Jacqueline Morineau ed i vari modelli di mediazione penale

Avv. Federica Ascione.

Jacqueline  Morineau ha fondato nel 1984 a Parigi, il CMFM,  Centre de Médiation et de Formation à la Médiation, con lo scopo di promuovere e curare i servizi e le attività di mediazione in ambito sociale, scolastico, familiare e penale ed ha posto le basi del pensiero umanista “del saper vivere bene insieme” nel rispetto delle altrui differenze, promuovendo la cultura della pace e della risoluzione pacifica dei conflitti.

Giovedi 19 Marzo 2020

Già durante il suo primo anno di vita, la Procura del Tribunale di Parigi aveva affidato al predetto Centro l’incarico di attuare il primo esperimento di mediazione penale. Ad oggi il CMFM ha effettuato oltre 7000 mediazioni nei campi: penale, sociale, familiare e scolastico.

Jacqueline Morineau, referente principale della mediazione e fondatrice del metodo umanista, è stata promotrice di numerosi progetti sia a livello nazionale che europeo e l’esperienza francese si è posta quale modello seguito in vari Paesi. Il metodo umanista, dalla stessa sviluppato, comprende programmi di mediazione tra vittime e autori di reato;  lo scopo è quello di far avvicinare ciò che di regola è considerato inavvicinabile, ossia la vittima e il reo, e di accogliere ciò che non trova accoglienza nella nostra società, ossia la sofferenza e il disordine.

La mediazione è un contenitore privilegiato per accogliere il disordine, cioè il conflitto, o meglio l’insieme dei sentimenti, delle emozioni e dei vissuti di sofferenza che il soggetto prova rispetto al conflitto. La mediazione non è una tecnica, ma una modalità di conduzione delle relazioni. Il mediatore si pone come “lo specchio” che accoglie le emozioni dei protagonisti –vittima e reo- per rifletterle, è il mezzo che le due parti utilizzano per trovare l’origine del conflitto, riconoscendo le loro responsabilità.

I mediatori devono riuscire ad essere trasparenti e diventare uno specchio limpido per poter ricevere l’immagine dell’altro e della sua sofferenza. La mediazione, quindi per la Morineau, si pone come strumento di riconciliazione tra autori del reato, vittime e società, è il luogo dove la vittima ha la possibilità di gridare il proprio dolore e far emergere i propri bisogni e i propri interessi, mentre, il reo ha la possibilità di rimediare al suo crimine.  Il canale comunicativo offerto dalla mediazione permette alla vittima di avere risposte alle sue domande e di esprimere l’impatto che il reato subito ha avuto sulla sua persona e nella sua vita; l’autore del reato, avrà anche lui la possibilità di confrontarsi con il proprio conflitto interiore, di comprenderlo, avendo la possibilità di compiere un gesto positivo verso il danneggiato. Questo percorso porrà fine al disordine causato dal conflitto e porterà alla costruzione di un nuovo ordine.

La Morineau pone delle similitudini tra l’incontro di mediazione vittima/reo con lo svilupparsi della tragedia greca e la sua drammatizzazione, identificando gli spettatori ed il coro con i mediatori, che si confrontano con la sofferenza dei personaggi, comprendendone il conflitto interiore nello svolgimento degli eventi, percependone il grado di  responsabilità e valutando la loro capacità di cambiare atteggiamento. Il mediatore deve essere accogliente ed empatico, capace di percepire le sofferenze ed il conflitto tra le parti, dando il giusto significato alle parole pronunciate e rispettando i momenti di “silenzio”.

Sulla base di tale accostamento le fasi della mediazione sono tre:

la Theoria, è il momento in cui ciascuna parte espone i propri punti di vista, coincide con la riattivazione della comunicazione scevra da ogni giudizio e tende necessariamente al riconoscimento da parte degli interpreti dei danni cagionati e delle loro colpe.

La Krisis è il momento in cui vi è un confronto diretto tra le parti, in questa fase il mediatore accoglie la sofferenza, i sentimenti delle parti e queste ultime acquisiscono una maggiore coscienza di sé e dell’altro.

La terza fase è la Katarsi, momento in cui il mediatore deve fare da catalizzatore tra le parole espresse dalle parti durante la mediazione, valutarne il loro reale significato, offrendo loro una prospettiva diversa senza imporre mai il suo punto di vista, al fine di trovare una intesa.

