Con l’Ordinanza n. 26609/2025 che si commenta, la Suprema Corte torna ad occuparsi del delicato confine tra giusta causa e giustificatezza del licenziamento del dirigente, riaffermando i principi di diritto che regolano la particolare posizione di responsabilità fiduciaria che connota tale categoria.
Mercoledi 15 Ottobre 2025 |
La vicenda trae origine dal recesso disciplinare intimato ad un direttore generale di società, cui erano stati contestati inadempimenti gestionali relativi ad una commessa all’estero, consistenti – tra l’altro – nella mancata traduzione di documenti e nella sottostima dei costi di cantiere.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Roma avevano escluso la giusta causa di recesso, riconoscendo tuttavia la giustificatezza del licenziamento per il venir meno del rapporto fiduciario con l’impresa.
La Cassazione, confermando la doppia conforme di merito, ha ribadito che, ai sensi dell’art. 10 L. 604/1966, la disciplina limitativa dei licenziamenti non si applica ai dirigenti, e che la nozione contrattuale di “giustificatezza” non coincide con quella di giusta causa o giustificato motivo, ma trova fondamento nella fiducia che deve intercorrere tra datore e dirigente (Cass. n. 27199/2018; n. 25145/2010).
Il Collegio ha inoltre riaffermato che l’esercizio del potere disciplinare deve conformarsi ai canoni di correttezza e buona fede, e che la tempestività della contestazione va valutata secondo criteri di relatività, in relazione alla complessità dell’organizzazione e al tempo necessario per l’accertamento dei fatti (Cass. n. 16841/2018; n. 29332/2022), conformemente alla granitica giurisprudenza relativa al lavoro subordinato.
La Suprema Corte ha escluso la ricorrenza di una giusta causa, ma ha ritenuto corretta la valutazione di “giustificatezza” del recesso datoriale, in quanto basato su condotte che avevano incrinato la fiducia nel corretto adempimento del ruolo dirigenziale e compromesso l’affidabilità del lavoratore.
La Corte chiarisce che la responsabilità del dirigente non è oggettiva per fatto altrui, ma consegue al mancato esercizio dei poteri di coordinamento, vigilanza e indirizzo. Nel caso concreto, la Corte ha individuato l’inadempimento nel difetto di monitoraggio e di direzione della struttura preposta alla gara, riconducendo l’addebito all’area delle imperizie gestionali.
Confermando la linea interpretativa (Cass. n. 34736/2019; n. 6110/2014; n. 22318/2023), gli Ermellini precisano che, ai fini della giustificatezza, non è richiesta un’analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione complessiva che escluda l’arbitrarietà del recesso e accerti che le circostanze siano idonee a turbare il vincolo fiduciario.
La decisione appare pienamente condivisibile: essa valorizza la natura elastica e fiduciaria del rapporto dirigenziale, riaffermando la centralità dei canoni di correttezza e buona fede nell’esercizio del potere disciplinare e ribadendo che la “giustificatezza” costituisce parametro autonomo di legittimità del recesso.