Focus sulle penali nei contratti telefonici

Avv. Francesco Lioia.
Giovedi 2 Novembre 2023

Nella prassi, malgrado l’articolata e stringente normativa, pochissimi operatori permettono all’utente di chiudere il proprio contratto “a buon mercato”, e quasi tutti applicano penali mascherate.

Innanzitutto è il caso di precisare che le penali per recesso anticipato sono state abolite dalla Legge 40/2007. Tuttavia, la stessa legge prevede che, in caso di recesso anticipato, possa essere richiesto all'utente il pagamento di somme che siano giustificate da costi che l'operatore sopporta per le attività pertinenti al recesso. L'operatore deve quindi motivare e giustificare i costi addebitati per il recesso anticipato.  In base all'interpretazione della legge, seguita dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) nei propri provvedimenti e confermata dal giudice amministrativo, i costi che l'operatore può richiedere in sede di recesso anticipato sono soltanto quelli strettamente connessi alle attività necessarie alla lavorazione del recesso, secondo principi economici di causalità e pertinenza.  

Il diritto di cambiare operatore senza penali

Prima la “giungla”, poi fiat lux: il D.L. 2007 n. 7, convertito con modificazioni dalla legge 2007, n. 40 (di seguito anche “Decreto” o “Decreto Bersani”) che introdusse il diritto di cambiare operatore senza dover sostenere costi legati a penali, comunque denominate. Il particolare l’art. 1, comma 3 prevede che “I contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica …devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate da costi dell’operatore e non possono imporre un obbligo di preavviso superiore a trenta giorni. Le clausole difformi sono nulle”. Data la lettera della norma, tesa a rendere effettivo l’interesse pubblico alla concorrenza sancendo il divieto di previsioni contrattuali che, in sostanza, potrebbero trasformarsi in barriere o deterrenti per gli utenti al momento della scelta concorrenziale, è facile comprendere come in quelle “spese non giustificate da costi dell’operatore” gli operatori ci abbiano poi inserito di tutto, in modo da scoraggiare comunque il cliente ad abbandonarli.

È per questo che, nei mesi successivi al Decreto Bersani, l’Agcom con le sue linee guida, specificò quali dovessero essere i costi massimi addebitabili al cliente in ogni caso di migrazione o cessazione, specificando: “Ambito di applicazione oggettivo dell’art. 1, comma 3: Contratti per adesione. [cioè il diritto di recesso anticipato] (…) 1 bis. La suddetta disposizione si applica a tutti coloro che sottoscrivono contratti per adesione con operatori di telefonia, reti televisive e comunicazione elettronica, inclusi gli utenti finali non residenziali. La previsione non si applica ai contratti, quali quelli in uso per la fornitura di servizi alla clientela business di maggiori dimensioni, nei quali le clausole sono negoziate e, pertanto, non ricorre la fattispecie del contratto per adesione”.

La trasparenza tariffaria: risvolti pratici

Successivamente, con la sentenza del Consiglio di Stato n 1442/2010, il diritto a cambiare gestore senza costi fu in parte temperato dal principio di libertà negoziale. Il Decreto Bersani non può cioè impedire, secondo il Consiglio di Stato, che le parti si accordino tra di loro in modo che l’utente abbia delle tariffe vantaggiose o, ad esempio, uno smartphone in regalo in cambio di una “fedeltà” di 24 mesi. Pertanto è astrattamente possibile che un consumatore si accordi con l’operatore in questi termini: “L’abbonamento costa € 30 al mese, io ne pago 20, per i primi dodici mesi, godo di uno sconto di 10 al mese, ma mi impegno a non cambiare operatore per 24 mesi”.

Orbene, la libertà contrattuale, se fosse usata in modo “onesto” dagli operatori, può essere legittima e addirittura vantaggiosa per l’utente. Il problema però si sposta semplicemente sul tema della trasparenza tariffaria. In realtà id quod plerumque accidit, tornando all’esempio precedente, quando il consumatore viene contattato dall’operatore, gli viene detto semplicemente che il contratto costa € 20 al mese e non che se recede prima dei 24 mesi dovrà restituire tutti gli sconti goduti. Diverso (e corretto) sarebbe se al consumatore venisse data una doppia possibilità: “Canone di 30 euro al mese e puoi andare via quando vuoi, oppure canone di 20 euro al mese, ma se vai via prima di 24 mesi devi pagare € 120”.

