Premetto subito che la vicenda che ha originato la sentenza in commento è drammatica. Un cane decede mentre si trova ospite di una pensione per cani nel periodo estivo. Viene dimostrato che nel momento in cui il cane viene affidato alla pensione gode di buona salute come comprovato da un certificato rilasciato dal veterinario curante. Il decesso avviene per un colpo di calore.
Mi soffermo brevemente sugli aspetti giuridici della vicenda evidenziando come il proprietario del cane deceduto abbia dedotto la responsabilità della titolare della pensione a titolo di responsabilità contrattuale ex art. 1768 c.c. (per il rapporto di custodia in pensione dell’animale insorto), a titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 2051 c.c (per i danni cagionati) nonché a titolo di danno morale ex art. 2059 c.c. per il danno esistenziale procurato dalla perdita del cane.
Al solo proprietario del cane compete il risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla perdita dell’animale, concorrendo con gli altri familiari (parti attrici del giudizio) nel risarcimento del danno morale sofferto per la perdita del “familiare a quattro zampe” (cito testualmente la sentenza).
Prescindendo dalla terminologia (danno morale), il danno non patrimoniale per la morte del cane viene quantificato da chi agisce nella misura di € 15.00,00 in via alternativa ad una eventuale liquidazione equitativa. E sarà proprio la valutazione in via equitativa il criterio di ristoro del danno per la perdita del cane, non avendo provato il danneggiato il fondamento dell’entità della somma richiesta.
Per la valutazione equitativa del danno non patrimoniale, effettivamente provato sono astrattamente ipotizzabili, e concretamente seguiti nella giurisprudenza di merito una serie di criteri. Quello applicato nel caso in esame ha fatto riferimento alla età dell’animale e della conseguente profonda intensità conducendo a ritenere equo un risarcimento a ciascuno una somma non inferiore alla somma di euro 1.500,00.
Ma come detto in precedenza mi piace riportare alcuni passaggi della sentenza riferiti al rapporto umano e non umano sottolineandone la “modernità”.
Viene riconosciuto un significativo cambio di rotta della giurisprudenza e del nostro legislatore forse delusi dal riconoscere anacronisticamente ancora gli esseri animali come res. Gli animali, si legge in sentenza, sono scelti dalle persone come loro “compagni di vita” e il danno d’affezione o danno esistenziale da perdita dell’animale di casa è quindi assolutamente coerente con i principi di diritto affermati nella nota pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte (SS.UU. n. 26972/2008), secondo cui “il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate”.
Forse l’interpretazione più corretta delle sentenze di S. Martino.
Il valore del rapporto tra l’uomo e l’animale domestico (di cui il cane è l’immagine più emblematica) è ben superiore al valore del rapporto tra l’uomo e i singoli beni mobili e la perdita dell’animale da compagnia integra la lesione di un interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazione-affettiva. Espressione quest’ultima di una relazione che costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale e, quindi, come e vero e proprio bene della persona, tutelato dall’art. 2 della Costituzione.
Dimenticavo, la sentenza è la n. 343/2024 del Tribunale di Firenze.