Mutuo fondiario concesso per un importo eccedente il limite di finanziabilità: conseguenze

Commento a Cass. Civ., SS.UU., sent. n. 33719/2022 del 16/11/2022.
Avv. Massimiliano Allegretti.

Con la sentenza n. 33719 pubblicata in data 16/11/2022 le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi sulla sorte del mutuo fondiario concesso per un importo eccedente il limite di finanziabilità previsto dall’art. 38, comma 2, T.U.B.

Lunedi 21 Novembre 2022

Trattasi di argomento di straordinaria importanza alla luce dell’occhio di riguardo riservato dal nostro Ordinamento al credito fondiario e giustificato con l’esigenza di promuovere determinate operazioni immobiliari ritenute di primaria importanza per l’economia nazionale.

Trattamento che, come noto, si traduce nella previsione non solo di strumenti volti ad agevolare l’accesso al credito, ma anche di privilegi non indifferenti per gli Istituti di Credito, quali, per mero esempio, le deroghe processuali previste dall’art. 41 T.U.B., ossia la possibilità di notificare l’atto di precetto omettendo la notifica del titolo esecutivo e, in ambito esecutivo immobiliare, la possibilità per le banche di incassare anticipatamente l’importo ricavato dall’aggiudicazione dell’immobile, senza necessità di dover attendere l’approvazione del progetto di distribuzione.

Detti privilegi, come noto, sono subordinati alla possibilità di qualificare il credito come “fondiario” alla stregua dell’art. 38 T.U.B., il quale prevede che “il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili” e, al secondo comma, che “la Banca d'Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, determina l'ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti”.

Detto rapporto è stato stabilito dalla delibera CICR del 22/04/1995 (recepita dalla Banca d’Italia con aggiornamento del 26/06/1995 alla circolare n. 4 del 29/03/1988, recante «Istruzioni in materia di particolari operazioni di credito») nella misura dell’80% del valore dell’immobile cauzionale o del costo delle opere da eseguire sullo stesso.

In altre parole: l’ordinamento vieta l’erogazione di mutui fondiari per importi superiori a detta soglia (ferma restando la possibilità di concedere oltre tale soglia degli ordinari mutui ipotecari, ma senza potersi giovare, ovviamente, dei privilegi anzidetti).

Nelle intenzioni del Legislatore vi era l’evidente intento di contrastare la nascita di crediti che, in caso di sofferenza, non potrebbero essere prontamente soddisfatti attraverso la vendita, in sede esecutiva, dell’immobile ipotecato.

Sotto questa luce non v’è chi non veda come l’art. 38, comma 2, T.U.B. rappresenti uno strumento di tutela di un interesse collettivo, mirando a garantire una maggiore stabilità al sistema bancario.

Nella prassi, tuttavia, si è sovente assistito ad un abuso del credito fondiario, mediante erogazione di importi notevolmente maggiori rispetto alla soglia di finanziabilità consentita attraverso, il più delle volte, il riconoscimento di valori ampiamente sovrastimati alle proprietà immobiliari.

Il Legislatore, tuttavia, non ha previsto alcuna sanzione per il superamento del limite prudenziale sancito dal T.U.B., lasciando alla Giurisprudenza il compito, quando ciò accada, di stabilirne le conseguenze.

In tale contesto si sono sviluppati i contrasti giurisprudenziali cui la sentenza in commento ha tentato di porre rimedio.

Secondo un primo orientamento, proprio in considerazione del silenzio del Legislatore, la violazione del limite di finanziabilità non influirebbe in alcun modo sulla validità ed efficacia del mutuo, il quale resterebbe pienamente valido ed efficace e totalmente fondiario (Cass., 28 novembre 2013, n. 26672; in senso conforme: Cass., 6 dicembre 2013, n. 27380; Cass. civ., 6 maggio 2016, n. 9132; Trib. Cagliari, 29 marzo 2016; Trib. Nuoro, 17 maggio 2016).

I sostenitori di tale interpretazione, riconoscendo nell’art. 38 T.U.B. una norma imperativa di comportamento (secondo la distinzione tra “norme imperative di comportamento” e “norme di validità del contratto” elaborata dalle stesse SS.UU. con sentenza n., 19 dicembre 2007, n. 26724 in materia di servizi di intermediazione finanziaria), riconducono alla sua violazione unicamente la possibilità di applicare sanzioni amministrative a carico della banca mutuante.

A supporto di tale interpretazione, viene altresì evidenziato come, in mancanza di un’espressa previsione in tal senso, la violazione di una norma di comportamento non potrebbe in alcun modo determinare la nullità del contratto a norma dell’art. 1418 comma 1 c.c.

Secondo l’orientamento opposto, invece, il limite di finanziabilità rappresenterebbe un elemento essenziale del negozio e un limite inderogabile all’autonomia privata in ragione della natura pubblica dell’interesse tutelato (cfr. Cass. 9/05/2018 n. 11201; Cass. 16/3/2018 n. 6586; Cass. 13/7/2017 n. 17352).

Originariamente, a detta conclusione si soleva giungere muovendo dall’ottavo comma dell’art. 117 T.U.B. (“la Banca d’Italia può prescrivere che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato. I contratti difformi sono nulli”).

Nel corso degli anni, tuttavia, la Cassazione aveva avuto modo di evidenziare l’impossibilità di ricondurre l’art. 38 T.U.B. alla disciplina dell’art. 117, VIII comma, del medesimo testo (e detta impossibilità è stata ora confermata dalle SS.UU. con la sentenza in commento).

