Il danno biologico terminale va tenuto distinto dal danno catastrofale ai fini del risarcimento.

Con l'ordinanza n. 5448 del 28/02/2020 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi della definizione del danno c.d. biologico-terminale o tanatologico e della relativa risarcibilità e trasmissibilità iure successionis.

Mercoledi 4 Marzo 2020

Il caso: D.S., C.C. e M.C. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Teramo C.M. e la M. Assicurazioni SpA per sentir dichiarare il primo esclusivo responsabile del sinistro in cui aveva perso la vita la nonna materna C.R. (investita dall'auto del M.mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali, e morta in Ospedale dopo sei gg di coma), e, per l'effetto, condannare entrambi in solido al risarcimento dei danni.

Il Tribunale dichiarava il M. esclusivo responsabile del sinistro e condannava i convenuti in solido al pagamento della somma di curo 79.002,00, a titolo di risarcimento del danno parentale (perdita della nonna, non convivente ma legata da profondo legame affettivo) subito in proprio dalle attrici; rigettava invece, la domanda di risarcimento del danno c.d. tanatologico subito in proprio dalla nonna, formulata dalle attrici iure successionis, atteso che la vittima, in stato di coma dopo l'incidente, non era stata in condizione di percepire il suo stato.

La Corte d'Appello in parziale accoglimento del gravame, condannava in solido gli appellati al pagamento, in favore dell'appellante, dell'ulteriore somma di curo 6.000,00 (oltre interessi), a titolo di "danno biologico terminale" subito dalla vittima nei sei giorni di vita seguiti all'incidente, trasmissibile iure hereditatis.

D.S. ricorre in Cassazione lamentando che:

  • la Corte territoriale, nel decidere unicamente sulla risarcibilità del danno cosiddetto biologico-terminale, aveva omesso di pronunciarsi sulla formulata richiesta di condanna dei convenuti al risarcimento del danno morale che sarebbe spettato alla nonna per essere stata vittima di un reato in esito al quale la stessa aveva perso il bene vita;

  • tale obbligo risarcitorio costituiva ex art. 185 c.p sanzione civilistica, da commisurarsi alla gravità del pregiudizio arrecato alla vittima ed alla gravità del comportamento del reo e da quantificarsi ai sensi dell'art. 133 c.p., e che si doveva estendere anche alle sofferenze fisiche e morali sopportate dalla vittima in stato di incoscienza.

    Per la Suprema Corte il motivo è infondato ed in merito osserva quanto segue:

    1) va innanzitutto premesso che le espressioni "danno biologico terminale", "danno tanatologico", "danno catastrofale" non corrispondono ad alcuna categoria giuridica, ma possono avere al massimo un valore descrittivo, e cioè possono essere utilizzate come "mera sintesi descrittiva”;

    2) la perdita della vita, di per sé non risarcibile quale danno subito in proprio dalla persona deceduta in caso di decesso immediato o dopo pochissimo tempo dalle lesioni riportate va risarcita, nel caso di decesso avvenuto dopo un apprezzabile lasso di tempo dalle lesioni (ipotesi in questione), sotto il duplice profilo del danno biologico c.d. terminale e del danno morale terminale:

    a) danno biologico c.d. terminale:

    - è il danno biologico "stricto sensu" (ovvero danno al bene "salute") subito per i giorni intercorsi tra la data delle lesioni a quella del decesso, è, invero, configurabile, e trasmissibile "iure successionis", ove la persona ferita non muoia immediatamente, sopravvivendo per almeno ventiquattro ore (tale essendo la durata minima, per convenzione legale, ai fini dell' apprezzabilità dell'invalidità temporanea), essendo, invece, irrilevante che sia rimasta cosciente;

    - siffatto danno, proprio perché consistente nella oggettiva perdita delle attività quotidiane dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso, è sempre presente, prescindendo dalla consapevolezza dello stesso o dallo stato di coscienza,

    b) danno morale terminale o danno catastrofale:

    - al danno biologico terminale sub a) può talora aggiungersi anche un peculiare danno morale, ovvero il danno consistente nella sofferenza provocata dalla consapevolezza di dovere morire (c.d. "danno morale terminale" o "danno da lucida agonia" o "danno catastrofale o catastrofico");

    - detto "danno morale terminale", si risolve nella "paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali" ed è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente;

    - in difetto di tale consapevolezza, non è nemmeno concepibile l'esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni: in tal caso, infatti, il danno risarcibile è rappresentato non dalla perdita delle attività cui la vittima si sarebbe dedicata se fosse rimasta sana, ma da una sensazione dolorosa, sicchè, al contrario del danno alla salute, l'esistenza stessa del pregiudizio in esame presuppone che la vittima sia cosciente.

    c) nel caso in esame, la Corte di merito, in corretta applicazione degli esposti principi, ha, in primo luogo, liquidato in via equitativa il "danno biologico terminale" (non riconosciuto, invece, dal Tribunale) subito da C.R. per i sei giorni in cui è rimasta in stato di coma prima di morire;

    d) altrettanto correttamente, per mancanza di consapevolezza, non ha invece liquidato il danno morale terminale, atteso che costituiva circostanza pacifica che C.R. era rimasta in stato di coma per sei giorni e non era quindi nella richiesta condizione di lucidità necessaria per rappresentarsi la fine imminente ed addolorarsi per essa.

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