La responsabilità per danno erariale in capo a un medico specializzando

La qualifica di medico in formazione non rappresenta uno scudo assoluto rispetto alla responsabilità amministrativa per danno erariale. La Corte dei conti esclude qualsiasi automatismo.

Venerdi 28 Novembre 2025

La recente sentenza della Corte dei Conti, Sez. I App., Sent. n. 139 dell’11/09/2025, ha confermato la condanna di un medico specializzando operante in équipe chirurgica per l'errore che ha portato al decesso di un paziente.

Corte dei Conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d’Appello n. 139 dell’11 settembre 2025

La sentenza esamina il profilo della responsabilità amministrativa per danno erariale in capo a un medico specializzando operante quale componente di un’équipe chirurgica, affermandone la responsabilità per l’errore che ha determinato il decesso del paziente. La pronuncia chiarisce i criteri applicabili alla responsabilità in équipe, definisce l’estensione dei doveri gravanti sul medico in formazione e ribadisce il carattere indisponibile dell’azione erariale.

Il Fatto e il Danno Erariale. Nel 2014, un’équipe medica composta da tre sanitari, tra cui un medico specializzando in chirurgia generale con il ruolo di “terzo operatore”, eseguiva un intervento di emicolectomia. A causa di una “non corretta suturazione metallica”, il paziente sviluppava una peritonite che ne causava il decesso.

A seguito della condanna penale dei medici, la struttura ospedaliera stipulava una transazione con gli eredi del paziente, erogando una somma complessiva superiore a 540.000 euro. Tale esborso è stato qualificato dalla Procura contabile come danno erariale indiretto, per il quale è stata esercitata l’azione di responsabilità nei confronti dei tre medici. Mentre i due medici strutturati definivano la propria posizione con un rito abbreviato, il medico specializzando veniva condannato in primo grado a risarcire una quota del danno; proponeva quindi appello, contestando la propria responsabilità.

I Motivi di Appello e la Decisione della Corte. L’appellante basava la propria difesa su quattro motivi principali, tutti respinti dalla Corte dei conti.

1. Rinuncia all’azione di regresso e indisponibilità dell’azione erariale. L’appellante sosteneva che l’atto di transazione tra l’azienda sanitaria, gli eredi e i medici contenesse una clausola di rinuncia a “qualsivoglia ulteriore diverso diritto e/o azione”: questa rinuncia avrebbe dovuto precludere l’azione della Procura contabile. La Corte ha rigettato questo motivo, affermando due principi fondamentali:

-) La “causa” della transazione: sotto il profilo causale la transazione aveva lo scopo di definire la lite civile intentata dagli eredi, ma non riguardava l’ipotetico giudizio per danno erariale, del tutto estraneo a quello azionato dai congiunti del paziente deceduto.

-) L’indisponibilità del credito erariale: anche qualora l’accordo avesse previsto una rinuncia, questa sarebbe stata inefficace. La tutela del credito erariale è affidata all’iniziativa «esclusiva, anche indisponibile e, come tale irrinunciabile» della Procura della Corte dei conti, posta a presidio dell’interesse generale. Le parti private, inclusa l’amministrazione danneggiata, non possono disporre di diritti indisponibili come quello al risarcimento del danno erariale.

2. Responsabilità dell’equipe e ruolo dello specializzando. L’appellante contestava la sussistenza della colpa grave e del nesso di causa, evidenziando il suo ruolo di medico specializzando e di “terzo operatore”, il cui compito materiale era consistito solo nel “mantenere aperto e libero il campo operatorio”; sosteneva altresì di non aver eseguito la sutura e di non avere alcun obbligo di vigilanza sull’operato dei medici tutor, essendo egli stesso un discente. La Corte ha respinto integralmente queste argomentazioni, basandosi su diversi elementi:

-) l’efficacia del giudicato penale: la condanna irrevocabile per omicidio colposo pronunciata in sede penale ha efficacia di giudicato nel giudizio amministrativo per quanto riguarda l’accertamento del fatto, la sua illiceità e la sua commissione da parte dell’imputato, ai sensi dell’art. 651 c.p.p.;

-) il principio di responsabilità d’equipe: la giurisprudenza consolidata afferma che ogni membro di un’équipe medica è tenuto non solo a rispettare le proprie specifiche mansioni, ma anche a osservare un obbligo di controllo reciproco per evitare errori comuni. Non ci si può esimere da responsabilità invocando il “principio di affidamento” sull’operato altrui quando l’attività è corale;

