Insidia stradale: il giusto contemperamento tra giustizia correttiva e giustizia redistributiva

Giovedi 4 Maggio 2023

IL CASO

Un centauro percorreva con luce naturale una strada comunale procedendo dietro un camioncino furgonato, quando a causa di una insidia costituita dal manto stradale deformato e dissestato, sbandava, perdeva l’equilibrio e cadeva al suolo.

Incoata azione risarcitoria dal danneggiato per i danni al motociclo e le lesioni personali riportate nell’occorso, in primo grado il Tribunale di Catania accolse la domanda risarcitoria.

A fondamento della decisione, il Giudice di prime cure rilevava che “l’anomalia stradale, per le sue condizioni e il suo stato, non si prestava ad essere prevista dal conducente del motociclo, il quale, per le caratteristiche del mezzo, non può che procedere ad una certa velocità, e ove si trovi di fronte un’area dissestata tanto estesa (7-8 metri), non può facilmente evitarla, rischiando altrimenti di marciare contromano…”.

Ancora, il Giudice di primo grado evidenziava che “il convenuto, inoltre, ha dedotto un concorso di colpa, ma senza delinearne i confini, e senza chiarire quale regola di prudenza, o di comportamento, avrebbe violato l'attore. Il Comune convenuto non ha provato il caso fortuito. Né può sostenersi che il rapporto dei Vigili costituisca prova insufficiente dello stato dei luoghi”.

Pertanto, il Giudice di primo grado accoglieva la domanda risarcitoria proposta dal danneggiato, rilevando che “la circostanza che proprio a causa delle cattive condizioni del selciato, l’attore sia caduto, costituisce una deduzione che risponde al criterio causale del <più probabile che non>, in mancanza, si ripete, di qualsiasi altra causa verosimile del sinistro.”.

La sentenza veniva impugnata dal Comune soccombente e la Corte di Appello di Catania accoglieva l’appello proposto dall’ente, escludendo la responsabilità del Comune di Acireale ex art. 2051 c.c., in ragione dell’imprudente condotta del centauro, la cui efficienza causale, secondo la Corte etnea, era tale da interrompere il nesso di causalità tra la cosa ed il danno, cosicché riformava l’impugnata sentenza alla luce delle considerazioni formulate dall’appellante, ossia perché:

1) il sinistro sarebbe avvenuto in una strada parallela a quella ove il danneggiato aveva la residenza;

2) lo stesso centauro aveva dedotto di aver percorso la strada dietro un furgoncino;

3) il motociclista avrebbe guidato un mezzo per il quale non aveva la prescritta patente.

Il danneggiato ha proposto ricorso per Cassazione, proponendo a sostegno 6 motivi.

Con il primo motivo, il ricorrente ha denunciato la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2051 e 1227 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p., lamentando che la Corte, «pur dichiarando di inquadrare la vicenda nella fattispecie dell’art. 2051 c.c., ha poi finito per scrutinarla secondo i principi propri del paradigma dell’art. 2043 c.c. (in punto di visibilità e prevedibilità dell’insidia) considerando sufficiente ad integrare il caso fortuito la ritenuta condotta colposa del danneggiato, come se la stessa valesse -di per sé sola- ad escludere qualunque nesso condizionante fra la situazione di pacifica pericolosità del tratto di strada in cui avvenne il sinistro e la perdita del controllo del motociclo»; il tutto in contrasto con gli orientamenti di legittimità (richiamando, al riguardo, Cass. n. 2479/2018 e Cass. n. 18753/2017).

Con il secondo motivo (che deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2051, 1227, 2727 e 2729 c.c., 115 c.p.c. e 40 e 41 c.p.), il ricorrente ha censurato la Corte per aver erroneamente presunto che l'attore conoscesse la situazione di pericolo per il fatto che il tratto insidioso si trovasse vicino alla sua abitazione e, altresì, per aver presunto l’inosservanza della distanza prudenziale fra veicoli alla luce della mera circostanza che il motociclista percorreva la strada dietro a un furgoncino che non gli consentiva la visuale della strada.

