Illegittimità dell’equiparazione della Tari per i villeggianti stagionali a quella dei residenti stabili nel Comune

Martedi 18 Ottobre 2022

Premessa

L’avvenuta conoscenza (quantunque tardiva) della motivazione della sentenza n. 26 dell’11 gennaio 2022- resa dalla Commissione tributaria regionale della Toscana – in tema di applicazione dei criteri di riscossione della Tari dai possessori di immobili – oltre a confermare la tendenza di molti Comuni a gravare irragionevolmente i cd. frequentatori saltuari delle seconde case acquistate in località turistiche, ci convince, altresì, dell’opportunità/necessità di una disamina approfondita del tributo e dei principi giuridici che ne stanno a fondamento.

Nel rinviare il lettore al paragrafo 5del presente articolo, per un’analisi più dettagliata del contenuto della precitata sentenza, se ne anticipa una breve sintesi.

La precitata sentenza di 2° grado della CTR della Toscana ha respinto il ricorso del Comune di Massa Carrara, avverso la decisione della CTP della stessa città che lo aveva già visto soccombente nel 2017. Nel merito ha, pertanto, dichiarato l’illegittimità del Regolamento comunale – in accoglimento delle istanze del cittadino non residente, utilizzatore nei soli mesi estivi della cd. seconda casa, gravato della pretesa comunale del pagamento di un importo della Tari identico a quello dei residenti stabili per l’intero anno – ed ha altresì confermato, per la fattispecie, la riduzione (già effettuata dalla CTP di Massa in via equitativa), del 30% della tassa legittimamente pretendibile dal Comune nei confronti del cittadino non residente, fruitore solo stagionalmente della 2° casa.

Asserendo il seguente principio: «il criterio formale della residenza scelto dal Comune per diversificare il carico tributario tra i soggetti passivi d'imposta contraddice i caratteri ed i limiti del prelievo comunale atteso che, da un lato, l'attribuzione della residenza in un determinato Comune ha natura puramente amministrativa e anagrafica, (…), e di per sé nulla implica circa la maggiore o minor produzione di rifiuti solidi urbani e, dall'altro lato, anche a, volere individuare una connessione, in qualche modo presuntiva, tra i soggetti non residenti e la produzione di rifiuti, dovrebbe giungersi ad un risultato che in realtà è opposto a quello perseguito dal Comune poiché, abitando i residenti con continuità nel territorio comunale, la logica vuole che gli stessi vi producano ben più rifiuti di coloro che invece, a parità di condizioni abitative, vi ci soggiornano solo per periodi di tempo limitati o saltuari, generalmente proprio i non residenti. E ciò vale a maggior ragione in una località turistica a vocazione balneare prettamente stagionale, dove è normale immaginare che i non residenti siano mediamente assenti per la maggior parte dell'anno, limitandosi la presenza a parte della stagione estiva, di talché deve essere annullato perché illegittimo il regolamento comunale nella parte in cui determini una ripartizione delle spese distinguendo fra utenze domestiche residenti e non residenti con un aggravio per queste ultime, in violazione del criterio di proporzionalità e della ratio della normativa applicabile».

1.Natura e caratteristiche della tassa

La TARI (tassa rifiuti) – tributo che è una componente dell'imposta unica comunale (IUC) insieme con l'imposta municipale propria (IMU) e il tributo per i servizi indivisibili (TASI), istituita dalla legge di stabilità per l’anno 2014 (art. 1, co. 639 e ss., Legge 27 dicembre 2013, n. 147) - sostituisce, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i preesistenti tributi dovuti al Comune da cittadini, enti ed aziende, quale pagamento corrispettivo del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, noti con l'acronimo di TARSU, e successivamente di TIA e di TARES.

La nuova tassa conserva tuttavia taluni presupposti e modalità di determinazione della tassa soppressa, alla quale la legge rimanda per la determinazione del nuovo tributo.