Il tema della trasparenza tariffaria è stato di recente affrontato dall’ordinanza della Corte di Cassazione 10039/2022 che, ritenendo inammissibile un ricorso di TIM avverso una sentenza del Tribunale di Trani che aveva ritenuto non dovuti i costi di disattivazione di € 35, ha focalizzato la decisione sulla circostanza che TIM non avesse prodotto in giudizio il contratto da cui si potesse desumere che l’utente avesse accettato tale clausola. Spesso infatti gli operatori hanno contratti poco trasparenti o, ancora più di frequente, non li hanno affatto, poiché di norma, l’utente esprime il proprio consenso telefonicamente (cd. vocal order), ma non gli viene mai fatta accettare la proposta per iscritto come prevede la normativa dettata dal Codice del Consumo sui contratti a distanza (art. 51, comma 6, D.Lgs. 2005 n° 206). Per i risvolti pratici ne consegue che, se l’operatore, su cui ricade il relativo onere probatorio, non può provare che l’utente ha accettato esplicitamente anche i costi di chiusura del contratto, questi importi potrebbero non essere dovuti.   Le modifiche al Decreto Bersani sulle spese di recesso

La disciplina delle spese di recesso è stata integrata dalla Legge n. 124/2017, che ha aggiunto al Decreto Bersani un nuovo paragrafo all’articolo 1, comma 3 e il nuovo comma 3-ter. Il nuovo testo dell’articolo 1, comma 3, prevede una disciplina generale valida sia per le offerte promozionali, sia per quelle non promozionali, che va a integrare la disciplina inizialmente prevista dal Decreto, concernente la libertà degli utenti di poter recedere in ogni momento dal contratto e l’obbligo per gli operatori di non imputare spese non giustificate dai costi. A tale disposizione (che resta immutata) si affiancano, infatti, ulteriori specificazioni volte a rafforzare il livello di trasparenza e a meglio identificare le spese di recesso che gli operatori possono imputare agli utenti. Più precisamente, con la legge n. 124 del 2017, il legislatore ha:

- confermato il principio generale secondo cui non possono essere imputate agli utenti “spese non giustificate da costi degli operatori” (art. 1, comma 3);

- specificato che le spese di recesso devono essere “commisurate al valore del contratto e ai costi realmente sopportati dall’azienda, ovvero ai costi sostenuti per dismettere la linea telefonica o trasferire il servizio” (art. 1, comma 3).

- nel caso di contratti che prevedono offerte promozionali, la durata del contratto non può superare i 24 mesi e gli eventuali costi per il recesso anticipato devono essere anche “equi e proporzionati alla durata residua della promozione offerta” (art. 1, comma 3-ter).

- infine, il nuovo testo del Decreto stabilisce che le spese di recesso siano “rese note al consumatore al momento della pubblicizzazione dell’offerta e in fase di sottoscrizione del contratto”, nonché comunicate all’Autorità, “esplicitando analiticamente la composizione di ciascuna voce e la rispettiva giustificazione economica” (art. 1, comma 3).  

Quali sono costi di recesso addebitabili dagli operatori telefonici?

Le spese di recesso rappresentano la categoria più rilevante di switching cost e, pertanto, quella che maggiormente incide sulla valutazione dell’utenza circa l’opportunità di cambiare fornitore di servizi. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) con la Delibera 487/18/CONS (Linee guida sulle modalità di dismissione e trasferimento dell’utenza nei contratti per adesione), anche a seguito delle modifiche al Decreto Bersani introdotte con L 124/2017, ha chiarito quali sono i costi effettivamente addebitabili all’utente che intenda cambiare operatore.

I costi sono di tre tipologie:- costi effettivi sostenuti dall’operatore per trasferire o cessare l’utenza in caso di promozione,- restituzione di sconti goduti sui servizi e sui prodotti,- il pagamento delle rate residue degli apparati venduti insieme ai servizi (es. Modem, telefono cellulare, decoder, ecc.).

