Risarcimento del danno da incapacità lavorativa specifica: criteri di calcolo

La Cassazione e il danno da incapacità lavorativa specifica: stop alla percentualizzazione del risarcimento. Analisi dell'ordinanza n. 22584/2025.
Avv.ti A. Nuovo e N.Moscatiello.

Introduzione

La quantificazione del danno patrimoniale derivante dalla lesione della capacità lavorativa specifica rappresenta da sempre uno dei nodi più complessi e dibattuti nel panorama del diritto del risarcimento del danno alla persona. Per anni, la prassi liquidativa ha fatto ricorso a un metodo apparentemente semplice: applicare una percentuale di "incapacità lavorativa specifica", determinata dal consulente tecnico medico-legale, al reddito percepito dalla vittima.

Mercoledi 3 Dicembre 2025

Con la recente ordinanza n. 22584 del 5 agosto 2025 (rel. Dott. Marco Rossetti), la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi con estrema chiarezza su questo tema, ribadendo un principio che era già stato affermato con chiarezza da Cass. civ. Sez. III, Sent. 04/02/2020, n. 2463 e spesso disatteso nella pratica: tale metodo di calcolo è "giuridicamente, concettualmente e medicolegalmente erroneo".

L'articolo analizza la portata di questa decisione, che non introduce un principio nuovo, ma consolida un orientamento giurisprudenziale ormai granitico, offrendo una guida imprescindibile per operatori del diritto e giudici di merito.

IL FATTO PROCESSUALE

La vicenda trae origine da un infortunio occorso nel lontano 2004, quando il passeggero di un autobus di linea subiva una frattura dello scafoide a seguito di una caduta provocata da una brusca frenata del mezzo. Ne scaturiva un lungo contenzioso risarcitorio contro la società di trasporti e il conducente del mezzo. Dopo alterne vicende giudiziarie, inclusa una prima pronuncia della Cassazione che cassava con rinvio la sentenza d'appello per plurimi errori nella liquidazione del danno, tra cui l'aver fatto applicazione del criterio percentualistico nella valutazione del danno patrimoniale da riduzione della capcità lavoro, la Corte d'Appello di Bari, in sede di rinvio, liquidava nuovamente il danno da lucro cessante in termini percentuali.

Avverso tale decisione, il danneggiato proponeva ricorso incidentale per cassazione, lamentando, tra gli altri motivi, l'erroneità del criterio di quantificazione del danno patrimoniale basato su una astratta percentuale di incapacità.

DIRITTO

1) LA CENSURA DELLA CORTE: LE QUATTRO RAGIONI DELL'ERRONEITÀ DEL CRITERIO PERCENTUALISTICO

La Suprema Corte, nell'accogliere il sesto motivo del ricorso incidentale, con un'ampia motivazione, ha offerto una disamina lucida delle ragioni per cui il metodo di liquidazione basato sulla moltiplicazione del reddito per una percentuale di incapacità lavorativa specifica debba essere radicalmente escluso.

Il principio cardine da cui occorre muovere è che: la valutazione sull'esistenza del danno patrimoniale da lucro cessante è un giudizio di "tipo giuridico" riservata al giudice che travalica lo specifico settore di competenza del medico; il danno deve essere liquidato accertando in concreto le variazioni di reddito della vittima prima e dopo il sinistro.

Muovendo da tale premessa, la Suprema Corte ha evidenziato che il criterio liquidativo consistente nella pretesa di liquidare il danno da lucro cessante moltiplicando il reddito della vittima per una percentuale " di incapacità lavorativa specifica", immancabilmente rimessa al giudizio (se non addirittura all'arbitrio) del medico legale, è operazione giuridicamente, concettualmente e medicolegalmente erronea.

Le ragioni di tale netta presa di posizione sono quattro:

a) L'adozione del criterio percentualistico, di fatto, sposta il centro decisionale dal giudice all'ausiliario.

La Corte chiarisce che il ruolo del consulente tecnico medico-legale è quello di accertare i postumi permanenti e descrivere come essi incidano sulla prestazione lavorativa, precisando se essi impediscano in tutto o in parte la prestazione; se la rendano più difficoltosa e sotto quale aspetto (forza, resistenza, concentrazione, perizia manuale).

Non è invece consentito demandare al medico legale un giudizio di "tipo giuridico" sull'esistenza del danno patrimoniale da lucro cessante, poiché si tratterebbe di una valutazione riservata al giudice e che "travalica lo specifico settore di competenza del medico legale".

L'adozione del criterio percentualistico, di fatto, sposta il centro decisionale dal giudice all'ausiliario. Liquidare il danno sulla base di tale percentuale equivale ad abdicare al ruolo del giudice in favore di una valutazione del medico-legale che esula dalle sue competenze.

Il danno patrimoniale infatti attraverso l’adozione di questo criterio finisce per essere liquidato senza alcun accertamento in concreto sulle variazioni del reddito della vittima prima e dopo il sinistro, ma semplicemente capitalizzando (non il reddito perduto, ma) una percentuale di reddito corrispondente alla percentuale di “incapacità lavorativa specifica” accertata dal medico legale, percentuale che, osserva la Suprema Corte, "altro non è se non una cabala, a causa della sua ascientificità e del cieco empirismo con cui, di conseguenza, viene determinata".

b) Il "calcolo" manca del più importante presupposto: la scientificità.