Il principio fondamentale per l’applicazione della TARI (e delle precedenti TIA,TARSU, TARES) è quello di derivazione comunitaria – sancito nell’art. 191 del Trattato per il Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) - in base al quale “chi inquina paga”, sebbene i Comuni, per mera semplificazione, possano e usino determinare la propria tariffa secondo i criteri già previsti per la TARSU, quindi commisurando la tassa al costo del servizio e alla quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie.

Tale modalità semplificatrice è stata oggetto di contestazioni, anche giudiziarie, per asserito scostamento o inosservanza del già citato principio comunitario in materia ambientale “chi inquina paga” (legittimante il corollario “chi più inquina più paga”), ma il cd. metodo “normalizzato” di calcolo del tributo si è sottratto all’addebito di illegittimità ad opera delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea del 24.6.2008 in causa C-188/07 e del 16.7.2009 in causa C254/08, le quali ebbero a stabilire che: «il metodo di calcolo basato sulla superficie di immobile posseduto non è, di per sé, contrario al principio “chi inquina paga” recepito dall'art. 11 della direttiva 75/442, considerato che la Corte di giustizia ha posto un limite alla discrezionalità delle autorità nazionali, che costituisce attuazione del principio di proporzionalità, largamente applicato dalla giurisprudenza comunitaria in materia fiscale, secondo il quale non sono ammessi regimi d'imposizione i cui fatti costitutivi si fondano su presunzioni legali che non ammettono prova contraria (cfr. a titolo esemplificativo, la sentenza della Corte di Giustizia 17 luglio 1997 in causa C - 28/95, Leur Bloemr punti da 41 a 45)».

Nella valutazione di conformità della disciplina nazionale in materia, rispetto al principio evincibile dall'art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12 (già desumibile dall'art. 11 della direttiva 75/442), la Corte di Giustizia dell’Unione europea ebbe ad affermare (come recepito da Cass. 19469/2014; in termini, Cass. 3772/2013.), che: «è spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore; in tali circostanze, ricorrere a criteri basati sulla capacità produttiva dei detentori, calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano, nonché della loro destinazione e/o sulla natura dei rifiuti prodotti, può consentire di calcolare i costi dello smaltimento e ripartirli tra i vari detentori; sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo effettivamente prodotto non può essere considerata in contrasto con l'art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12; nella materia le autorità nazionali dispongono di un'ampia discrezionalità per quanto riguarda le modalità di calcolo della tassa; per quanto riguarda la differenziazione tra categorie di detentori, la stessa deve ritenersi ammessa, purché non venga fatto carico ad alcuni di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili».

Ne consegue che il cd. “metodo normalizzato”, utilizzato dai Comuni per il calcolo del tributo per la raccolta e smaltimento dei rifiuti, è da considerarsi legittimo qualora rispetti la condizione di non ingenerare, a carico di fasce di contribuenti, trattamenti irragionevolmente gravosi (id est, tali da risultare discriminatori) per inosservanza del principio di proporzionalità del tributo alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti.

Ne consegue, pacificamente, che il suddetto principio non risulta rispettato da quei Comuni il cui Regolamento equalizza - per mancata previsione di una riduzione forfettaria, di norma del 30% - l’importo della Tari dei “non residenti” fruitori stagionali dell’immobile, a quella dovuta dai “residenti” stabili, i quali, per dato di comune esperienza (e quindi per legittima presunzione fondata sulla loro permanenza per l’intero anno nel Comune), producono realisticamente un volume di rifiuti superiore a quello degli utilizzatori saltuari delle cd. seconde case.

2. Esenzioni

La base su cui calcolare la TARI è la superficie calpestabile di unità immobiliari, iscritte o iscrivibili nel catasto urbano, suscettibili di produrre rifiuti.

Si premura di precisare Cass. VI civ. n. 11130 del 28/4/2021 - nella controversia tra il Comune di Ciampino e la Delta uno servizi Spa - che : «la tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l'utente utilizzi il servizio di smaltimento dei rifiuti, in quanto la ragione istitutiva del relativo prelievo sta nel porre le amministrazioni locali nelle condizioni di soddisfare interessi generali della collettività, piuttosto che nel fornire, secondo una logica commutativa, prestazioni riferibili a singoli utenti, e che pertanto l'omesso svolgimento, da parte del Comune, del servizio di raccolta - sebbene istituito ed attivato nella zona ove è ubicato l'immobile a disposizione dell'utente - comporta non già l'esenzione dalla tassa, bensì la conseguenza che il tributo è dovuto ma in misura ridotta.

