Azione di rivendica: differenza con l'actio negatoria servitutis e relativo onere probatorio

Con l'ordinanza n. 21648/2021 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi della distinzione tra actio negatoria servitutis e azione di rivendica, e del relativo onere probatorio.

Martedi 7 Settembre 2021

Il caso: Tizio citava in giudizio Caio e Sempronia lamentando che convenuti, nella ristrutturazione del loro immobile, avevano invaso la sua proprietà, realizzando una scala di collegamento, un piccolo vano nel sottoscala, due botole ed un muro di delimitazione;

Il Tribunale accoglieva la domanda, che qualificava come actio negatoria servitutis, mentre la Corte d'Appello, nel rigettare la domanda dell'attore, riteneva che:

  • l'attore aveva proposto un'azione di rivendica poiché aveva chiesto l'accertamento del diritto di proprietà sulla base del titolo e, in subordine per usucapione;

  • la proprietà del bene non poteva essere provata unicamente attraverso il titolo di proprietà ma era necessaria la prova dei titoli d'acquisto dei propri danti causa, fino ad un atto di acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando di aver posseduto il bene nel termine previsto per il compimento dell'usucapione;

  • era innegabile che l'area in questione risultava compresa nell'oggetto del contratto di acquisto del 1974, ma l'attore non aveva provato di averla posseduta dopo averla acquistata nel 1974.

    Gli eredi di Tizio ricorrono in Cassazione, lamentando che la Corte distrettuale aveva erroneamente qualificato la domanda come azione di rivendica e non come actio negatoria servitutis:

    - la domanda attorea era volta non ad ottenere la restituzione dell'area - sulla quale i convenuti avevano realizzato una scala di collegamento, un piccolo vano nel sottoscala, due botole ed il muro di delimitazione - ma alla rimozione delle opere illegittimamente realizzate sui terreni di sua proprietà;

    - pertanto l'accertamento della proprietà era funzionale alla prova della sua legittimazione ad agire: tale prova era stata fornita con la produzione del titolo di proprietà.

    La Cassazione, nel rigettare il ricorso, chiarisce i presupposti e le caratteristiche delle due azioni:

    a) l'azione "negatoria servitutis" e quella di rivendica si differenziano in quanto l'attore, con la prima, si propone quale proprietario e possessore del fondo, chiedendone il riconoscimento della libertà contro qualsiasi pretesa di terzi; con la seconda, si afferma proprietario della cosa di cui non ha il possesso, agendo contro chi la detiene per ottenerne, previo riconoscimento del suo diritto, la restituzione;

    b) sotto il profilo probatorio, nel primo caso egli deve dimostrare, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido; allorché, invece, agisca in rivendica, deve fornire la piena prova della proprietà, dimostrando il suo titolo di acquisto e quello dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario;

    c) l'azione di condanna al rilascio di un fondo esercitata dall'attore in base all'esistenza di un proprio titolo di proprietà e all'assenza, per contro, di qualsivoglia titolo che giustifichi il possesso o la detenzione del medesimo bene da parte del convenuto, va qualificata come azione di rivendica, ai sensi dell'art. 948 c.c.

    d) nel caso in esame, l'attore aveva chiesto l'accertamento del suo diritto di proprietà e, in subordine il riconoscimento dell'avvenuto acquisto per usucapione oltre al rilascio dell'area in contestazione; conseguentemente egli doveva dare la prova rigorosa della proprietà e non poteva avvalersi del solo titolo di acquisto o di ogni altro mezzo di prova, comprese le presunzioni.

Pagina generata in 0.022 secondi