Capita molto spesso che all’esito di un procedimento esecutivo, le somme liquidate dal Giudice a titolo di spese processuali della procedura non vengono recuperate dal creditore o dal legale di quest’ultimo dichiaratosi antistatario a causa dell’incapienza delle somme ricavate dall’espropriazione.
In questi casi, il creditore o il legale di quest’ultimo può procedere al recupero delle suddette somme?
Lunedi 3 Dicembre 2018 |
A questa domanda ha fornito risposta negativa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24571/2018, pubblicata il 5 ottobre scorso, affermando il seguente principio di diritto: “il giudice dell'esecuzione, quando provvede alla distribuzione o assegnazione del ricavato o del pignorato al creditore procedente e ai creditori intervenuti, determinando la parte a ciascuno spettante per capitale, interessi e spese, effettua accertamenti funzionali alla soddisfazione coattiva dei diritti fatti valere nel processo esecutivo e, conseguentemente, il provvedimento di liquidazione delle spese dell'esecuzione, in tal caso ammissibile, implica, come tale, un accertamento meramente strumentale alla distribuzione o assegnazione stessa, privo di forza esecutiva e di giudicato al di fuori del processo in cui è stato adottato, sicchè le suddette spese, quando e nella misura in cui restino insoddisfatte, sono irripetibili”.
IL CASO: La vicenda esaminata dai Giudici di legittimità prende spunto da un decreto ingiuntivo ottenuto da un avvocato quale intestatario del creditore di una procedura esecutiva nei confronti di un debitore per il pagamento delle spese processuali che erano state parzialmente soddisfatte per incapienza delle somme ricavate dalla suddetta esecuzione. Avverso il decreto ingiuntivo, il debitore ingiunto proponeva opposizione che veniva rigettata dal Giudice di Pace e la sentenza di prime cure veniva confermata dal Tribunale in sede di appello promosso dall’ingiunto. Pertanto, quest’ultimo, interponeva ricorso per Cassazione, deducendo fra l’altro la violazione e falsa applicazione degli articoli 339 e 553 c.p.c., sostenendo che l'ordinanza di assegnazione, emessa al termine del procedimento esecutivo presso terzi non può essere considerata come titolo a fini dell’emissione di un decreto ingiuntivo, non avendo la stessa contenuto decisorio e non potendo applicarsi il principio della soccombenza, regolatore dell'onere delle spese.
LA DECISIONE: La Corte di Cassazione con la sentenza in commento, ha accolto il ricorso dell’originario debitore revocando il decreto ingiuntivo sulla scorta del suddetto principio di diritto.
Gli Ermellini hanno evidenziato che è costante nella giurisprudenza di legittimità l’orientamento secondo il quale nel procedimento esecutivo l'onere delle spese non segue il principio della soccombenza come nel giudizio di cognizione, ma quello della soggezione del debitore all'esecuzione e la liquidazione delle spese del giudice dell'esecuzione non può avere contenuto decisorio ma solo di verifica del relativo credito in funzione dell'assegnazione o distribuzione.
Inoltre secondo la Corte di Cassazione, l’articolo 95 c.p.c., nello statuire che “le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione sono a carico di chi ha subito l'esecuzione, fermo il privilegio stabilito dal codice civile", parla di "utile" partecipazione alla distribuzione, pertanto:
le spese non costituiscono oggetto di un vero e proprio obbligo di rimborso a carico dell'esecutato, ma rappresentano piuttosto il costo obiettivo del processo, configurandosi come onere che viene a gravare sul ricavato;
non nasce pertanto alcun credito spendibile al di fuori del processo esecutivo, nè accertato (in senso proprio) dal giudice dell'esecuzione, nè accertabile da altri con deroga non espressa dal legislatore all'altro principio generale per cui le spese del processo sono regolate dal relativo giudice (artt. 91 e 510 c.p.c.);
l’articolo 95 c.p.c. non presuppone un vero e proprio credito per le spese del giudizio, come è implicito nell’articolo 92 c.p.c., ma più semplicemente la collocazione delle spese" (con il relativo privilegio) "affrontate dal creditore procedente e da quelli intervenuti, sul ricavato dell'esecuzione";
Di conseguenza anche nell'ipotesi d'incapienza parziale, quando, cioè, il creditore abbia partecipato "utilmente" solo in parte alla distribuzione, l'ordinanza che abbia liquidato le complessive spese, per la parte di esse che non sia stata soddisfatta avrà valore, sempre e solamente, ai fini della collocazione in quella procedura coattiva, non costituendo nè "dichiarando" alcun credito spendibile al di fuori di essa, nè in altri giudizi di cognizione nè in altri processi esecutivi;
In altri termini, "il potere che il giudice dell'esecuzione può esercitare ai sensi dell’articolo 95 c.p.c., è quello, previsto, dall’art. 510 c.p.c. di determinare l'importo di quanto spetta ai creditori per capitale, interessi e spese, compiendo un'operazione di mera liquidazione delle varie voci che costituiscono il diritto del creditore, non già in vista dell'emanazione di una statuizione di condanna, bensì in vista della successiva distribuzione ed assegnazione, interamente o parzialmente satisfattiva secondo la consistenza della massa attiva ricavata dall'espropriazione";
Quindi, hanno concluso gli Ermellini il giudice dell'esecuzione non può procedere alla liquidazione in assenza di ricavato da distribuire o somme da assegnare, e in caso diverso procederà alla liquidazione solamente ai descritti fini endoesecutivi.
Cassazione civile Sez. III Sentenza n. 24571 del 05/10/2018