Va pertanto ribadito che la Tari è un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione all'espletamento da parte dell'ente pubblico di un servizio nei confronti della collettività che da tale servizio riceve un beneficio, e non già in relazione a prestazioni fornite ai singoli utenti, per cui sarebbe (...) contrario al sistema di determinazione del tributo pretendere di condizionare il pagamento al rilievo concreto delle condizioni di fruibilità che del resto, per loro natura, oltre ad essere di difficile identificazione mal si prestano a una valutazione economica idonea a garantire una esatta ripartizione fra gli utenti del costo di gestione (vedi Cass. n. 21508 del 2005). Posto che i criteri di ripartizione del servizio di smaltimento dei rifiuti non sono collegati al concreto utilizzo, bensì ad una fruizione potenziale desunta da indici meramente presuntivi, quali l'occupazione e detenzione di locali ed aree, che tengono conto della quantità e qualità che, ordinariamente, in essi possono essere prodotti, il legislatore ha ritenuto di temperare la rigidità di tale criterio impositivo introducendo ipotesi di esclusione e di riduzione, riduzioni che a loro volta si distinguono in obbligatorie, i cui presupposti sono già fissati dalla legge, e facoltative, spettanti solo se previste dal regolamento comunale e secondo le modalità ivi determinate».

Puntualizzazione che non autorizza, affatto, l’Ente comunale a praticare un trattamento monetariamente discriminatorio tra i soggetti destinatari del tributo, senz’altro disponibili ad assolvere ad un’imposizione monetaria che risulti determinata secondo criteri non irragionevoli, anzi, giustamente pretendendo che gli stessi tengano conto (anche) della quantità e qualità dei rifiuti presuntivamente producibili e della loro capacità inquinante.

ll presupposto della norma, inoltre, è quello per cui non sono tassabili gli spazi improduttivi di rifiuti, in base al criterio della “non utilizzabilità” dei locali e delle aree. Tale indisponibilità deve tuttavia dipendere da condizioni oggettive, cosicché, ad esempio, un’abitazione priva dei requisiti di abitabilità (mancanza di allacciamenti elettrici, idrici e fognari, ecc.) non è soggetta all’imposta, mentre un locale che disponga di tali infrastrutture è comunque tassabile, anche se materialmente inutilizzato.

3. Riduzioni

Il legislatore ha contemplato, altresì, riduzioni del tributo in misura variabile, a seconda delle modalità di erogazione del servizio di raccolta. In particolare, la TARI è ridotta alla misura massima del 20% nei seguenti casi:

- mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti;

- erogazione del servizio in cui si evidenzino gravi violazioni della norma di riferimento;

- interruzioni del servizio che possano arrecare danno o pericolo di danno alle persone o all’ambiente.

La tariffa può, inoltre, essere ridotta dai rispettivi Regolamenti comunali:

- nel caso di uso non continuativo dell'immobile (ad esempio, per abitazioni tenute per uso stagionale), talché nel caso di occupazione temporanea di durata inferiore a 183 giorni, in diversi Comuni i Regolamenti prevedono l’applicazione di una tariffa giornaliera, con una sua modesta maggiorazione, comunque determinata in base alla tariffa annuale e rapportata ai giorni di occupazione, (addivenendo, di norma, ad una riduzione forfettaria del 30%rispetto all’importo integrale della tassa per i residenti stabili nel Comune(1).

Ai fini dell’individuazione del requisito di “occupazione temporanea” si deve far riferimento all’effettiva durata dell’occupazione nel corso dell’anno: pertanto è comunque soggetta al tributo in misura integrale anche l’occupazione periodica o ricorrente (es. per il caso delle vacanze estive, esclusive o cumulate con quelle natalizie o pasquali o per fine settimana), qualora la loro sommatoria risulti complessivamente superiore a 183 giorni (id est, 6 mesi).

