli legati alla sicurezza, e pone in evidenza come l’assenza ingiustificata di un lavoratore in tali contesti possa giustificare il licenziamento anche in presenza di un danno solo potenziale.

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