In relazione alla vicenda in commento, è utile ricordare, innanzitutto, che la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) è un organo giurisdizionale istituito nel lontano 1959 dalla Convenzione Europea per la tutela e rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo, specificando che non è un organo dell’Unione Europea.
Mercoledi 5 Marzo 2025 |
La CEDU emette sentenze che sono impugnabili davanti alla Grande Camera ma solo in casi eccezionali e, purtroppo, non godono di efficacia esecutiva diretta all’interno dello Stato membro a cui è rivolta, il quale tuttavia ha l’obbligo di conformarsi adottando misure idonee a superare la violazione accertata (Regolamento CEDU, art. 46, par.1).
E’ il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che, a norma dello stesso articolo al par. 2, prevede la supervision of execution delle sentenze emesse affinché vengano rimossi gli effetti della violazione persistenti sulla persona offesa e ad eliminare il pericolo futuro di una loro duplicazione.
Lo stesso Consiglio inoltre può verificare l’avvenuto pagamento da parte dello Stato condannato della somma riconosciuta quale “equa soddisfazione” per il danno arrecato.
Qualora lo Stato risulti gravemente inadempiente, il Comitato potrà decidere, quale extrema ratio, la sua sospensione dal Consiglio d’Europa finanche l’invito a ritirarsi.
La questione ha riguardato un clochard italiano, condannato in primo grado il 5 febbraio 2003 dal Tribunale di Firenze per detenzione illegale di armi e ricetta- zione ma assolto il 20 ottobre 2004 dalla Corte di Appello, in base dell’accertata incapacità di intendere e di volere al momento della commissione dell’ illecito,
Tuttavia, a causa della sua pericolosità sociale che ha comportato l’applicazione della misura di sicurezza (il 28.2.2007) lo stesso venne ricoverato nell’Ospedale psichiatrico giudiziario (OPG) di Reggio Emilia (il 21.3.2007) a causa della condanna ad una pena applicabile di 8 anni.
Successivamente, ed in periodi diversi, la misura di sicurezza veniva prorogata con ricovero nell’OPG di Montelupo Fiorentino, che storicamente nacque come Ospedale psichiatrico giudiziario nel 1886 ed è rimasto in funzione fino al 7.2.2017,data in cui venne definitivamente chiuso con il trasferimento in REMS dell’ultimo internato.
Invero, con la legge 81/2014 (entrata in vigore il 1° giugno 2014), riguardante la Riforma epocale che ha innovato la dis coiplina del trattamento dei malati mentali, venne disposta la chiusura definitiva degli OPG (entro il 31.3.2015 fiat lux) e la loro sostituzione con le Residenze Esterne per le Misure di Sicurezza (REMS).
La normativa introdotta non ha eliminato il c.d. doppio binario ma ha attivato delle strutture che, essendo a carattere terapeutico- riabilitativo di tipo comunitario e a gestione sanitaria, avrebbero dovuto assicurare cure adeguate agli ospiti senza ricorrere a mezzi cruenti di costrizione e, al tempo stesso, far fronte alla pericolosità sociale dei detenuti, ossia agli infermi ex art. 88 c.p., seminfermi di mente ex art. 89 cp, restando inalterati i criteri delineati dall’art. 133 c.p. di valutazione del reato.
La legge innanzi citata ha apportato, inoltre, un’importante modifica alla durata dei termini di detenzione relativi a questa tipologia di condannati poiché non si parla più di “ergastolo bianco” atteso cche la restrizione alla libertà è stretta mente legata alla pericolosità sociale e non può, in nessun caso, essere superiore al tempo stabilito per la pena detentiva inflitta al ristretto, tenuto conto della previsione edittale massima per il reato ascritto.
Nel caso in esame, il 10 dicembre 2014 il Magistrato di sorveglianza di Firenze, su indicazione della Procura, prorogò la misura di sicurezza nei confronti del Crame steter fino al 25 maggio 2015 ed, ai seguito di ulteriori proroghe, fino all’ultima scadente del 21 novembre 2016,data in cui era già entrata in vigore la Legge 81/2014 che poteva incidere sulla liberazione anticipata per il ristretto.
Infatti, l’8 luglio 2016 i suoi legali presentavano ricorso alla Procura a seguito dell’avvenuto superamento dei termini di detenzione, ricorso che la Procura accettava richiedendo al Magistrato di sorveglianza la liberazione del ricorrente.
