Stalking: l'ansia o il timore nella vittima possono essere desunti dalla gravità degli episodi

La Cassazione con la sentenza n. 47195/2015 torna ad occuparsi del reato di stalking, delineandone i caratteri ed i presupposti e soffermandosi in particolare su uno degli eventi tipici, lo stato di ansia o il fondato timore ex art. 612 bis c.p.
Lunedi 21 Dicembre 2015

Il Tribunale di Brescia, in sede di riesame, con ordinanza, ai sensi dell'art. 309 c.p.c. in data 7.7.2015 annullava l'ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Mantova del 9.6.2015 con cui era stata applicata la misura della custodia in carcere nei confronti di A., per il delitto di atti persecutori di cui all'art. 612 bis c.p., nei confronti di S., con la quale aveva avuto una relazione sentimentale.

Secondo il Tribunale, pur risultando sussistenti gravi indizi a carico dello S. sia per le lesioni cagionate alla ex compagna e accertate in sede di certificazione sanitaria, sia per i messaggi divenuti minacciosi in seguito al rifiuto della ragazza di riappacificarsi, mancava del tutto nella stessa prospettazione della persona offesa, uno degli eventi tipici descritti nella fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p..

Infatti, la ragazza non aveva mai riferito di trovarsi in uno stato grave di ansia o paura, nè di avere alterato le proprie abitudini di vita, né ancora di avere un fondato timore per la propria incolumità a seguito dei messaggi e dell'aggressione ricevuta.

Il P.M. presso il Tribunale di Mantova propone ricorso, deducendo la ricorrenza del vizio di cui all'art. 606 c.p.p. comma 1, lett. e), per manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione: infatti, il Tribunale ha riconosciuto, sulla scorta degli atti di acquisiti, la sussistenza di un inconfutabile e pesante quadro indiziario a carico dell'indagato, in ordine a tutti gli elementi caratterizzanti la condotta tipica della fattispecie incriminatrice.

Da tale quadro non vi è dubbio, né che l'uomo abbia compiuto tutte le azioni aggressive, violente e moleste, descritte nel capo di imputazione, né che la ragazza, come qualunque altra malcapitata in analoga situazione, fosse manifestamente esasperata e spaventata per l'aggressione subita.

Per il P.M., la circostanza che la ragazza non abbia espressamente riferito di trovarsi in uno stato grave di paura, né ancora di avere un fondato timore per la propria incolumità a seguito dei messaggi e dell'aggressione ricevuta, non appare significativa, non esigendo certo la fattispecie tipica di cui all'art. 612 bis c.p., che uno degli eventi tipici sia formalmente declinato dalla vittima, come una sorta di formula sacrale.

Ciò che rileva sul piano sostanziale è l'offesa arrecata al bene protetto dalla norma incriminatrice, mentre su quello processuale è il principio del libero convincimento.

La Cassazione accoglie il ricorso del P.M., e individua i contorni della fattispecie criminosa in esame:

  1. Lo scopo della previsione di cui all'art. 612 bis c.p. è quello di tutelare la persona nelle normali e quotidiane relazioni intersoggettive, a salvaguardia della sua personalità, cosicchè atti ripetuti, idonei ad incidere gravemente sulla libertà di autodeterminazione della persona ed a compromettere durevolmente il suo equilibrio psichico, fino ad ingenerare timori per la propria incolumità, integrano il reato;

  2. ciò anche nel caso che gli atti persecutori siano favoriti dall'atteggiamento equivoco della vittima. giacché il rispetto della personalità individuale e della libertà morale della persona esigono che "l'altro" non approfitti della debolezza caratteriale, o degli stati di momentaneo o perdurante disorientamento cognitivo o affettivo;

  3. peraltro viene condivisa la linea argomentativa del P.M. Laddove censura la sentenza impugnata, secondo cui la parte offesa non avrebbe espressamente riferito di essere impaurita: la configurabilità del reato non richiede l'esatta descrizione dell'evento prodotto, ben potendo essere ricavato ed emergere con evidenza, come nella fattispecie in esame, dal complesso degli elementi acquisiti e dalla brutalità della condotta posta in essere dall'aggressore.

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