Il concetto di pari opportunità

Codice Pari Opportunità – D.lgs. 198/06.
Lunedi 29 Giugno 2009

Il Codice Pari Opportunità raccoglie in un unico testo organico tutte le disposizioni vigenti in materia di pari opportunità tra uomo e donna: in particolare riunisce e coordina le norme vigenti per la prevenzione e la rimozione di ogni forma di discriminazione fondata sul sesso (c.d. discriminazione di genere).

Ma quando si può parlare di “discriminazione”?
L'art. 25 del D. Lgs. 198 del 2006, nel richiamare l'art. 4 commi 1 e 2 della L. 10/04/1991 n. 125, ne fornisce una definizione molto precisa, distinguendo due tipologie di comportamenti discriminatori: quelli diretti e quelli indiretti.
Costituisce discriminazione direttaqualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole, discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e comunque il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga”.
Tale forma di discriminazione si può manifestare in diverse occasioni e circostanze:  ad es: il datore di lavoro assegna sistematicamente le mansioni superiori per una progressione di carriera ai dipendenti maschi; al rientro dalla maternità alla dipendente donna vengono assegnate mansioni inferiori rispetto alle precedenti, oppure al momento dell'assunzione alla donna vengono poste domande circa le sue future intenzioni matrimoniali o di maternità: in tutti questi esempi si può ravvisare un atteggiamento o un atto discriminatorio, sanzionabile.
Ma l'art. 25 prevede e sanziona anche un altro tipo di discriminazione, quella indiretta, che ricorre quando “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purchè l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”.
Si può fare l'esempio di un regolamento comunale che esclude la possibilità per i dipendenti di optare per il lavoro par time: in tale esclusione è stata ravvisata un'ipotesi di discriminazione indiretta, dal momento che statisticamente sono le donne che optano per il part time, per cui tale clausola discrimina illegittimamente e immotivatamente le lavoratrice rispetto ai colleghi maschi.
Analogamente, può celare una volontà discriminatoria un annuncio o un'inserzione che, senza alcun motivo particolare, richieda ai fini dell'assunzione l'essere un uomo o una donna, senza che tale requisito sia essenziale per il tipo di lavoro o di mansione da svolgere (ad es: una sfilata di moda per abiti da uomo può giustificare la richiesta di soli modelli di sesso maschile).
L'art. 26 del Codice del 2006 prevede, inoltre, come forma di discriminazione di genere le molestie in genere e le molestie sessuali in particolare, intese come quei comportamenti indesiderati posti in essere per ragioni connesse al sesso o a connotazione sessuale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”
Lo stesso Codice, poi, al Capo III, prevede una serie di azioni giudiziarie e strumenti di tutela che possono attivare i lavoratori o le lavoratrici vittime di comportamenti discriminatori, anche con l'assistenza di organizzazioni sindacali, associazioni, o della consigliera o consigliere di Parità, al cui ufficio si può rivolgere chiunque ritenga di aver subito una discriminazione di genere.

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