Tale riduzione - sebbene taluni Comuni giuridicamente disinformati preferiscano ritenerla facoltativa o discrezionale – possiede, invece, i caratteri dell’obbligatorietà, giacché dovuta in applicazione del principio di “proporzionalità” del tributo (anche) alla quantità e qualità dei rifiuti raccolti, immanente al criterio di fonte sovranazionale “chi (più) inquina (più) paga”. A tal punto che il legislatore l’ha imposta:

- nel caso di unico occupante dell'immobile (persona che viva da sola);

- per la parte abitativa di case coloniche, occupate da agricoltori;

- se l'occupante è residente all'estero per un periodo non inferiore a sei mesi (183 gg.).

Previsione che non autorizza a ritenere che risulti inoperante, in ipotesi non contemplate, l’immanente principio di “proporzionalità” del tributo alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti, ovvero chele sopra riferite fattispecie esauriscano la casistica delle cd. riduzioni del tributo, stante l’espresso conferimento legislativo ai Comuni della facoltà di deliberare addizionali riduzioni ed esenzioni, entro il 7% dell’intero introito, in base a specifiche condizioni dell’occupante oppure tenendo conto della capacità contributiva della famiglia.

4. L’equalizzazione del tributo – per gli utilizzatori stagionali di seconde case, non residenti – alla misura dovuta dai residenti stabili nel Comune non si sottrae ad una valutazione di illegittimità

Preliminare alla disamina sopraindicata si rivela la ricognizione della natura del tributo, ovverosia se sia riconducibile alla natura di tassa ovvero di imposta.

La risposta al quesito discende dalla ricostruzione della nascita ed evoluzione del tributo, quale autorevolmente delineata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4223 del 6 settembre 2017(2).

Trascurando da parte nostra, per brevità, la riproduzione dell’excursus formativo del tributo in questione, merita, invece, far presente che la sopracitata decisione del massimo organo di giustizia amministrativa ebbe ad occuparsi della irragionevole determinazione del Comune di Jesolo che - appellandosi alla supposta discrezionalità ad esso conferita dalla legge ordinaria nella determinazione delle tariffe del tributo- aveva deciso che al gettito dovessero concorrere le utenze domestiche dei non residenti, fruitori di esse solo stagionalmente, per il 66,80% e per il 33,20% le utenze domestiche dei residenti. Il Consiglio di Stato, riferendosi ad una precedente propria pronuncia (Cons. Stato, V, n. 3108 del 2017) - cui aderisce pienamente - si premurò di ribadire (ai Comuni refrattari a recepire il concetto) che la discrezionalità del Comune – in quanto “tecnica” incontra comunque e sempre il limite intrinseco della proporzionalità del tributo alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti e che l’usuale determinazione (fondata sulla qualifica anagrafica della “residenza o meno”) è contraria a tale limite, giustappunto perché scollegata dalla - e non conferente al requisito della - capacità di produzione dei rifiuti.

A quanto sopra il Consiglio di stato aggiunge che, stando al parametro residenziale, appare evidente e ragionevole supporre che colui che abita con continuità nel territorio comunale abbia una capacità produttiva di rifiuti maggiore di colui che, a parità di bene immobile, vi risiede solo saltuariamente.

