Con l'ordinanza n. 31340/2025, pubblicata il 2 dicembre scorso, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla questione relativa alla decorrenza degli interessi tutte le volte in cui all'esito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il Giudice revoca l'ingiunzione e ridetermina la somma dovuta dal debitore.
| Venerdi 5 Dicembre 2025 |
IL CASO: Nel caso esaminato, il Tribunale accoglieva parzialmente l'opposizione promossa da una società avverso un decreto ingiuntivo che le era stato notificato da un fallimento.
L'opposizione si concludeva con la revoca del decreto ingiuntivo e la riduzione della somma ingiunta.
La decisione del Tribunale si fondava sul presupposto del "difetto di esigibilità e liquidità del credito" al momento della richiesta monitoria.
Sulla scorta della sentenza del Tribunale, il fallimento creditore agiva esecutivamente notificando l’atto di precetto.
Avverso l’intimazione, la società debitrice proponeva opposizione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., contestando la correttezza del calcolo degli interessi che il fallimento creditore aveva fatto decorrere dalla data di costituzione in mora, antecedente al giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
Il Tribunale dava ragione alla società opponente, statuendo che gli interessi dovevano decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza emessa all’esito dell’opposizione al decreto ingiuntivo, che aveva accertato e liquidato il credito, poiché solo in quel momento il credito era divenuto esigibile.
Successivamente la Corte d'Appello, chiamata a pronunciarsi sul gravame proposto dal fallimento, pur confermando la nullità del precetto per l'errata quantificazione degli interessi, riformava la decisione di primo grado sul dies a quo.
I giudici della Corte territoriale ritenevano che la notifica dell'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, con cui la debitrice negava integralmente il debito, costituiva una manifestazione inequivocabile della volontà di non adempiere, configurando un'ipotesi di mora ex re ai sensi dell'art. 1219, comma 2, n. 3 c.c. Ritenevano, altresì irrilevante che a quella data il credito fosse "oltre che illiquido, non [...] ancora esigibile".
In altri termini, i giudici di secondo grado determinavano la decorrenza degli interessi dalla notifica dell’atto di opposizione e non dalla pubblicazione della sentenza di parziale accoglimento.
Pertanto, l'originaria debitrice investiva della questione la Corte di Cassazione deducendo tra i motivi del gravame, la violazione dell'art. 1219 c.c. e dei principi in materia di mora del debitore.
LA DECISIONE: Il motivo è stato ritenuto fondato dai giudici di legittimità i quali, nell’accoglierlo con rinvio alla Corte di Appello di provenienza, in diversa composizione, sul punto hanno enunciato il seguente principio di diritto: “in caso di revoca del decreto ingiuntivo in ragione della riduzione della pretesa creditoria azionata in via monitoria, in difetto di elementi su di una diversa epoca di conseguimento della liquidità, gli interessi sulla somma così determinata decorrono dalla data della pronuncia, tale essendo il momento in cui il credito diviene esigibile”.
Le argomentazioni della Corte d'Appello sull'irrilevanza della inesigibilità e sull'individuazione del dies quo sono state ritenute errate dalla Cassazione.
Gli Ermellini hanno evidenziato che, ai fini della decorrenza della mora, l'irrilevanza dell'inesigibilità contrasta con il principio fondamentale per cui un credito illiquido e non esigibile non produce interessi. Le obbligazioni pecuniarie, per produrre interessi di mora ex re, devono essere liquide, ovvero determinate nel loro ammontare dal titolo o da criteri che non lascino margini di discrezionalità;
Relativamente all'individuazione del dies a quo, hanno riaffermato il principio secondo cui, quando il giudice dell'opposizione riduce la pretesa creditoria e revoca il decreto ingiuntivo, il credito si considera liquido ed esigibile solo dal momento della pronuncia della sentenza che lo accerta nell'an e nel quantum.
L'ordinanza in commento consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza, chiarendo che la liquidazione giudiziale di un credito ha efficacia costitutiva ai fini della sua liquidità ed esigibilità, e di conseguenza, della produzione di interessi moratori.
Come noto il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (art. 645 c.p.c.) è un ordinario giudizio di cognizione che mira ad accertare l'esistenza e l'ammontare del credito. Tutte le volte in cui il giudice revoca il decreto perché il credito era originariamente illiquido o inesigibile, ma accerta l'esistenza di un credito (anche di importo inferiore), la sua sentenza di condanna sostituisce integralmente il decreto revocato. È proprio questa sentenza a "liquidare" il credito, rendendolo certo nel suo ammontare e, quindi, esigibile.
La decisione ribadisce che i presupposti per la decorrenza degli interessi moratori sono la liquidità e l'esigibilità del credito. Non è possibile applicare la disciplina della mora ex re (art. 1219 c.c.), che prescinde da un'intimazione formale, a un'obbligazione pecuniaria il cui ammontare non è ancora stato determinato. La dichiarazione del debitore di non voler adempiere non può produrre gli effetti della mora se l'obbligazione stessa non è ancora esigibile.
La revoca del decreto ingiuntivo, anche se seguita da una condanna per un importo inferiore, priva retroattivamente di effetti il provvedimento monitorio. Di conseguenza, non si può far riferimento a momenti o atti interni a quel procedimento (come la richiesta del decreto o l'opposizione stessa) per determinare la decorrenza di obbligazioni accessorie come gli interessi, se il presupposto sostanziale (la liquidità del credito) si è verificato solo con la sentenza di merito che ha definito l'opposizione.
In conclusione, la Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, offre una soluzione coerente con il sistema delle obbligazioni pecuniarie, riaffermando che la certezza giuridica derivante dalla liquidazione giudiziale di un credito è il momento cardine da cui far decorrere gli effetti della mora, a meno che non sia fornita la prova di una precedente liquidità ed esigibilità. La decisione previene interpretazioni estensive della mora ex re che finirebbero per penalizzare il debitore in situazioni di oggettiva incertezza sulla quantificazione del debito.