I percorsi di giustizia riparativa nel procedimento penale minorile: brevi cenni normativi.  

Avv. Federica Ascione.

Il coinvolgimento di un minore in fatti penalmente rilevanti è espressione quasi sempre di un suo conflitto interiore che si esternalizza contro un altro soggetto e contro la società.

Mercoledi 19 Febbraio 2020

Coloro i quali si trovano a confrontarsi con tali situazioni debbono avere strumenti e mezzi che permettano di affrontare, riconoscere e gestire il conflitto,  individuandone le conseguenze e contribuendo in tal modo a mettere in atto condotte volte alla attenuazione e/o eliminazione del danno e del pericolo provocato.

Il fine da raggiungere deve essere quello di favorire la ricostituzione nel minore di un clima di fiducia nell’altro ed in sé, nonché a ripristinare la condivisione delle regole e dei valori fondamentali del vivere comune. Le forme di giustizia ripartiva si pongono come forme di giustizia alternativa rispetto a quella classica e mirano ad offrire al minore i mezzi per affrontare il conflitto in prima persona in un clima di confronto con la persona offesa .

Il sistema penale tradizionale,”autoritativo” orientato all’applicazione della sanzione penale classica, guarda al passato perché è volto a ricostruire il reato e produrre prove che il giudice utilizza per emettere una sentenza, cristallizzando persone, fatti e ruoli. Il percorso di giustizia riparativa  è un modello alternativo di giustizia penale che guarda al futuro, restituisce alle persone coinvolte il senso della propria dignità ed unicità , rimettendo in moto la loro storia; lo Stato rinuncia alla pretesa punitiva perché dopo il fatto-reato viene posta in essere una condotta volta alla rimozione dell’offesa.

Sulla base di tale premesse, in Italia, il 17 dicembre 2018 l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha reso pubblico il documento di studio e di proposta intitolato “La mediazione penale e altri percorsi di giustizia riparativa nel procedimento penale minorile”con lo scopo di far chiarezza e facilitare il confronto tra l’amministrazione della giustizia intesa nella sua forma classica e quella riparativa, in modo da promuovere processi di consapevolezza negli operatori del diritto e per la prima volta porre l’attenzione anche alla figura della vittima.

Con il decreto legislativo 2 ottobre 2018 n.121 si colma il vuoto legislativo in materia di esecuzione della pena nei confronti dei condannati minorenni. La pena deve avere uno scopo educativo  incentivando la responsabilizzazione del minore all’interno della comunità e rafforzando le sue relazioni con il mondo esterno. Il comma 2 dell’art.1 del predetto decreto stabilisce le finalità cui mira l’esecuzione penitenziaria minorile:”L'esecuzione della pena detentiva e delle misure penali di comunita' deve favorire percorsi di giustizia riparativa e di mediazione con le vittime di reato. Tende altresi' a favorire la responsabilizzazione, l'educazione e il pieno sviluppo psico-fisico del minorenne, la preparazione alla vita libera, l'inclusione sociale e a prevenire la commissione di ulteriori reati, anche mediante il ricorso ai percorsi di istruzione, di formazione professionale, , di educazione alla cittadinanza attiva e responsabile, e ad attivita' di utilita' sociale, culturali, sportive e di tempo libero”.

La necessità di un intervento normativo in tal senso era stato richiesto già dalle linee guida del Consiglio d’Europa del 2010, dalla Convenzione del Consiglio d’ Europa sull’esercizio dei diritti dei minori del 1996 e dalla stessa Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989 ( artt.12 e 40 in particolare). Su sollecito dell’Unione Europea e del Consiglio d’ Europa si è reso quindi opportuno inserire il concetto di “restorative justice” nel sistema processuale minorile. Il“Child friendly justice” ha l’obiettivo di rappresentare varie realtà, tutte accumunate dal fatto di essere orientate ad introdurre un modello alternativo di giustizia riparativa. Le organizzazioni internazionali hanno alternato l’hard law ed il soft law ponendo un raccordo tra l’accertamento dei fatti e l’esigenza educativa del giovane; si è cercato di dare spazio a sistemi di giustizia “diversi”, responsabilizzanti e costruttivi, persino dialogici, abbandonando il sistema punitivo classico autoritativo e favorendo un modello consensuale, partecipativo che “esalta” il ruolo della persona offesa, garantendo i principi e le garanzie che disegnano il volto costituzionale del diritto e della giustizia penale.

L’art. 31 comma II della nostra Costituzione prevede espressamente “proteggere l’infanzia e la gioventù, favorendo istituti necessari allo scopo”. Cardine della giustizia a misura del minorenne vittima del reato è la protezione della “vittimizzazione secondaria” e ripetuta mediante una considerazione sensibile ed individualizzata della vulnerabilità e delle specifiche esigenze di protezione dell’offeso, unitamente al riconoscimento del diritto all’informazione e al sostegno.