A differenza del danno biologico, che esprime la riduzione della capacità di svolgere attività quotidiane comuni a tutti e quindi misurabile secondo "barèmes" standardizzati, la capacità lavorativa specifica è intrinsecamente soggettiva. Essa varia a seconda del tipo di lavoro, delle mansioni concrete, delle competenze e dell'esperienza della vittima. Come sottolinea la Corte, "la capacità di lavoro (...) è soggettiva e varia a seconda del tipo di lavoro svolto dalla vittima". Pretendere di ingabbiarla in un numero percentuale è un'operazione priva di scientificità, una "cabala" che non può fondare una corretta liquidazione del danno.

c) L'assenza di un "barème" di riferimento.

Corollario del punto precedente è l'impossibilità di creare un "barème" medico-legale per l'incapacità lavorativa specifica. L'infinita varietà delle attività lavorative umane e delle modalità con cui possono essere svolte rende inconcepibile la creazione di tabelle predefinite. L'assenza di una scala di misurazione oggettiva rende qualsiasi determinazione percentuale arbitraria e priva di fondamento scientifico.

d) L'insussistenza di un automatismo tra postumi permanenti e danno patrimoniale.

L'accertamento dell'esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica esprime solo la possibilità del danno, non la sua certezza e tanto meno la sua probabilità, e non comporta perciò l'automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante (ex multis, Cass. Sez. 3,03/07/2014, n. 15238).

È dall’accertata diminuzione del reddito che deve risalirsi alla prova del danno ed alla sua causa; non è invece corretto, una volta ritenuta in astratto l’"incapacità lavorativa" della vittima, desumerne la prova d'una contrazione patrimoniale, senza nessun accertamento in concreto d’una deminutio patrimonii.

Questo approccio, oltre che imposto dagli artt. 1223 e 2056 c.c., è peraltro conforme ai principi espressi a livello europeo, in particolare dalla Risoluzione n. 75-7 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che raccomanda di comparare i redditi della vittima dopo l'evento dannoso con quelli che avrebbe presumibilmente ottenuto in assenza del fatto lesivo.

2) IL CORRETTO ITER LOGICO-GIURIDICO PER L'ACCERTAMENTO DEL DANNO

Abbandonata la via fallace della "percentualizzazione", la Suprema Corte indica il corretto percorso logico che il giudice di merito deve seguire per accertare e liquidare il danno da perdita della capacità di guadagno. Il percorso si articola in tre fasi fondamentali:

- a) l’accertamento dell'entità dei postumi permanenti: la base di partenza è la valutazione medico-legale che stabilisce la natura e la gravità delle lesioni residue;

- b) l’accertamento della compatibilità tra i postumi e le mansioni specifiche: il giudice deve accertare in concreto come tali postumi incidano sull'impegno fisico o intellettuale richiesto dal lavoro specifico svolto dalla vittima. Questo richiede che il danneggiato alleghi e provi il tipo di lavoro, le mansioni, e l'impegno richiesto.

- c) la determinazione della presumibile riduzione patrimoniale: solo all'esito dei primi due passaggi, il giudice può valutare se l'incompatibilità tra postumi e mansioni comporti, in atto o in potenza, una effettiva riduzione del reddito. Tale valutazione può avvalersi di presunzioni, purché fondate su fatti noti (es. abbandono del lavoro, difficoltà di ricollocamento, perdita di chance professionali) e non su meri automatismi.

La Corte, accogliendo il motivo, ha quindi cassato la sentenza impugnata e ha enunciato i seguenti, chiari, principi di diritto:

L’accertamento del danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno, conseguente a lesioni personali, patito da un soggetto già percettore di reddito, deve avvenire: a) accertando l’entità dei postumi permanenti; b) accertando la compatibilità tra i postumi e l’impegno fisico o psichico richiesto dalle mansioni svolte dalla vittima; c) valutando se l’eventuale incompatibilità tra postumi e mansioni comporti, in atto od in potenza, una presumibile riduzione patrimoniale.

Deve invece escludersi che gli accertamenti suddetti possano compiersi in abstracto, chiedendo al medico-legale di quantificare in punti percentuali la c.d. ‘incapacità lavorativa specifica’, e moltiplicando il reddito perduto per la suddetta percentuale”.

Sebbene il danno da lucro cessante causato dall’incapacità di lavoro possa dimostrarsi anche col ricorso alle presunzioni semplici, deve escludersi ogni automatismo tra il grado percentuale di invalidità permanente e l’esistenza del suddetto danno”.

CONCLUSIONI

L'ordinanza in commento ha il pregio di una chiarezza espositiva e di una forza argomentativa che non lasciano spazio a dubbi interpretativi. La bocciatura del criterio "percentualistico" non è una mera questione formale, è una scelta di metodo che impone un ritorno alla concretezza e all'individualizzazione del risarcimento. Il giudice è chiamato a un'analisi rigorosa e fattuale, basata sulle prove offerte dalle parti e su presunzioni gravi, precise e concordanti, e non su comode ma fallaci scorciatoie numeriche.

Questa decisione rappresenta una tutela fondamentale sia per il danneggiato, che ha diritto a un risarcimento integrale del danno effettivamente subito, sia per il danneggiante, che non può essere condannato sulla base di automatismi privi di riscontro probatorio.

Avv. Alessia Rosanna E. Nuovo Avv. Nicola Moscatiello

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