La verifica del Giudice circa la tempestività dell'impugnazione

Avv. Federica Ascione.

Con l’ordinanza n. 9958/2020, la Suprema Corte ha affrontato il problema relativo alla sentenza che riporta in calce due date diverse e la verifica da parte del Giudice circa la tempestività dell’impugnazione.

Mercoledi 17 Giugno 2020

La vicenda trae origine da una sentenza del Tribunale di Roma che aveva  dichiarato inammissibile, per tardività, l'appello proposto avverso la decisione del Giudice di Pace di Roma. In particolare si evidenziava che la spedizione dell'appello era avvenuta nel 2016, oltre il termine semestrale di cui all’art.327 c.p.c.

Secondo il Tribunale, infatti, la sentenza del Giudice di Pace impugnata era stata depositata il 20/12/2013 e riportava un numero cronologico del 2013, per cui doveva ritenersi essere stata pubblicata entro il 31/12/2013.

Il ricorso in Cassazione si basava su un unico motivo che lamentava, ai sensi dell’art.360 c.p.c. primo comma n.3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 133 e 327 c.p.c., sottolineando che la sentenza era stata pubblicata, con deposito in cancelleria, in data 04/12/2015, alla stregua dell’attestazione in calce al provvedimento e non nel 2013. La Suprema Corte accoglieva il ricorso stabilendo che spetta al giudice "verificare la tempestività dell'impugnazione proposta" ricorrendo a un'istruttoria documentale, a presunzioni semplici o alla regola generale sull'onere della prova contenuta nell'art. 2697 c.c..

La parte motiva dell’ordinanza richiamava precedenti giurisprudenziali e l’intervento della Corte Costituzionale n.3/2015 che, muovendo dalla centralità del diritto di impugnazione, aveva osservato che, nel caso di apposizione di una doppia data, di deposito e di pubblicazione "per costituire dies a quo del termine per l'impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzato esclusivamente in corrispondenza di quest'ultima, con la conseguenza che il ritardato adempimento, attestato dalla diversa data di pubblicazione, rende inoperante la dichiarazione dell'intervenuto deposito, pur se formalmente rispondente alla prescrizione normativa".

In particolare gli Ermellini richiamavano quanto enunciato nella sentenza della Corte di Cassazione n. 18569 del 2016, “le attività, da svolgersi in tempi rapidissimi, in cui si sostanzia la pubblicazione della sentenza, fa riferimento alla sequenza: consegna della sentenza in cancelleria da parte del giudice e recepimento di essa da parte del cancelliere mediante inserimento nell'elenco cronologico e relativa attestazione -, ma è anche vero che, proprio l'esigenza di garantire il diritto della parte alla conoscibilità del provvedimento giurisdizionale, non tollera, nella verifica dell'ammissibilità dell'impugnazione, automatismo alcuno”.

Si osserva quindi che l'apposizione di due date su una sentenza comporta la necessità di individuare il momento nel quale è effettivamente intervenuto il deposito/pubblicazione della sentenza, ma non impone per ciò solo di ricorrere a presunzioni aprioristiche e generalizzate ovvero ad indiscriminate ed ingiustificate rimessioni in termini.

In base a quanto esposto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando al Tribunale di Roma, in persona di un diverso giudicante. 

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