Principio di ultrattività del rito nell'appello.

Con l’ordinanza n. 20705/2018, pubblicata il 9 agosto 2018, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al tipo di rito da applicare nel proporre appello avverso una sentenza emessa al termine di un giudizio trattato erroneamente con il rito ordinario anziché con quello speciale. Secondo gli Ermellini, in questo caso, in appello vanno applicate le forme del rito ordinario e pertanto il gravame va proposto con citazione e non con ricorso.

Giovedi 23 Agosto 2018

IL CASO: nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto intimazione di sfratto per morosità relativa ad immobile concesso in locazione per uso non abitativo, una volta pronunciata l’ordinanza di rilascio e disposto il mutamento del rito, il conduttore formulava, con la memoria integrativa, domanda riconvenzionale chiedendo il risarcimento del danno per comportamento contrario alla buona fede da parte dei locatori che, secondo il conduttore avevano interrotto, senza giustificato motivo, le trattative con lo stesso conduttore ed i potenziali cessionari dell’azienda e conseguentemente era venuto meno l’affare.

Al termine del giudizio veniva dichiarata la risoluzione del contratto di locazione e la domanda riconvenzionale veniva rigettata. La sentenza di prime cure veniva impugnata dal conduttore limitatamente alla parte relativa al rigetto della domanda riconvenzionale. Il gravame veniva dichiarato inammissibile in quanto, secondo la Corte territoriale, era stato, erroneamente, proposto con citazione, anziché con ricorso come previsto per il rito del lavoro seguito dalla causa, essendo stata formulata la domanda riconvenzionale nell’ambito di una procedura intrapresa con intimazione di sfratto per morosità, e che la citazione in appello era stata depositata oltre il termine dei sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza.

Pertanto, avverso la sentenza di secondo grado, il conduttore proponeva ricorso per Cassazione, deducendo, fra l’altro, violazione e falsa applicazione dell’art. 40 cod. proc. civ. Secondo il ricorrente, in base al terzo comma del suddetto articolo, nel caso di cause cumulativamente proposte il rito speciale prevale solo in presenza della materia del lavoro o di previdenza ed assistenza obbligatoria e che il caso di specie non rientrava nella detta materia, sicché la notifica dell’appello era da considerarsi tempestiva.

LA DECISIONE: Gli Ermellini hanno ritenuto il ricorso infondato e nel rigettarlo hanno evidenziato che secondo quanto statuito dagli stessi giudici di legittimità in altre arresti “Ove una controversia sia stata erroneamente trattata in primo grado con il rito ordinario, anziché con quello speciale, le forme del rito ordinario debbono essere seguite anche per la proposizione dell’appello, che, dunque, va proposto con citazione ad udienza fissa. Se, invece, la controversia sia stata trattata con il rito speciale anziché con quello ordinario, la proposizione dell’appello segue le forme della cognizione speciale. Ciò , in ossequio al principio della ultrattività del rito, che – quale specificazione del più generale principio per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell’apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell’azione e del provvedimento compiuta dal giudice – trova specifico fondamento nel fatto che il mutamento del rito con cui il processo è erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice (Corte di Cassazione, n. 682 del 2005; Corte di Cassazione n. 15897 del 2014)”.

Allegato:

Pagina generata in 0.076 secondi