Nella sua motivazione afferente al tributo TIA – i cui principi di diritto sono, come già detto, pacificamente estensibili alla TARI - il Consiglio di stato afferma che: «Si tratta, invero, di una tassa finalizzata, in ragione di una stima tipologica media, a consentire la copertura dei costi dei servizi, non anche di un’atipica forma di prelievo (come è per un’imposta) sul reddito o sul patrimonio. La necessità di tale parametrazione e il rigoroso vincolo funzionale, così previsti, escludono che un Comune possa determinare le aliquote in libertà, in ipotesi generando irragionevoli o immotivate disparità tra categorie di superfici tassabili potenzialmente omogenee, giustificandole con argomenti estranei a tale specifico contesto. La discrezionalità dell’ente territoriale nell’assumere le determinazioni al riguardo – in particolare, nello stimare in astratto la capacità media di produzione di rifiuti cui la norma fa riferimento per tipologie - ha natura eminentemente tecnica, non “politica”. Come tale, si deve basare su una stima realistica in ragione delle caratteristiche proprie di quel territorio comunale e, se del caso, della sua vocazione turistica: deve insomma concretamente rispettare, nell’esercizio di siffatta discrezionalità tecnica, il fondamentale e immanente principio di proporzionalità, incluse adeguatezza e necessarietà. (…) Non v’è chi non veda, infatti, che una siffatta cattiva stima preventiva può dar luogo a notevoli irrazionalità concrete: vuoi in punto di trattamento eguale di situazioni dispari (ricorrente in fattispecie di equalizzazione dell’importo del tributo annuale per i non residenti stagionali all’importo dovuto dai residenti stabili, ndr) vuoi in punto di trattamento diseguale di situazioni tra loro di pari capacità di produzione di rifiuti. (…). Orbene, se è vero che – al pari di quanto già previsto in materia di Tarsu (alla quale la Tia è succeduta) – la legge non obbliga l’ente impositore a determinare in maniera rigorosamente omogenea e paritaria le tariffe in relazione agli immobili cui si riferisce il tributo, essendo l’amministrazione comunale titolare di un potere tecnico discrezionale (…), è pur anche vero che una tale valutazione non può giungere a contraddire le finalità stesse e la ratio del tributo. Ratio all’evidenza strumentale alle finalità, consistenti nell’idoneità e necessità del gettito tributario a coprire i costi complessivi del servizio erogato, ripartendone ragionevolmente gli oneri in coerenza alla natura di tassa e con la quantità di rifiuti potenzialmente producibili dalle varie tipologie di beni e delle rispettive capacità inquinanti. Inoltre, in quanto “tecnica”, la discrezionalità del Comune incontra pur sempre il limite intrinseco della proporzionalità (vedasi, da ultimo, Cons. Stato, V, n. 3108 del 2017, cit.). (…). Ragione vuole infatti che, abitando i residenti con continuità nel territorio comunale, gli stessi vi producano ben più rifiuti di coloro che invece, a parità di condizioni abitative, vi ci soggiornano solo per periodi di tempo limitati o saltuari (generalmente, proprio i non residenti). (…) Il principio di proporzionalità, (…), sub specie dei suoi test di adeguatezza e di necessarietà, non può non attribuire rilevanza al carattere naturale della stagionalità. Tanto più se si considera il carattere turistico-balneare di un’assai frequentata località come Jesolo. È un carattere che conforma la specifica presenza – normalmente solo per la frazione estiva dell’anno – dei proprietari di immobili ad uso abitativo (ivi non residenti): e con quella va altresì rapportata la corrispondente capacità media delle strutture interessate di produrre rifiuti (generalmente limitata, come si è detto, al periodo turistico). Invero, come detto, mentre le ordinarie abitazioni civili dei residenti sono usualmente abitate nel corso dell'anno, le case utilizzate solo per le vacanze hanno una presenza antropica discontinua: la quale comporta, di conseguenza, una produzione media annua di rifiuti tendenzialmente inferiore rispetto alle prime. Il rammentato principio di proporzionalità, cui si deve conformare la discrezionalità tecnica amministrativa nell’individuazione delle aliquote fiscali, porta quindi a ritenere non legittimo un criterio di determinazione che risulti, all’atto pratico e a priori, più gravoso per le abitazioni dei non residenti rispetto a quelle di coloro che dimorano abitualmente nel Comune in questione».

Il richiamo effettuato dal Consiglio di stato alla necessitata correlazione della tassa alla “quantità di rifiuti potenzialmente producibili dalle varie tipologie di beni e delle rispettive capacità inquinanti”, evidenzia la derivazione e l’osservanza, da parte della tassa in questione, del principio “chi inquina paga” (legittimante il corollario “chi più inquina, più paga”) contemplato direttamente dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea”(art. 191, paragrafo 2, TFUE), principio che, in contesto ambientale, rappresenta una regola generale direttamente applicabile all’interno dei Paesi membri, senza necessità, pertanto, che lo stesso debba essere recepito negli ordinamenti interni dei Paesi dell’Unione mediante l’intermediazione dei legislatori nazionali.