Già nel 1985 con le Regole di Pechino sono state gettate le basi per creare una legislazione che si inserisse all’interno della amministrazione della giustizia minorile. In particolare l’art.5 prevede espressamente “ Il sistema di giustizia minorile deve avere per obiettivo la tutela del giovane ed assicurare che la misura adottata nei confronti del giovane sia proporzionata alle circostanze del reato e dell’autore stesso”; ancora il primo comma dell’art.11 stabilisce che “Dovrebbe essere considerata l’opportunità, ove possibile, di trattare i casi dei giovani che delinquono senza ricorrere al processo formale da parte dell’Autorità competente prevista dall’art.14 , I comma”. Sulla base di tale assunto normativo, si è tracciato il percorso per risolvere con una procedura extra- giudiziaria le vicende di un minorenne che delinque. L’art.40 della Convenzione di New York del 1989 ha sancito il principio del preminente interesse e della speciale protezione del fanciullo e dell’adolescente. La Convenzione, infatti, oltre ad essere un valido strumento di promozione e protezione dei diritti dell’infanzia, rappresenta un’utile fonte normativa per sollecitare, nell’ambito degli ordinamenti dei singoli Stati, una modifica all’applicazione della pena nella sua accezione classica, indicando vie e contesti  per lo sviluppo umano della personalità dei più giovani.

La Raccomandazione n. 20 del Comitato dei Ministri del 1987 ha stabilito che il sistema penale dei minori deve favorire, ove possibile, la rapida fuoriuscita dal circuito giudiziario, anche incoraggiando la ricomposizione del conflitto mediante forme di “diversion” e “ mediation”, al fine di favorire il graduale abbandono della pena detentiva e l’incremento di misure alternative alla detenzione, applicando quelle misure che comportano la riparazione del danno causato o la prestazione di  lavori di pubblica utilità, adatto all’età del giovane e alle finalità educative dell’intervento.

La Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, stipulata a Strasburgo il 25/01/1996, ha costituito per l’ Europa un vero traguardo in tema di mediazione minorile: l’art. 13 esorta gli Stati membri a dare attuazione alla procedura di mediazione e di ogni altro metodo di risoluzione dei conflitti volti ad un raggiungimento dell’accordo; ciò al fine di evitare ove possibile procedimenti giudiziari riguardanti i minori. La Direttiva 2012/29/UE ha fornito norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime del reato, stabilendo che le più efficaci risposte istituzionali non si trovano nel processo ma soprattutto “fuori” e “prima” di esso, mediante interventi di risocializzazione e supporto, che, pur nella cornice del processo, aiutino il minore ad individuare percorsi di superamento dell’episodio deviante e/o di ritessitura delle relazioni sociali da esso lacerate. L’art. 1 della Direttiva in particolare ha dettato la definizione di “giustizia riparativa” come qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente alla risoluzione di questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale.

I programmi di giustizia ripartiva sono volti a progettare azioni consapevoli e responsabili che vittima e reo liberamente devono porre in essere al fine di provare a creare un legame fiduciario tra di loro e con la società. Il nostro legislatore nell’elaborazione del nuovo processo penale minorile approvato con il DPR 448/88 ha tenuto conto delle sollecitazioni della Carta Costituzionale e dalle organizzazioni internazionale. L’art. 9 del predetto DPR prevede in primis che vi sia da parte del Giudice un accertamento sulla personalità del minore che permetta di costruire, per la prima volta, una solida base per strategie d’intervento modellate sulle necessità concrete del minore stesso. Il legislatore ha voluto quindi sottolineare come lo scopo del processo penale minorile non sia esclusivamente quello di accertare i fatti e le responsabilità del reo, ma anche di analizzare la personalità del minore che abbia commesso un reato, ridurre il più possibile i rischi derivanti dal contatto col sistema giudiziario, assicurare la specializzazione degli operatori della giustizia minorile.

Spazi per l’applicazione di pratiche riparative sono previste già dall’art.20 del DPR 488/88 in tema di esecuzione di misure cautelari personali con l’introduzione di prescrizioni di studio, di lavoro e comunque utili per l’educazione del minore. L’art.27 stabilisce poi come sia possibile una pronuncia di declaratoria di irrilevanza del fatto, purché risultino la tenuità del fatto medesimo, l’occasionalità del comportamento e il pericolo di un pregiudizio – nel caso in cui venisse seguito l’iter processuale ordinario – delle esigenze educative del minore.

L’art. 28 del DPR offre un ulteriore strumento per la mancata applicazione della pena nella sua accezione classica che è la sospensione del processo con messa alla prova. La parentesi extra processuale della messa alla prova minorile potrebbe dare il corso alla procedura di mediazione penale o di altre forme di giustizia riparativa, il cui esito positivo potrebbe avere come conclusione la dichiarazione di estinzione del reato per esito favorevole della probation. In sintesi, mediare significa, soprattutto, aiutare a ricostruire una relazione, così che entrambe le parti, reo e vittima riescano a gestire le loro emozioni ed il conflitto che esso ha scaturito in modo diverso, ciò può avvenire solo grazie ad un confronto libero e spontaneo.

Emerge chiaramente da quanto sopra illustrato come la comunità internazionale abbia sentito la necessità di fornire una risposta preventiva, educativa e personalizzata alle condotte criminose di un minore. In Italia, come in molti altri Paesi europei, gradualmente si sta diffondendo l’esigenza di una amministrazione della giustizia penale minorile orientata al recupero e non repressiva. Alla luce delle ricerche che sono state oggetto di studio, emerge che l’istituto della mediazione minorile si deve inquadrare all’interno di quelle pratiche di restorative justice che sono la risposta efficace alla conflittualità sociale; soltanto, un reale intervento sui minori può contrastare le pulsioni negative che sono fonte di violenza e di ingiustizia.  

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