Basandosi sulla sentenza della Suprema Corte (sez.I penale n.23392 del 1.6.2015), il Tribunale di sorveglianza di Pisa dichiarava inammissibile la domanda di scarcerazione in quanto la legge citata non poteva essere applicata retroatti- vamente.
Analogamente, la Cassazione, nella sentenza citata, aveva chiarito che la nuova disciplina introdotta nel giugno 2014 ed i cambiamenti epocali apportati, concepi va le misure di sicurezza in maniera radicalmente diversa così come diversa doveva essere la loro organizzazione, motivo per cui non poteva applicarsi in situazioni antecedenti sia perché rette da presupposti differenti, sia perché non era stata prevista una disciplina transitoria.
Tutto ciò avrebbe messo a rischio l’accoglienza nelle REMS, già strutturalmente carenti.
Per contro, la stessa Costituzione all’art. 25 prevede che in materia penale non è ammessa l’irretroattività di una norma solo se in malam partem e, pertanto, essendo la L. 81/2014 più favorevole andava applicata al caso in esame.
Inoltre la nostra Carta fondamentale, agli artt. 13 e 27 c.3, punisce “ogni violenza fisica e morale sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà”, come anche l’art.4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (Raccomandazione 11.1.2006, parte I).
A nulla valeva l’appello proposto dal Cramesteter al Tribunale di sorveglianza, ai sensi dell’art. 680 cpp, che lo riteneva inammissibile per difetto di competenza.
Alla luce dell’evidente palleggiamento della decisione tra i diversi Tribunali, il ricorrente si rivolgeva al Tribunale di Firenze, in qualità di Giudice dell’esecuzione, che riconosceva la retroattività della norma in questione, rilevando che la misura restrittiva per il Cramesteter scadeva il 28 febbraio 2015 ed, in conseguenza, prolungare oltre tale termine la misura di sicurezza era da considerarsi illegitti- mo e, pertanto, ne ordinava la immediata liberazione.
In base all’accaduto ed in forza dell’art.314 cpp, nel gennaio 2017,il ricorrente procedeva per l’ottenimento della riparazione per ingiusta detenzione che, pur non essendo esplicitamente prevista per le misure di sicurezza, è comunque ad essa equiparabile.
Si tratta pur sempre di una sanzione restrittiva della libertà e, forse, più afflittiva della pena detentiva, tanto da essere sottoposte al principio di legalità ex art. 199 cp e art. 25 Costituzione.
Dopo sei mesi di discussione, la Corte di Appello di Firenze respingeva la richiesta di risarcimento poiché la restrizione era divenuta ingiusta a causa di una Legge entrata in vigore dopo l’imposizione della misura anche perché risultava evidente che tale decisione comportava una vera e propria disparità di trattamento in senso peggiorativo per il Cramesteter, vittima di una pronuncia emessa in tempi diversi.
In conseguenza il ristretto nel 2018 si rivolgeva alla Cassazione che, con sentenza del 20.3.2018,considerava inapplicabile l’art.314 cp alle misure di sicurezza definitive.
Si trattava, ancora una volta di una decisione negativa confortata dall’afferma- zione del Governo che riteneva che il Cramesteter aveva perso la qualità di vittima con l’Ordinanza del 26.10.2016 con la quale il Tribunale di Firenze ne aveva disposto la sua liberazione.
Dopo aver esperito tutti i gradi di giudizio interni al nostro Ordinamento, i legali del Cramesteter si rivolgevano in ultima istanza alla CEDU che condannava l’Italia per violazione dell’art. 5, par. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo (v sentenza in calce).
La CEDU, nella sentenza emessa il 6 giugno 2024, si è espressa in maniera inequi- vocabile nel sostenere la piena applicabilità della L.81/2014 anche retroattiva- mente, proprio al fine di evitare una disparità di trattamento tra le persone sottoposte a misure di sicurezza in forza di pronunce emesse in tempi diversi. posto che per il Cramesteter il termine scadeva il 28.2.2015 ed ha riconosciuto al ricorrente l’importo di € 8.000,- a titolo risarcitorio dei danni morali, da erogarsi entro 3 mesi dalla sentenza in base all‘art. 44, p.2 CEDU,