Con il terzo motivo, il ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 115 e 167, comma II c.p.c. e 2051 e 2697 c.c., censurando la sentenza per avere posto a fondamento dell'accertamento di responsabilità in capo al danneggiato fatti inesistenti e non provati dal Comune di Acireale.

Con il quarto motivo, venivano dedotte la violazione e la falsa applicazione degli artt. 244 e 253 c.p.c. sull’assunto che la Corte ha erroneamente rigettato, ritenendola generica, la prova per testi richiesta dall'attore in merito allo stato di deformazione e di dissesto del manto stradale.

Col quinto motivo, è stata dedotta la violazione e la falsa applicazione degli articoli 24 Cost. e 132 comma 1, numero 4) c.p.c., sulla base del rilievo che la Corte è incorsa in contraddizione affermando l'esistenza di un modestissimo quadro probatorio e, al tempo stesso, non ammettendo la prova per testi articolata dall'attore.

Con il sesto motivo (che deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2051, 2056 e 1227 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p.), il ricorrente ha contestato che il mero contribuito della condotta colposa della vittima alla causazione del danno integri il caso fortuito, assumendo che l’incidenza del concorso colposo del danneggiato deve essere semmai valutato ai sensi dell'art. 1227 c.c..

LA DECISIONE

Il Supremo Collegio ha sentito l’esigenza di mettere la parola fine in una materia dove ancora oggi impera estrema confusione e disordine interpretativo dei giudici di merito (nonostante il recente intervento nomofilattico del Supremo Collegio con la decisione delle Sezioni Unite n.20943 del 30/06/2022) affermando, testualmente, la “necessità di apportare un definitivo contributo chiarificatore sulla materia in trattazione”.

L’attuale statuto della responsabilità del custode, secondo il Supremo Collegio, riposa su elementi di fatto individuati tanto in positivo, cioè la dimostrazione che il danno è in nesso di derivazione causale con la cosa in custodia, quanto in negativo, cioè l’inaccettabilità di una mera presunzione di colpa in capo al custode e l’irrilevanza della prova di una sua condotta diligente.

La sentenza in commento, premesso che il sistema risarcitorio si fonda non solo sulla capacità preventiva della colpa (giustizia correttiva), ma anche sul soddisfacimento di esigenze meramente compensative (giustizia redistributiva, cioè il trasferimento del peso economico di un evento pregiudizievole dal danneggiato su chi abbia la signoria della cosa), delinea i seguenti capisaldi di diritto in ordine alla responsabilità del custode:

  • non è ulteriormente discutibile che la responsabilità di cui all’art. 2051 cod. civ. abbia natura oggettiva, e non presunta, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode;

  • l'art. 2051 c.c. individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima;

  • le omissioni, violazioni di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rilevano ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 c.c.;

  • il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della causalità adeguata, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere;

  • il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa dell'art. 1227 c.c., comma 1 e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost.;

  • quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale.

Venendo al caso di specie, la Corte etnea ha fondato il rigetto della domanda ex art. 2051 c.c. sul mero rilievo di presunte condotte colpose del centauro, senza tuttavia preoccuparsi di verificare previamente se le stesse avessero reso del tutto ininfluente la situazione di dissesto del manto stradale, ossia senza accertare se il comportamento del danneggiato si fosse sovrapposto alla situazione della cosa in modo tale da degradarla a mera occasione dell'evento di danno, ovvero senza accertare se, senza la preesistenza e la specifica caratterizzazione della res, il danno si sarebbe ugualmente verificato.

Il Giudice del merito ha quindi completamente eluso l’accertamento del caso fortuito, erroneamente ritenendolo integrato dalla presunta condotta colposa dell'attore, senza considerare che, in difetto di prova liberatoria da parte del custode, il Giudice avrebbe dovuto semmai valutare l’eventuale sussistenza di un concorso colposo del danneggiato alla luce dell'articolo 1227 c.c.

Avv.ti Bonanno Feldmann, Grisafi e D’Amico

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