La stessa Morineau relativamente all’accostamento della mediazione alla tragedia greca così si esprime «I greci avevano avuto la bella idea di drammatizzare le situazioni e di metterle in scena come strumento di vita. La mediazione è la stessa cosa. La mediazione accoglie il dramma e conduce la sofferenza verso un altro livello. La guarigione può avvenire solo attraverso la cura dell’anima. Se non si raggiunge la dimensione più elevata è molto difficile trovare la pace».

Il mediatore, attraverso le sue domande, sollecita un processo di confronto, abolendo il conflitto e la violenza tra le parti senza lasciare vittime. Il metodo della Morineau è tra i più diffusi ed utilizzati a livello europeo.

Altre esperienze e modelli di mediazione sono noti a livello internazionale. Intorno agli anni ’70 sono stati creati i VORPS, Victim Offender Reconciliation Programs (Programmi di Riconciliazione Autore- Vittima), che hanno avuto uno sviluppo diverso a seconda dello stato di applicazione. Il denominatore comune è che la mediazione si pone come l’incontro tra le parti, gestito da un mediatore (facilitator), che aiuta a superare il conflitto per il raggiungimento di un accordo (reparation agreement).

I punti da valutare in sede di incontro di mediazione sono tre: il fatto reato, le sofferenza causate dal reato e la possibilità di raggiungere un accordo. Prima che le parti si incontrino, il “facilitator” illustra le diverse fasi della mediazione; la vittima è libera di partecipare mentre il reo può essere obbligato per legge o dalla Autorità Giudiziaria. Gli stili previsti da questa forma di mediazione sono due: il direttivo ed il non direttivo.

Il primo prevede un ruolo attivo del mediatore che deve incanalare l’incontro su obiettivi ben precisi,con la inevitabile conseguenza che l’aspetto emozionale è secondario; il mediatore può in tale contesto suggerire l’accordo riparativo alle parti.

Lo stile non direttivo, empowering style, prevede che il mediatore abbia un ruolo più marginale lasciando che le parti possano confrontarsi ed addivenire autonomamente alla soluzione del conflitto. L’intervento del mediatore sarà più incisivo nella fase iniziale, nella quale dovrà incoraggiare le parti a superare eventuali situazioni di blocco della comunicazione. Questo rappresenta il vero ed unico ruolo del mediatore, che una dopo aver riattivato la comunicazione deve intervenire sempre meno, ad esempio, in presenza di situazioni di blocco che non permettono alle parti di proseguire con il confronto, il suo ruolo diventa quindi quello di mettere in luce aspetti ritenuti interessanti da approfondire.

I VORPS prevedono un follow up volto a verificare il rispetto dell’accordo di mediazione da parte del reo e valutare il livello di soddisfazione da parte delle parti coinvolte.

Altri modelli di mediazione sviluppatisi sono Neighborhood Justice, nati intorno agli anni ’70, sono centri extragiudiziari sui conflitti, che utilizzano la mediazione a scopo “preventivo” per la criminalità di quartiere, attraverso lo studio delle cause del conflitto. Per FAMILY GROUP CONFERENCING (FGC) si intendono gli incontri di mediazione a cui partecipano anche le famiglie e le rispettive comunità di appartenenza della vittima e del reo.

La vittima può scegliere liberamente se presentarsi e può farsi rappresentare da un familiare. Partecipano agli incontri oltre al mediatore altre figure professionali, come operatori sociali e rappresentanti della giustizia. Lo stile imposto durante questi incontri è quello non direttivo. La Comunità e la famiglia del reo sono chiamati a svolgere un ruolo funzionale, vigilando sul rispetto dell’accordo di mediazione.

Nel Regno Unito la mediazione penale consta di quattro fasi: la presa in carico dei soggetti, la preparazione della mediazione, gli incontri di mediazione e il follow up. La particolarità dell’istituto, così come praticato nel Regno Unito, riguarda la circostanza che le parti possono scegliere se partecipare alla mediazione in modo diretto oppure in modo indiretto. In questo ultimo caso, le parti non si incontrano direttamente, ciò accade se il reo si trova in imbarazzo nel confrontarsi con la vittima.

Appare evidente, da quanto sopra esposto, come l’istituto della mediazione abbia trovato applicazione con forme diverse a seconda del sistema giudiziario in cui si è inserito.



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