Ciò nonostante, nel 2017 la “teoria della nullità” ha trovato un nuovo impulso con la sentenza n. 17352 del 2017 (seguita da svariate sentenze successive conformi: cfr. sez. I, n. 19016 del 2017, n. 6586, 11201, 13286 e 29745 del 2018, n. 10788 del 2022) che, pur condividendo l’affermazione circa la non riconducibilità della fattispecie in esame alla nullità di cui all’articolo 117, VIII comma, T.U.B. ed escludendo la ricorrenza di una nullità testuale, ha tuttavia riconosciuto nel limite di finanziabilità previsto dall’art. 38, secondo comma, T.U.B. un “elemento essenziale” del contratto fondiario, la cui violazione, pertanto, ne comporterebbe la nullità (ferma la possibilità, tuttavia, di richiederne la conversione in ordinario finanziamento ipotecario ex art. 1424 c.c.).

A detta pronuncia hanno fatto seguito altre decisioni, le quali hanno contribuito all’elaborazione di un terzo orientamento, a mente del quale il contratto di mutuo che superi il limite di finanziabilità altro non sarebbe che un ordinario mutuo ipotecario (con conseguente impossibilità di applicarvi i privilegi più sopra ricordati).

Tale orientamento è stato riconosciuto dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 17439 del 28 giugno 2019, ove, pur escludendo che “la norma del secondo capoverso dell’art. 38 TUB. sia confinata ad una rilevanza limitata al profilo delle condotte dei contraenti”, viene chiarito che ciò “non necessariamente deve condurre alla drastica conclusione della nullità del contratto di mutuo”.

Le SS.UU., con la pronuncia in commento, offrono un’approfondita analisi di tale ultimo orientamento e, richiamati numerosi altri provvedimenti conformi alla sentenza n. 17439, concludono facendo propri parte dei principi ad essi sottesi, enunciando il seguente primo principio di diritto:

In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità di cui all’articolo 38, secondo comma, del d.lgs. n. 385 del 1993, non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma determinativa del contenuto del contratto o posta a presidio della validità dello stesso, ma di un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto del contratto; non integra norma imperativa la disposizione – qual è quella con la quale il legislatore ha demandato all’Autorità di vigilanza sul sistema bancario di fissare il limite di finanziabilità nell’ambito della «vigilanza prudenziale» (cfr. articoli 51 ss. e 53 t.u.b.) – la cui violazione, se posta a fondamento della nullità (e del travolgimento) del contratto (nella specie, del mutuo ormai erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa garanzia ipotecaria), condurrebbe al risultato di pregiudicare proprio l’interesse che la norma intendeva proteggere, che è quello alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito”.

In altre parole, il mutuo concesso in violazione della soglia di finanziabilità fondiaria non è nullo, non potendosi riconoscere nella norma né l’indicazione di un elemento essenziale né la previsione di una norma imperativa.

Enunciato detto principio, le SS.UU. si sono spinte oltre, andando a chiarire un altro aspetto fondamentale.

Come detto, anche l’orientamento più restrittivo tra quelli sopra richiamati ha sempre fatto salva la possibilità per il Giudice, d’ufficio, di riqualificare il mutuo fondiario viziato in un ordinario mutuo ipotecario, prescindendo dal nomen iuris adoperato dalle parti.

La sentenza in esame, al contrario, conclude escludendo tale possibilità, ritenendola possibile unicamente a fronte di una specifica domanda in tal senso o in presenza dei presupposti di cui all’art. 1424 c.c. (tra i quali, appunto, la nullità del contratto).

Da tale esclusione, tuttavia, diversamente da quanto si potrebbe essere portati a credere, non viene fatto discendere alcun pregiudizio per il creditore.

Difatti, secondo l’iter logico seguito, il mutuo, anche qualora dovesse essere accertata l’erogazione di un importo oltre soglia, rimarrebbe in ogni caso fondiario, con conseguente sopravvivenza dei privilegi riconducibili a tale qualificazione.

Le Sezioni Unite, pertanto, sembrerebbero suggerire che la caducazione di detti privilegi potrebbe seguire unicamente alla conversione del mutuo da fondiario a ordinario ipotecario.

Detta conversione, tuttavia, non potrebbe fondarsi sul mero superamento della soglia di finanziabilità fondiaria, essendo necessaria la prova (ben più gravosa) che le Parti non avessero l’intenzione di stipulare un mutuo fondiario.

Invero, a parer di chi scrive, detta prova, oltre che diabolica, sarebbe altresì inverosimile.

Sono noti, infatti, i notevoli benefici e le agevolazioni offerte al mutuatario dal mutuo fondiario.

Inoltre, non si dimentichi che il superamento della soglia di finanziabilità fondiaria, in concreto, si risolve nell’erogazione di un importo maggiore.

Si fatica pertanto ad ipotizzare una situazione in cui il mutuatario potrebbe aver preferito (e quindi voluto) un mutuo ipotecario ordinario.

Concludendo, alla sentenza in esame non può non riconoscersi il merito di aver tentato di porre fine ad un’annosa questione, sposando una soluzione tranchant raggiunta all’esito di un’esposizione approfondita ed esaustiva dell’iter logico giuridico seguito.

Resta tuttavia il dubbio su quali siano, quindi, le conseguenze concrete del superamento della soglia di finanziabilità.

Se da un lato, infatti, la pronuncia potrebbe contribuire ad una riduzione dei contenziosi in materia, avendo lasciato poco spazio alle eccezioni di superamento del limite ed avendo apparentemente privato i mutuatari di un concreto interesse ad agire, dall’altro essa potrebbe aver definitivamente eliminato lo spettro della nullità del mutuo oltre soglia, facendo venir meno un fondamentale deterrente.

Non deve però dimenticarsi che la ratio dell’art. 38, comma 2, T.U.B. è sempre stata quella di tutelare un interesse pubblico, ora messo evidentemente più a rischio.

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