Omessa impugnazione degli atti presupposti e prescrizione della pretesa esattoriale

Lunedi 3 Giugno 2019

In materia di prescrizione della pretesa esattoriale, con la sentenza n. 23397/16, depositata il 17 novembre, la Suprema Corte di legittimità a Sezioni Unite ha affermato i seguenti principi di diritto:

  1. «la scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui all’art. 24, comma 5, d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo l’art. 3, commi 9 e 10, l. n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c..

    Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.

    Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che da 1° gennaio 2011 ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (art. 30, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge n. 122 del 2010)»;

  2. «è di applicazione generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c..

    Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Provincie, dei Comuni e degli altri Enti locali nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via, con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo come una sentenza passata in giudicato».

    La sentenza in commento richiama altra sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 25790/09, con la quale viene stabilito che il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative tributarie si prescrive: - entro il termine di dieci anni, se la definitività deriva da sentenza passata in giudicato e ciò per diretta applicazione dell’art. 2953 c.c., che disciplina specificamente e in via generale la c.d. actio iudicanti; - entro il termine di cinque anni, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile e ciò in ossequio a quanto previsto dall’art. 20, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario.

    In ragione dei principi sopra riportati, ci troviamo di fronte alle difese del Concessionario per il quale la mancata contestazione del diritto alla riscossione, rappresentata dalla mancata opposizione avverso l’atto presupposto (cartella e/o intimazione), determinerebbe una sorta di quiescenza rispetto alla pretesa avanzata dal creditore, così che dovrebbe ritenersi inammissibile la proposizione, in un momento successivo, della eccezione di prescrizione da parte del debitore. Tale tesi non appare condivisibile perché, dalla  mancata impugnazione di una cartella esattoriale, ovvero di una intimazione, non può desumersi in maniera certa che il debitore non abbia interesse a contestare l'esistenza dell'obbligazione, per avere intenzione di eccepirla successivamente (C. 10129/2000; C. 8304/1996); per questo, non può  ritenersi integrata con la mancata impugnazione di una cartella, ovvero di una intimazione di pagamento, una rinuncia  tacita  alla prescrizione disciplinata dall’art. 2937c.c.

    Nemmeno potrebbe, infatti, ritenersi ricorrente un’ipotesi di rinuncia tacita alla eccezione di prescrizione, nel caso in cui il debitore avesse richiesto alla controparte di fornire informazioni sull'entità delle pretese creditorie (C. 8217/2007). La rinuncia tacita consiste in un comportamento del debitore, positivo o negativo, dal quale emerge inconfutabilmente la volontà di non avvalersi della prescrizione già compiuta (C. 8304/1996) e di considerare ancora esistente il diritto altrui (C. 14909/2002; C. 10235/2002).

    Ne consegue che anche qualora sia stata omessa l'impugnazione degli atti presupposti ritualmente notificati, il contribuente può eccepire, nella opposizione alla esecuzione, la prescrizione maturata prima di tali atti, dovendosi escludere che l'omessa impugnazione integri quel comportamento inequivocabile idoneo ad attestare la rinuncia all'eccezione. 

Allegato:

Cassazione|Sezione U|Civile|Sentenza 17 novembre 2016 n. 23397

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