-) la natura dell’errore: Le indagini tecniche (CTU) avevano accertato che non si trattò di una deiscenza (riapertura spontanea), ma di una totale assenza della sutura. Tale mancanza era “facilmente visibile” da tutti i componenti dell’équipe, perché l’intervento prevedeva la manipolazione manuale dei visceri a cielo aperto. La Corte ha sottolineato che: «È infatti dovere del chirurgo operatore e della equipe porre in atto, durante l’intervento, un costante e vigile controllo sul buon funzionamento delle apparecchiature mediche utilizzate e sul raggiungimento del loro scopo e della loro funzione»;

-) la responsabilità dello specializzando: la Corte ha analizzato la normativa sulla formazione specialistica (D. Lgs. 368/1999), concludendo che il medico specializzando non è un mero osservatore. La sua formazione implica la «partecipazione guidata alla totalità delle attività mediche» e la «graduale assunzione di compiti assistenziali». La sua responsabilità va valutata in concreto, considerando il livello di formazione raggiunto e la difficoltà della prestazione. Nel caso specifico: (i) L’appellante era al penultimo anno di specializzazione in chirurgia, quindi non un neofita; (ii) l’errore consisteva nella mancata rilevazione di un’omissione (l’assenza di punti metallici) che era “facilmente visibile” e il cui controllo era alla portata di qualsiasi medico, non richiedendo una particolare perizia; (iii) Il dovere di verificare l’avvenuta suturazione era un “adempimento proprio” di ciascun operatore, non un atto di supervisione verso i colleghi più esperti.

3. Nesso di causa L’appellante sosteneva infine che l’evento dannoso fosse stato causato esclusivamente dalla condotta degli altri due medici. La Corte ha applicato il principio della causalità omissiva: per questa tipologia di illecito «il riscontro del nesso di causalità si articola (c.d. procedimento di eliminazione mentale) “secondo la tradizionale ‘doppia formula’, nel senso: che

a) la condotta umana “è” condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti, l’evento non si sarebbe verificato;

b) la condotta umana “non è” condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente mediante il medesimo procedimento, l’evento si sarebbe egualmente verificato».

Conclude quindi che «con riguardo al caso di specie, emerge oltre ogni ragionevole dubbio che, qualora il dott. Omissis avesse segnalato ai colleghi la mancata sutura dell’ansa colica distale, essi avrebbero agevolmente potuto e dovuto, per come emerge chiaramente nella richiamata CTU, procedere all’adempimento anche mediante sutura manuale. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto nell’atto di appello, il comportamento del primo operatore (commissivo ed omissivo) e quello del secondo operatore (omissivo) non possono ritenersi quali causa esclusiva dell’evento, costituendo invece cause eziologicamente concorrenti con l’omissione ascrivibile al dott. Omissis» Va detto poi che - sul piano della graduazione della responsabilità - sia la sentenza impugnata, sia - prima ancora - la Procura regionale della Corte hanno comunque riconosciuto il differente apporto causale (e la peculiarità del caso concreto con riguardo allo specializzando), prevedendo una marcata differenziazione tra i diversi compartecipi nella ripartizione del danno, (circa 29.000 euro) rispetto ai colleghi più esperti (400.000 e 150.000 euro), e tenendo conto del suo ruolo subordinato nell’equipe.

Conclusioni. La Corte dei conti chiarisce comeGli specializzandi, pur essendo in formazione, mantengono specifici doveri di diligenza commisurati alle loro competenze e al loro livello formativo.

Nell'equipe chirurgica tutti i componenti, indipendentemente dal loro grado di esperienza, hanno il dovere di vigilare sulla corretta esecuzione dell'intervento e di segnalare errori evidenti, contribuendo così alla sicurezza del paziente e alla tutela dell'interesse pubblico alla corretta gestione delle risorse sanitarie. La normativa di riferimento, in particolare la Legge Gelli-Bianco (L. n. 24/2017), conferma che l’azione di responsabilità amministrativa può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave, ma la sentenza evidenzia che anche uno specializzando possa incorrere in tale forma di responsabilità quando la sua condotta omissiva contribuisce a un danno evitabile.


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