E' vietato destinare ad asilo d'infanzia un appartamento condominiale

L'asilo nido in Condominio non puo' essere esercitato quando il Regolamento contrattuale vieta di destinare gli appartamenti di proprieta' esclusiva presenti nell'edificio ad attivita' rumorosa.

Commento alla Sentenza della Cassazione n. 24958 del 6/12/2016.

Sabato 17 Dicembre 2016

Con impugnazione della delibera assembleare che vietava l'apertura di un asilo nido presso il proprio appartamento, in violazione dell'articolo 3 del Regolamento condominiale del palazzo, un soggetto apriva l'iter processuale che ha portato alla pronuncia di legittimità in oggetto.

Nella fattispecie, il Condominio, a sua volta, chiedeva in via riconvenzionale l'immediata cessazione dell'attività iniziata nonostante la delibera contraria poiché esercitata in violazione dei limiti di normale tollerabilità previsti dal Regolamento.

Sia in primo che in secondo grado, la domanda del Condominio convenuto era stata accolta e così il proprietario dell'appartamento e la cooperativa cui l'attività era stata affidata ricorrevano in Cassazione rilevando quattro motivi di censura della sentenza d'Appello.

In primo grado veniva accertato che l'articolo 3 del Regolamento condominiale vietava la destinazione degli appartamenti ad esercizi rumorosi sicché era necessario accertare in concreto, attraverso una consulenza tecnica d'ufficio, la rumorosità dell'asilo nido in questione in dipendenza delle sue effettive e concrete modalità di espletamento.

Il Consulente Tecnico nominato - che correttamente si era attenuto ai parametri legislativi che prendono in considerazione il disturbo arrecato tra privati e non quelli di cui alla Legge 477/1995 applicabile in ambito pubblicistico - era pervenuto alla conclusione per cui: “le immissioni provenienti dall'asilo nido superano i limiti di normale tollerabilità in due degli appartamenti indagati”.

Col primo motivo di ricorso, l'istante ha obiettato che la Corte d'Appello male avrebbe interpretato l'art. 3 che vuole che il disturbo sia arrecato all'intero fabbricato mentre gli appartamenti coinvolti dalle immissioni sarebbero risultati solo due su un totale di 26 unità immobiliari.

Invero, però, l'interpretazione di un contratto di autonomia privata, qual è il Regolamento Condominiale, è attività riservata al Giudice di Merito e quindi censurabile in sede di legittimità solo per violazione di criteri legali di ermeneutica o per vizi di motivazione qualora la pronuncia risulti illogica o incongrua e non si possa facilmente risalire al ragionamento logico ad essa sotteso (Cassazione n. 4178/2006).

Stesso discorso vale anche quando le interpretazioni possibili sono più di una e non è quindi possibile dolersi presso gli Ermellini di quella poi effettivamente adottata in secondo grado (Cass. n. 10131/06): conseguentemente è stata ritenuta esaustiva la pronuncia impugnata laddove ha ancorato il riscontro del rigetto della domanda nella previsione dell'art. 3 del Regolamento che fa tout court “divieto di destinare gli appartamenti a esercizi rumorosi”.

Allo stesso modo e in logica conseguenza anche il secondo e terzo motivo di doglianza sono stati ritenuti inidonei perché la Corte d'Appello ben aveva adottato le conclusioni del CTU nominato e non la documentazione allegata o i testi sentiti in primo grado.

Da ultimo, per il cd. “principio di autosufficienza del ricorso in Cassazione” di cui all'art. 366, primo comma n. 6 cpc e Cassazione Sezione Lav. n. 4980/2014, per contestare la CTU, il ricorrente ne avrebbe dovuto riprodurre più o meno integralmente il testo nel corpo del ricorso, circostanza questa mancante.

Ed in ogni caso la deduzione di un vizio di motivazione conferisce alla Corte la sola facoltà di controllo sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale delle argomentazioni svolte in sede di merito essendogli precluse tutte le altre attività proprie del giudizio di secondo grado eccetto quando sia rinvenibile traccia evidente di mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia (Cassazione n. 17477/07 e Cassazione n. 11789/05).

E' sufficiente, infatti, che la Corte d'Appello indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'iter seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni con contestuale implicita disattesa di quelle incompatibili (Cass. n. 6023/2000).

Nel caso in esame, il Giudice di seconde cure ha puntualizzato che la Ctu era stata ammessa proprio al fine di avere un parametro oggettivo e non emotivo, qual è la prova testimoniale e che nella perizia ben era stato dato conto della metodologia utilizzata e che la stessa si era strettamente attenuta ai parametri normativi della materia in ambito contrattuale, a nulla rilevando che il consulente tecnico di parte fosse stato assente al momento dell'esame.

Infine, non poteva trovare accoglimento la censura relativa alla reiezione della richiesta di rinnovo della consulenza poiché rientra negli ampi poteri discrezionali del Giudice di merito la valutazione dell'opportunità di disporre o meno indagini tecniche supplettive o integrative, di sentire a chiarimenti il CTU o addirittura di disporre la rinnovazione delle indagini con nomina di altri esperti, non essendo detta attività censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 8355/07).

Quanto all'istanza del controricorrente in merito alla condanna del versamento di una somma come sanzione per la ritardata ottemperanza all'obbligo di rimozione dell'attività da parte del ricorrente, ai sensi dell'art. 614 bis cpc, questa si è dovuta disattendere poiché dedotta con memoria successiva all'atto introduttivo e quindi lesiva del diritto di replica e difesa della controparte (Cassazione n. 11097/2006).

Il rigetto del ricorso, come ovvio, ha comportato la condanna al pagamento delle spese del procedimento. 

Allegato:

Cassazione civile Sez. II, Sentenza n. 24958 del 06/12/2016


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