Resistere in giudizio con dolo, colpa grave e condotta processuale scorretta: condanna ad una doppia somma risarcitoria.

Venerdi 9 Dicembre 2016

La vicenda, trattata dal Tribunale di Genova e conclusa con sentenza del 28 ottobre scorso, nasce da una domanda di convalida di sfratto per morosità relativa a un contratto di locazione non abitativa di un immobile ad uso albergo sfociata, in fase sommaria, con ordinanza di rilascio.

Nella successiva fase di merito, il convenuto dichiarava di essere carente di legittimazione passiva poiché avrebbe, precedentemente alla notifica dell'intimazione, ceduto il contratto di affitto d'azienda ad altra società.

In realtà, in giudizio, mai è stata prodotta la comunicazione che, per Legge, deve essere inviata a mezzo raccomandata a./r., in cui il conduttore mette a conoscenza il locatore della detta cessione; tale lettera, come noto, è necessaria per l'opponibilità ai terzi della nuova situazione contrattuale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 36 L. 392/1978.

A parere del convenuto, però, nonostante l'assenza della comunicazione, l'accettazione tacita della cessione sarebbe comunque stata desumibile da due elementi: il primo – considerato poi di natura temeraria in quanto in contrasto col principio generale di specialità della legge 392/1978 - costituirebbe la presunzione assoluta di conoscibilità ex lege derivante dall'iscrizione dell'atto nel competente registro delle imprese, ai sensi degli articoli 2193, secondo comma e 2556 c.c.

Il secondo, invece, si baserebbe sull'affermazione del convenuto relativa alla circostanza che alcuni canoni sarebbero stati pagati direttamente dal nuovo conduttore: fatto poi non provato in atti e conseguentemente configurato dal Giudice come condotta scorretta.

La morosità risultava pacificamente agli atti e, peraltro, nemmeno contestata in quanto giustificata dalla presenza di contestuali presunti crediti da compensare a favore del convenuto; in realtà in istruttoria era addirittura emerso che era stato sottoscritto un atto di trascrizione in cui le parti si davano reciproche quietanze a chiusura di una vicenda riguardante problematiche presenti nel solaio: qui si è rilevato il terzo comportamento del convenuto in spregio all'art. 88 c.p.c. che pretende che la condotta delle parti processuali non sia contraria a lealtà e probità.

Parimenti non sono state considerate rimborsabili le spese relative agli scarichi fognari in ragione della previsione dell'art. 10 del contratto sottoscritto sulle modifiche e innovazioni compiute spontaneamente dal conduttore.

Tutte le domande dell'intimato, compresa quella relativa al risarcimento dei danni per presunta interruzione dell'attività alberghiera – per l'ennesima volta mancante di prova – sono state respinte al pari della domanda riconvenzionale di risarcimento danni per lite temeraria: risultando, come visto, se mai, temerarie le stesse eccezioni proposte dal convenuto.

Peraltro anche la società terza intervenuta, dalla quale l'azienda e la locazione erano già state riacquistate ai tempi della notifica dello sfratto, e dunque totalmente priva di legittimità passiva, ha svolto le medesime domande poi ritenute di natura temeraria ai sensi dell'art. 96 c.p.c

La Corte di Cassazione, al fine di liquidare il danno di cui sopra, si è rifatta ai parametri della c.d Legge Pinto che quantifica tra gli € 1.000,00 e gli € 1.500,00 di risarcimento per ogni anno di causa ingiustamente subita (Sentenze n. 24647/2007, n. 10606/10, n. 20995/11): in ragione di ciò la convenuta principale è stata condannata al pagamento dal deposito della comparsa di costituzione e risposta mentre la terza intervenuta dal deposito dell'atto volontario d'intervento e quindi, rispettivamente, per il decorso di 7 e 5 anni di causa.

Quanto alla richiesta di condanna anche in relazione al terzo comma dell'art. 96 c.p.c., il Giudicante ha ragionato tenendo conto dei seguenti elementi:

1. il terzo comma trova applicazione in presenza degli stessi elementi oggettivi e soggettivi di cui al primo, ovvero agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave, distinguendosi solo dal fatto che il terzo può essere rilevato anche d'ufficio (Cassazione n. 21570/2012 e Tribunale di Verona sentenza 28.2.14);

2. è necessaria la contemporanea violazione dell'art. 88 c.p.c. e quindi aver omesso i doveri di lealtà e probità (Tribunale di Terni 17.5.2010);

3. la sua natura è sanzionatoria (simile ai “punitive damages” del sistema anglosassone), configurandosi quindi una sanzione per la parte soccombente che ha abusato del processo (Tribunale di Rovigo 7.12.10 e Tribunale di Varese 22.1.11).

Ciò premesso il Giudice ligure ha visto la possibilità di applicare, al caso di specie, congiuntamente entrambi i commi: il primo, infatti, prevede una condanna per aver agito o resistito con colpa grave o dolo; il terzo, invece, colpisce chi, risultato poi soccombente, ha tenuto una condotta processuale scorretta.

Pertanto la somma che si condanna a pagare, ai sensi dell'art. 96 c.p.c. nel suo complesso, è di duplice natura: tutela l'interesse del singolo al ristoro dei danni subiti dal comportamento di controparte (funzione compensativa) ed anche l'interesse della collettività affinché siano punite come monito le singole condotte processuali scorrette anche e soprattutto in un'ottica di prevenzione generale (funzione sanzionatoria).

Consequenzialmente ed in virtù della condanna per lite temeraria, il Giudice ha poi provveduto, in maniera non certamente usuale, sulla liquidazione degli onorari dei procuratori: per parte vittoriosa, infatti, che, nonostante la manifesta temerarietà delle difese di controparte, ha svolto argomentazioni fondate, ha concesso l'aumento massimo di un terzo del compenso previsto dall'art. 4 comma 8 del DMG del 10.3.14; al legale del soccombente, invece, è stata comminata una riduzione del 50% dell'onorario rispetto ai valori medi, in ottemperanza all'art. 4 comma 9 del decreto ministeriale citato.

Allegato:

Pagina generata in 0.027 secondi