Rendiconto condominiale: principio di cassa o di competenza, il dibattito continua

Avv. Sandro Contento.

L’argomento della contabilità condominiale è da tempo che genera fibrillazione tra i cultori della materia, anche a causa di contrasti tra alcune pronunce di merito giunte dal tribunale capitolino, attestatosi sul criterio di cassa puro, e altre produzioni giurisprudenziali (tra cui si segnalano, in epoca recente, C.App.Milano 03/03/2015 n°979, Trib. Catania 12/04/2017, Trib. Brescia n°643 del 18/03/2020), che hanno invece preferito il criterio di competenza (rectius misto cassa competenza, giacchè le entrate comunque vengono appostate nel bilancio d’esercizio in cui si è concretamente verificato il relativo movimento finanziario in conto corrente, e quindi per cassa, mentre sono le uscite ad essere appostate nell’anno gestionale di competenza, anche se non vi è ancora il relativo movimento finanziario dal conto corrente).

Giovedi 2 Dicembre 2021

Ed è fuor di dubbio che le contrastanti decisioni trovino tutte radice comune nella mancanza di una previsione normativa al riguardo, scelta precisa sia del legislatore del Codice Civile, sia di quello della Riforma del 2012 che ha voluto mantenere inalterata l’assenza di previsione normativa sul criterio contabile di rendicontazione, replicando così il contenuto della norma generica in tema di mandato, cioè l’art.1713 c.c. (rubricato “obbligo di rendiconto”) che appunto non detta alcuna regola.

Tornando al nostro più ristretto campo d’indagine, l’art.1130 bis rubricato “rendiconto condominiale” reca il segno della recente novella legislativa, che ha ammodernato il “vecchio” rendiconto ante-Riforma introducendo alcuni documenti aggiuntivi che concorrono alla sua formazione, vale a dire: 1) il registro di contabilità, 2) il riepilogo finanziario e 3) la nota sintetica esplicativa.

Sempre nel silenzio del legislatore sulla questione del criterio contabile di confezionamento del rendiconto condominiale (silenzio voluto, a questo punto, visto che durante l’iter parlamentare del DDL 71 -poi sfociato nella L.202/2012- il testo dell’art.1130 bis c.c. licenziato in Commissione Giustizia al Senato prevedeva che il rendiconto dovesse essere redatto secondo il criterio di competenza, previsione poi espunta dalla Camera dei Deputati come si apprende dossier illustrativo del disegno di legge A.S. n.71-355-399-1119-1283-B recante “Modifiche alla disciplina del condominio degli edifici”), continuano perciò a coesistere, all’interno della giurisprudenza di merito, statuizioni contrastanti, aderenti ora all’una, ora all’altra corrente di pensiero.

In particolare, per l’obbligatorietà del criterio di cassa si è pronunziato più volte il Tribunale capitolino (a partire da Trib.Roma, sez.V, 02/10/2017).

Al contrario, la Corte d’Appello di Milano (sent.979 del 03/03/2015), riconoscendo che la norma codicistica non stabilisce le modalità ed i criteri ai quali debba attenersi l’amministratore nella redazione del rendiconto, ha ritenuto che “Nel contrasto che ha agitato dottrina e giurisprudenza circa il criterio da adottare circa il criterio per cassa e quello per competenza, da tempo si è pervenuti alla individuazione relativa alla necessità di adottare un criterio per così dire misto, ispirato comunque al rispetto del principio della comprensibilità da parte dei condomini, i quali devono sempre avere chiarezza delle spese erogate nella gestione per cui si chiede l’approvazione, tenendo peraltro presenti quelle che, benchè riferentesi a servizi resi nella gestione oggetto della delibera, dovranno essere concretamente sostenute in quella successiva. Ciò, si è osservato, anche al fine di salvaguardare coloro che, nelle more tra un esercizio e un altro, dovessero acquisire la proprietà di un immobile sito nel condominio”.

Su questa scia, già condivisa da non pochi Tribunali (Catania e Brescia, con le decisioni richiamate in apertura, e Trieste, con la decisione poi confermata dalla sentenza d’appello qui in commento) si è recentemente posta la Corte d’Appello di Trieste, con la sent. n.367 dd.29/06/2021 (pubblicata il 13/10/2021), cui va riconosciuto il merito di aver lucidamente tenuto conto di un aspetto divenuto oggi fondamentale, e cioè che il moderno rendiconto condominiale non è più solo costituito dal tradizionale documento contabile finale che tutti conosciamo, ma richiede anche la presenza di tre specifici elaborati che sono: 1) il registro di contabilità; 2) il riepilogo finanziario e 3) la nota sintetica esplicativa della gestione.

Il rendiconto condominiale -ha dunque argomentato la Corte distrettuale triestina- ha pertanto ormai una struttura complessa e si compone di diversi documenti, che non si prestano, per loro natura, ad essere redatti secondo un unico criterio, di cassa o di competenza. Così, mentre il registro di contabilità presuppone l’adozione del criterio di cassa (dovendo in esso essere annotati in ordine cronologico i singoli movimenti di entrata ed uscita….), la situazione patrimoniale esige la rilevazione e registrazione di fatti contabilmente rilevanti secondo il criterio di competenza (…)”.

Secondo la Corte giuliana, “Il legislatore -non essendo il rendiconto condominiale equiparabile al bilancio societario- non ha determinato in modo rigido la modalità di esposizione dei dati, mantenendo una parziale libertà di forma, e prevedendo la redazione di un documento volto a fornire ai condomini un’indicazione chiara e completa della gestione condominiale e della situazione patrimoniale del condominio”.

Ricevono così massimo apprezzamento i requisiti di trasparenza, intelligibilità e chiarezza da sempre valorizzati e giustamente pretesi dalla Suprema Corte con la congrua corrispondenza rispetto ai documenti di entrata ed uscita (cfr.Cass.n.8877/05), senza però sottoporre l’amministratore a rigidi vincoli di tecnica contabile, non a caso sempre evitati dal legislatore.

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