Da questa automaticità consegue – secondo giurisprudenza – che anche il giudice nazionale, in caso di riscontrato contrasto tra la disciplina nazionale e il principio de quo, avrà il potere-dovere di decidere la causa sulla base delle coordinate ermeneutiche tracciate dalla Corte di Giustizia Europea.

5. Decisioni giurisprudenziali (CTP Massa Carrara n. 182/2017 e CTR Massa n. 26/2022)

In sede di merito, una corretta applicazione del menzionato principio «chi (più) inquina, (più) paga», ‘è stata fatta dalla Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara, nella sentenza n. 182 del 4/7/2017, che ha giudicato indebita la pretesa comunale equalizzante la misura della Tari, per i residenti e per i non residenti fruitori della seconda casa per le sole vacanze estive. Così motivando: «Alla luce dell'evoluzione normativa, che ha interessato la disciplina della tassa per lo smaltimento dei rifiuti e degli ultimi esiti giurisprudenziali in materia, il principio di matrice comunitaria "chi inquina paga" trova diretta ed immediata applicazione nell'ordinamento nazionale. Ne emerge un quadro in cui anche i Comuni, dunque, nell'esercizio della loro potestà regolamentare devono operare il prelievo nell'ottica di chiamare a pagare i contribuenti in relazione, non solo alla superficie occupata, quanto piuttosto alla quantità ed alla qualità di rifiuti prodotti. In tal senso va Ietta anche la disciplina dettata in materia di Tari, dove è chiaramente previsto che il Comune, in alternativa ai criteri contenuti nel regolamento di cui ai d.p.r. n.158/1999 e nel rispetto del principio "chi inquina paga", sancito dall' art 14 della direttiva comunitaria n. 2G08/98/CE relativa ai rifiuti, prevede la possibilità di commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi ed alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti. Le nuove disposizioni in vigore stabiliscono che le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea vadano determinate, ad opera del singolo Comune competente, moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l'anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti. Al fine di chiamare a pagare i contribuenti in relazione non solo alla superficie occupata quanto piuttosto alla quantità ed alla qualità di rifiuti prodotti venne peraltro confermata la possibilità per i Comuni di prevedere riduzioni ed esenzioni, come già nella normativa precedentemente in vigore, eliminando però il limite massimo determinato nella misura di un terzo. (…) Alla luce del quadro normativo descritto è, dunque, evidente che anche il potere regolamentare dei Comuni non può che essere esercitato nel rispetto del principio "chi inquina paga" di matrice comunitaria. (…) La tariffa, non disponendo l'Ente impostore, della prevista sistematica attività di rilevazione della produzione quantitativa di rifiuti per categoria economica, è stata adottata in base al criterio del cd. metodo normalizzato. Con il cd. metodo normalizzato adottato, il tributo non è calcolato sulla base della reale quantità di rifiuti conferiti dall'utente secondo, quindi, il principio "chi inquina paga" ma bensì in via presuntiva sulla base di coefficienti di produzione potenziale di rifiuti venendo quindi a prevalere la natura tributaria del prelievo su quella, corrispettiva, prevista dai richiamati principi normativi. In questo ultimo senso quindi l'Ente, (…), ha applicato al contribuente il tributo per il tramite di una presunzione semplice o semplicissima basata, quanto all'utenza di riferimento, su una stima (valore normalizzato) del rapporto mq/abitanti dell'immobile, non rilevando in base ai regolamento adottato per l'applicazione del tributo, sempre a detta dell'ente, la natura saltuaria o stagionale, peraltro non contestata, dell'utilizzo dell'immobile detenuto dal ricorrente in Ronchi di Massa quale abitazione per vacanze, essendo questi residente e dimorante in Parma. Peraltro verso, il contribuente ha eccepito, oltre all'utilizzo dello stesso cespite per frazione d'anno riferibile ai soli mesi estivi, la lamentata minore produzione di rifiuti anche per il tramite di ulteriore documentazione, fra cui il dettaglio dei consumi di acqua potabile dal gestore GAIA. (…). Proprio in ossequio ai richiamati Principi comunitari, oltre che ad una lettura costituzionalmente orientata al generale Principio di equità, la tassazione "piena" applicata dall'Ente nel caso di specie, è da ritenersi iniqua; e ben può essere il Regolamento comunale disapplicato laddove si riscontri una violazione di legge perché in contrasto con quei Principi. La pretesa contenuta negli avvisi bonari impugnati, dunque, è da ritenersi illegittima quanto all'applicazione del dato medio applicato (valore normalizzato), oltreché non condivisibile nell'applicazione piena della quota variabile nel calcolo del quantum preteso. Il ricorso è, quindi, fondato e meritevole di accoglimento nella parte in cui si chiede, in subordine, di ridurre e/o riqualificare l'importo indicato nell'avviso di pagamento ritenendosi congruo ed equo applicare la riduzione prevista del 30% sulla cd. quota variabile».