Resta valido il divieto che emerge dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4773/2015 che non consente agli operatori “d’inserire fra i costi richiesti per la disattivazione anche costi che sono ad essa estranei o non pertinenti come quelli sostenuti per l’attivazione del servizio, anche se non addebitati all’utente nel corso del rapporto”. Pertanto, l’operatore non può imporre all’utente che recede dal contratto il costo di un servizio o di un prodotto se non è stato previsto in fase di sottoscrizione.  

1. Costi effettivi. Sono i costi relativi alle operazioni tecniche di dismissione della linea e prescindono del tutto dal momento del momento di chiusura del contratto, in quanto le operazioni a carico dell’operatore sono le medesime, sia che l’utente abbia attivato la linea da un mese, oppure da 3 anni. Inoltre, poiché la nuova formulazione del Decreto Bersani ha aggiunto l’ulteriore parametro del valore del contratto, per la valutazione del costo addebitabile all’utente per chiudere la linea, l’AGCOM, consapevole del fatto che gli operatori, al fine di scoraggiare l’uscita dal contratto del cliente, potrebbero gonfiare i prezzi di chiusura linea o anche semplicemente, non impegnarsi ad efficientarli, ha deciso che è applicabile la somma più bassa tra i costi effettivamente sostenuti e il canone mensile (art. V, comma 22, Allegato A alla Delibera 487/18/CONS).

NB- Agcom parla di “prezzo implicito dell’offerta”, intendendo la media dei canoni ancora da corrispondere in un contratto che preveda una promozione per parte della sua durata, noi in questo articolo parliamo di “canone mensile” per semplificare la comprensione (la differenza è di solito minima-ndr). Tali costi sono consultabili nell’area “trasparenza tariffaria” che ogni gestore deve avere sul proprio sito, oppure in questo LINK del sito Agcom (che però non è completo né sempre aggiornato dagli operatori!).  

2. Restituzione degli sconti. Spesso i contratti (per cui la scadenza del primo impegno contrattuale, come è noto, non può eccedere i 24 mesi) non hanno sempre lo stesso canone per tutta la loro durata. In alcuni casi l’offerta ad esempio prevede un canone agevolato di 20 euro per i primi 12 mesi e di 30 euro per i restanti 12. Se principio della libertà negoziale consente all’operatore di proporvi una simile formula condizionata alla permanenza per (massimo) 24 mesi (e se andate via prima, siete tenuti a restituire gli sconti-ndr), va però rispettato il principio di proporzionalità alla durata residua del contratto, come chiarito dall’AGCOM che ha stabilito che la somma dovuta per recesso anticipato a titolo di restituzione sconti deve diminuire progressivamente fino alla conclusione del contratto, in modo che sia pari a zero al 24° mese (art. VI, comma 26, Allegato A alla Delibera 487/18/CONS).

Un esempio può giovare a maggior chiarezza: - L’utente ha un contratto di 24 mesi che prevede un canone di € 20 per i primi 12 mesi e di € 30 per i successivi 12. -L’utente recede dopo 12 mesi. L’operatore si aspettava di ricavare l’importo, da calcolare con la media dei canoni sui 24 mesi di € 25 (perché (20×12) + (30×12)= 600/24= 25) per i mesi residui (24-12) 12. L’operatore si aspettava di incassare altri 300 euro (25×12). - Nei 12 mesi trascorsi l’utente ha però corrisposto un canone di 20 euro per 12 mesi (€ 240). Quindi sarà dovuta una restituzione di € 60 (300-240). Questo meccanismo, oltre essere equo in quanto consente all’operatore di salvaguardare la redditività attesa dell’offerta promozionale è anche proporzionato alla durata residua dell’offerta. Infatti, se il recesso dovesse avvenire a scadenza del contratto le spese di recesso (determinate con tale meccanismo) saranno nulle in quanto al ventiquattresimo mese il ricavo atteso coincide con quello realizzato in assenza di recesso. Al contrario, prassi diffusa tra gli operatori è quella della pretesa restituzione integrale degli sconti (illegittima in quanto né equa né proporzionata alla durata residua del contratto). Ritornando all’esempio precedente al dodicesimo mese il ricavo complessivamente realizzato dall’operatore (pari a 360 euro: 240 euro per i corrispettivi e 120 euro per il recesso) è ben superiore al ricavo medio che l’operatore si aspetta di realizzare al dodicesimo mese (pari a 300 euro, ossia 25 euro per 12 mesi). In ogni caso in base al Decreto Bersani (art. 1, comma 3) le spese di recesso devono essere “rese note al consumatore al momento della pubblicizzazione dell’offerta e in fase di sottoscrizione del contratto, nonché comunicate, in via generale, all'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni, esplicitando analiticamente la composizione di ciascuna voce e la rispettiva giustificazione economica”, e le condizioni devono essere allegate, con uno schema riepilogativo chiaro, al contratto. Laddove l’operatore non abbia esposto in modo chiaro ed analitico, oltreché documentato questi costi gli stessi non saranno dovuti!  

