Con l’ordinanza 32294/2025, pubblicata l’11 dicembre 2025, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla questione relativa al diritto all'iscrizione anagrafica delle persone senza fissa dimora e la corretta interpretazione del concetto di "domicilio" ai fini di tale iscrizione.
| Martedi 16 Dicembre 2025 |
IL CASO: La vicenda processuale trae origine da un ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso da un cittadino con il quale chiedeva al Tribunale di ordinare al Ministero dell'Interno e al Sindaco di un Comune, quale Ufficiale di Governo responsabile della tenuta dei registri anagrafici, l'immediata iscrizione nel registro anagrafico della popolazione residente in una via dove si trovava un tempo la sua abitazione familiare.
A fondamento del ricorso esponeva di essere cittadino senza fissa dimora; di avere appreso di essere stato cancellato dall'Anagrafe della Popolazione residente del Comune resistente senza che a lui fosse stato comunicato alcun provvedimento in tal senso presso il domicilio eletto; di aver già presentato istanza di reiscrizione al Comune, rimasta priva di riscontro, e di averla riproposta; che il Comune in questione, nonostante avesse accertato che quale persona senza fissa dimora aveva domicilio e recapito nella casa dell’ex moglie, che aveva concesso il consenso, lo aveva iscritto quale residente in una via fittizia, individuata dallo stesso Comune per i soggetti senza fissa dimora.
Il Tribunale rigettava il ricorso. Diversa la decisione della Corte di Appello la quale, pronunciandosi sul reclamo proposto dall’originario ricorrente, lo accoglieva ordinando l'iscrizione all'indirizzo indicato.
La Corte territoriale sosteneva che, per una persona senza fissa dimora, non fosse necessario l'accertamento di una dimora stabile e che la disponibilità dell'ex moglie a fungere da recapito fosse sufficiente. Aggiungeva, inoltre, che l'iscrizione in una via fittizia non fosse legittima, poiché il criterio suppletivo previsto dalla legge (iscrizione nel comune di nascita) non era stato rispettato, non essendo il richiedente nato nel comune resistente.
Pertanto, quest’ultimo investiva della questione la Corte di Cassazione, lamentando la violazione della nozione di domicilio di cui all'art. 43 del Codice Civile e sostenendo l'inidoneità di un mero "recapito provvisorio" a costituire un domicilio valido per l'iscrizione anagrafica.
LA DECISIONE: La Corte di Cassazione, pur dichiarando inammissibile il ricorso del Comune per essere stato presentato tardivamente, accogliendo l’eccezione formulata dal controricorrente, ha ritenuto la questione di "particolare importanza" tale da giustificare l'enunciazione di un principio di diritto nell'interesse della legge, ai sensi dell'art. 363 c.p.c.
La questione giuridica centrale sottoposta all’esame dei giudici di legittimità è se, ai fini dell'iscrizione anagrafica di una persona senza fissa dimora ai sensi della legge n. 1228/1954, la nozione di "domicilio" possa coincidere con un semplice "recapito" e se la natura "provvisoria" di tale recapito possa giustificare il diniego dell'iscrizione all'indirizzo prescelto dall'interessato.
Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: l'iscrizione anagrafica è un diritto soggettivo, non un mero interesse legittimo. L'attività dell'ufficiale d'anagrafe è vincolata all'accertamento dei presupposti di fatto, senza margini di discrezionalità.
Il cuore dell'argomentazione risiede nell'interpretazione della nozione di "domicilio" per le persone senza fissa dimora. La Corte adotta un approccio non letterale ma funzionale, coerente con le finalità della normativa. La legge n. 1228/1954 ha introdotto l'obbligo di iscrizione anche per i senza fissa dimora proprio per evitare che una condizione di marginalità sociale si traduca in un'esclusione dall'ordinamento giuridico. L'iscrizione è strumentale all'esercizio di diritti fondamentali (sanitari, sociali, politici). Un'interpretazione restrittiva vanificherebbe questa finalità, creando un'eterogenesi dei fini.
Gli Ermellini riconoscono che per una persona senza fissa dimora, caratterizzata da una "estrema rarefazione dei rapporti sociali e dell’assenza di una stabile presenza in un luogo", la nozione di domicilio deve essere intesa in senso ampio. In questo contesto, anche la sola indicazione di un luogo come "recapito" può essere sufficiente a integrare il concetto di domicilio, in quanto rappresenta il centro di riferimento per le comunicazioni e le relazioni del soggetto. La temporaneità della disponibilità offerta dall'ex moglie non è un ostacolo, hanno osservato i giudici di legittimità. L'iscrizione in una via fittizia viene considerata un'ipotesi eccezionale e residuale. I giudici di legittimità la descrivono come un "non luogo giuridico e sociale" che costituisce un "limite alla libera e dignitosa crescita della personalità". Questa soluzione, sebbene prevista in via astratta, non può essere la regola per superare difficoltà accertative, ma deve rimanere l'ultima risorsa quando manchi qualsiasi altro collegamento territoriale volontariamente scelto dall'individuo.
Sulla scorta delle suddette considerazioni, la Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: «Ai sensi dell’art.2 della legge n.1228/1995, l’iscrizione all’anagrafe dei residenti in Italia delle persone senza fissa dimora, non può essere esclusa qualora il richiedente abbia indicato come “domicilio” un recapito per ricevere corrispondenza, comunicazioni ed informazioni relative ai rapporti intrapresi dallo stesso e gli accertamenti compiuti abbiano dimostrato l’effettiva sussistenza di una relazione non precaria tra l’istante ed il luogo per il quale era stata presentata richiesta di iscrizione anagrafica, senza che la temporaneità della domiciliazione così formulata possa giustificare il diniego di iscrizione anagrafica nel luogo indicato dall’istante o la sua iscrizione formale ad un indirizzo fittizio.»
In conclusione, l'ordinanza rappresenta un importante presidio per la tutela dei diritti delle persone più vulnerabili. Affermando un'interpretazione del concetto di domicilio aderente alla realtà fattuale e alle finalità di inclusione sociale della legge, la Cassazione contrasta prassi amministrative eccessivamente formalistiche che rischiano di negare diritti fondamentali sulla base di requisiti (come la stabilità abitativa) che sono, per definizione, assenti nella condizione di una persona senza fissa dimora. La decisione promuove un modello di amministrazione che non si limita a registrare dati, ma si pone al servizio della persona, garantendo che nessuno sia reso "invisibile" all'ordinamento a causa della propria condizione sociale.