Come anticipato in Premessa, tale decisione è stata confermata in secondo grado dalla Commissione tributaria regionale toscana con sentenza dell’11/1/2022, n. 26, con la motivazione in precedenza riportata, che ha disatteso per asserita non coerenza il caposaldo argomentativo del Comune ricorrente, consistente nell’asserzione dell’essere dotato ex lege di una potestà regolamentare nell’introduzione (facoltativa e non obbligatoria) di agevolazioni ed esenzioni addizionali a quelle individuate dalla legge (abitazioni con unico occupante; abitazioni e locali per uso stagionale; abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di sei mesi all'anno, all'estero; fabbricati rurali ad uso abitativo).

Asserisce la sentenza che, se è pur vero che al Comune non può essere imposta l’introduzione nel proprio Regolamento Tari di una “riduzione” del tributo per la fattispecie degli utilizzatori stagionali delle residenze estive, va altresì sottolineato come l’applicazione da parte del Comune del metodo “presuntivo” (cd. normalizzato) per la determinazione del tributo, calcolato sulla base di coefficienti di produzione potenziale di rifiuti trascurando il principio di proporzionalità dello stesso alla produzione di rifiuti da parte del contribuente che solo saltuariamente, a fini turistici, occupa il proprio immobile ubicato nel Comune, non appare coerente con la natura della tassa e con la quantità di rifiuti potenzialmente producibili dalle varie tipologie di beni e delle rispettive capacità inquinanti. Quindi la cd. “riduzione” s’impone di fatto, tenuto anche conto delle indicazioni di provenienza comunitaria (C. Giust. UE, sent. del 16.07.2009 causaC-248/08), dalle quali emerge l’indirizzo secondo cui l'applicazione del metodo "presuntivo", trova «un limite laddove comporti che taluni contribuenti si facciano carico di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili».

Pertanto la sentenza conclude affermando che, nella fattispecie, «si ritiene equa la riduzione del 30%, anche in considerazione che la tassa è già comprensiva del tributo Provinciale (5%)».

6. Conclusioni

Rappresentate le considerazioni giuridiche sopra riferite, si può ragionevolmente affermare che - nonostante che il legislatore nazionale abbia accordato ai Comuni una certa discrezionalità in ordine alla regolamentazione del tributo Tari e qualificato come facoltative talune tipologie di riduzioni della relativa misura/importo (per motivi sociali ed umanitarie) - dovuta e non facoltativa si rivela la riduzione d’importo per un utilizzo saltuario/stagionale della seconda casa, rispetto all’importo annuale richiesto ai residenti stabili.

Giacché tale riduzione (cd. sconto) risulta conseguente all’applicazione del principio di proporzionalità del tributo (non solo ma anche) alla “quantità e qualità dei rifiuti” prodotti e alla minor fruizione da parte del contribuente stagionale del servizio di raccolta (con conseguente minor aggravio di costo per il Comune).