3. Rate residue degli apparati “acquistati” Ultima voce di costo che gli utenti possono trovare in fattura dopo il recesso sono le rate residue del modem o di altri devices acquistati, che si differenziano in neutrali (ovvero utilizzabili con qualsiasi operatore – ad esempio lo smartphone acquistato che, dopo il cambio di operatore, continua a funzionare regolarmente col nuovo operatore) e non neutrali (che non possono essere riutilizzati per fruire dei servizi offerti da operatori diversi da quello con cui l’utente ha sottoscritto il contratto - esempio tipico è quello del modem che serve solo alla fruizione dei servizi in abbonamento del gestore che ce lo ha venduto). Per i primi gli operatori, dopo il recesso, solitamente addebitano tutte le rate in un’unica soluzione, quando al contrario l’utente ha diritto a proseguire nella rateizzazione secondo il piano previsto (art. VII, comma 29, Allegato A alla Delibera 487/18/CONS). Nei casi di device “acquistato” non utilizzabile con altri operatori (non neutrale), L’AGCOM ha evidenziato che “la mera concessione all’utente della facoltà di scegliere fra la prosecuzione del pagamento rateale ovvero il pagamento in un’unica soluzione non appare una soluzione sufficiente a garantire il pieno esercizio del diritto di recesso. Infatti, fermo restando quanto stabilito dal Regolamento UE 2015/2120, 15 se il dispositivo non è neutrale, il costo sostenuto in fase di recesso si configurerebbe come un costo – non recuperabile – di cambiamento: l’utente potrebbe decidere di non recedere dal contratto proprio per evitare di sostenere un costo a fronte del quale non intravede alcuna utilità. Per tali ragioni, nel caso di vendita congiunta e rateizzata di un prodotto non neutrale gli operatori non devono imputare all’utente che recede anticipatamente il pagamento delle rate residue” (art. 5.4, comma 50, Allegato B alla Delibera n. 204/18/CONS).

Restano ferme, in ogni caso, le previsioni della Delibera n. 348/18/CONS, recante “Misure attuative per la corretta applicazione dell’articolo 3, commi 1, 2, 3, del Regolamento (UE) n. 2015/2120 che stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’internet aperta, con specifico riferimento alla libertà di scelta delle apparecchiature terminali” (cd. modem libero). Se gli addebiti rateizzati riguardano dei servizi, con il recesso la rateizzazione deve comunque cessare. È il caso, ad esempio, dei costi di attivazione rateizzati e dei servizi di assistenza (come ad esempio “Tim Expert”): si tratta di evoluzioni dei soliti trucchetti degli operatori per scoraggiare gli utenti dalla chiusura del contratto: sono illegittimi.

Abbiamo sin qui parlato di apparati “acquistati” dall’utente, presupponendo che l’operatore abbia e fornisca prova del titolo afferente alla “compravendita” degli stessi all’utente; in caso contrario, frequente nella prassi, possono configurarsi le diverse fattispecie del comodato o del noleggio che, previa tempestiva e documentata restituzione dell’apparato a carico dell’utente a fine rapporto, non contemplano rate residue da corrispondersi.

Obblighi informativi e di comunicazione a carico degli operatori. Le spese od i costi sin qui descritti ai punti 1,2,3, relativi al recesso o al trasferimento dell’utenza ad altro operatore, perché siano addebitabili da parte dell’operatore, devono essere stati rese noti al momento della pubblicizzazione dell’offerta e in fase di sottoscrizione del contratto (art. VIII, Allegato A alla Delibera 487/18/CONS). Infatti:

- in fase di pubblicizzazione dell’offerta, gli operatori sono tenuti a pubblicare, il dettaglio di tali spese, nella pagina web “trasparenza tariffaria”, evidenziando, per ciascuna offerta, le spese che l’utente dovrà sostenere in corrispondenza di ogni mese in cui il recesso potrebbe essere esercitato.

- in fase di sottoscrizione del contratto gli operatori devono rendere note, verbalmente e attraverso idonea informativa – chiara e sintetica – da allegare al contratto, tutte le spese che l’utente dovrà sostenere in corrispondenza di ogni mese in cui il recesso potrebbe essere esercitato. Inoltre gli operatori sono tenuti a:

- comunicare annualmente all’AGCOM i costi sostenuti per le attività di dismissione e trasferimento della linea esplicitando analiticamente la composizione di ciascuna voce e la rispettiva giustificazione economica (i relativi link sono disponibili sul sito dell'Autorità nella pagina dedicata a Prospetti informativi su offerte e condizioni economiche, dove, in relazione ai diversi servizi offerti, si possono quindi verificare i relativi costi di disattivazione).

- a pubblicarli sui propri siti web, ai sensi della delibera n. 96/07/CONS.

Per i risvolti pratici nel cd. contenzioso telefonico ne consegue che, se l’operatore, su cui ricade il relativo onere probatorio, non provi di aver assolto anche ai prefati obblighi informativi, questi importi potrebbero non essere dovuti. Nella prassi gli operatori, molto spesso, non allegano al contratto la mentovata informativa dettagliata (ovvero non ne forniscono prova), oppure non fanno la dovuta comunicazione all’Autorità (si vedano sulla pagina i “pallini rossi” che corrispondono a link non attivi o a mancate comunicazioni dei costi che devono essere sottoposti al previo vaglio dell’Autorità).  

Queste regole valgono anche per le utenze business? La risposta è sì, perché, come già aveva chiarito l’Agcom nelle sue linee guida del 2007 (cfr “Ambito di applicazione oggettivo dell’art. 1, comma 3: Contratti per adesione. (…), inclusi gli utenti finali non residenziali”), l’applicazione della descritta regolamentazione non è legata alla natura del soggetto stipulante (persona fisica o giuridica), ma la discriminante è che si tratti “contratto per adesione” (art. I, comma 2, Allegato A alla Delibera 487/18/CONS). Ai sensi dell’art. 1341 codice civile possono essere qualificati “per adesione” quei contratti che, anche in vista del contenuto delle loro singole clausole, risultino predisposti unilateralmente da un solo contraente e siano destinati a regolare una serie indefinita di rapporti, sia da un punto di vista sostanziale (perché predisposti da un contraente che esplichi attività negoziale nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti), sia da un punto di vista meramente formale (perché preordinati nel contenuto a mezzo di moduli o formulari utilizzabili in serie). Il contraente può, quindi, accettare in blocco le condizioni ovvero rifiutarle integralmente senza alcuna facoltà di trattativa  

Come comportarsi in caso di “penali mascherate” in fattura? Nella prassi, malgrado l’articolata e stringente normativa descritta, pochissimi operatori permettono all’utente di chiudere il proprio contratto “a buon mercato”, e quasi tutti applicano penali mascherate che, a titolo di esempio, prendono la forma di: - corrispettivo per recesso anticipato - rate residue costi di attivazione - rate residue modem (o decoder) -Tim Expert - Vodafone ready - Contributo fedeltà -Ecc. ecc.

Tutte queste voci sono per lo più illegittime e vanno contestate con il reclamo. Viepiù si consideri che nella maggioranza dei casi in cui un utente cambia operatore, per nostra esperienza, c’è un motivo alla base diverso dal mero desiderio di avere condizioni più vantaggiose. Di solito si cambia operatore a causa di qualche disservizio e questo, preferibilmente previo disatteso reclamo da inoltrarsi nella forma della diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c., costituisce un ulteriore motivo di illegittimità dei costi di chiusura del contratto che va fatto valere in quanto, in caso di inadempimenti dell’operatore di importanza non trascurabile, si può configurare la diversa ipotesi di risoluzione per inadempimento nel qual caso non solo nessun costo è dovuto, ma all’utente non inadempiente potrebbe spettare addirittura un indennizzo.

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