Talché oculatamente - anche nell’ottica di prevenire un contenzioso - si sono comportati quei Comuni che, facendo applicazione “approssimativa” (e non aritmetica) del suddetto criterio di proporzionalità, hanno previsto ed inserito tra le “Riduzioni” (contemplate nel Regolamento applicativo del tributo) quella afferente alle “a) abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo, non superiore a 183 giorni nell’anno solare: riduzione del 30%”, cioè a dire uno sconto forfettario.

Non pochi, tuttavia, sono ancora quei Comuni che hanno omesso tale previsione, ipotizzando di essere coperti da una presunta facoltatività (insussistente per la fattispecie), in vista di conseguire una quadratura dei bilanci con il concorso/accollo prevalente a carico dei cd. villeggianti non residenti, sottoposti ad indebita “tosatura” in quanto ipotizzati come “abbienti” a prescindere, quando – realisticamente – tale compagine risulta strutturata, in buona, e talora, larga parte, da pensionati che hanno acquistato la “casa vacanza” in questo o quel Comune utilizzando il Trattamento di fine rapporto maturato a fine lavoro nelle aziende o amministrazioni cittadine, in cui mantengono la residenza.

Peraltro, merita far rilevare che, poiché i frequentatori saltuari delle cd. 2° case permangono nei Comuni di residenza ben oltre i canonici sei mesi (183 gg.), sono tenuti a corrispondere all’amministrazione locale una Tari piena (per l’intero anno). Assoggettarli ad una Tari piena (per l’intero anno) anche nel Comune in cui essi permangono per i per i limitati periodi di vacanza (cumulativamente inferiori ai 183 gg.), significa assoggettarli ad un “raddoppio” del tributo Tari (cioè, in ragione di 12 mesi per il Comune di residenza + 12 mesi per il Comune in cui insiste la seconda casa per le vacanze estive ), quasi ipotizzando in capo a loro il dono dell’ubiquità, quando la potenziale ed effettiva produzione di rifiuti è pari a soli 12 mesi (e non a 24).

Quei Comuni che non hanno contemplato tale fattispecie di “sconto” nell’ambito delle riduzioni forfettarie meritano, pertanto, di rimanere esposti – se non altro per mere ragioni di principio – a vertenze giudiziarie afferenti alla lacunosità del proprio Regolamento al riguardo, vertenze per attivare le quali – lo si ricorda ai contribuenti - che l’organo competente a dibatterle, in primo grado, sembrerebbe essere il TAR, non già la Commissione tributaria provinciale (CTP). Giacché – secondo un orientamento giurisprudenziale condiviso da talune di esse – le CTP verserebbero in situazione di incompetenza (e i ricorsi dei contribuenti verrebbero respinti per cd. “difetto di giurisdizione”), in quanto «le controversie aventi ad oggetto provvedimenti comunali con cui, in via autoritativa o nell’esercizio dei poteri discrezionali, è fissata la tariffa per la Tarsu (o Tari) ed esercitato il relativo potere regolamentare, rientrano nella giurisdizione del Tribunale amministrativo, Tar» (così Tar Campania n. 3173/2009, Cass. Civ., sez. un.,n. 3030/2002; TAR Toscana, sez. l, 18 aprile 2000, n. 710).

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Note

(1) Ex plurimis si riporta l’art. 23 del Regolamento IUC (componente per la Tari) del Comune di Viterbo del 31/7/2014, che così prevede: «Art. 23. Riduzioni per le utenze domestiche 1. La tariffa si applica in misura ridotta, nella quota fissa e nella quota variabile, alle utenze domestiche che si trovano nelle seguenti condizioni: a) abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo, non superiore a 183 giorni nell’anno solare: riduzione del 30%; b) abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di sei mesi all'anno, all'estero: riduzione del 30%; c) fabbricati rurali ad uso abitativo: riduzione del 30%».

(2) Ben sintetizzata (ed a cui abbiamo attinto nel testo dell’articolo) nella nota a sentenza, a cura di R, Bianchini, reperibile nella rivista telematica Altalex, dal titolo “Tassa sui rifiuti: irragionevole la maggiorazione per i non residenti”.

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