Ai fini dell'esenzione IMU è necessario dimorare stabilmente e risiedere anagraficamente nello stesso immobile.

Venerdi 21 Gennaio 2022

L'esenzione IMU prevista per la casa principale dall'art. 13, comma secondo, del D.L. n. 201/2011, richiede non soltanto che il possessore ed il suo nucleo familiare dimorino stabilmente in tale immobile, ma anche che vi risiedano anagraficamente e, ai fini della spettanza e della fruizione della richiamata agevolazione per l'abitazione principale, deve riscontrarsi, nell'unità immobiliare, sia la dimora abituale del contribuente che quella dei suoi familiari.

Con l'ordinanza n. 1199 del 17 gennaio 2022, la Cassazione è tornata sul tanto dibattuto tema dell'esenzione IMU per l'abitazione principale, richiamando, nella propria decisione, i numerosi provvedimenti intervenuti nel corso degli ultimi anni.

Solo lo scorso giugno, infatti, con ordinanza n. 17408, la Corte ha aperto alla possibilità, per il contribuente, di poter beneficiare dell'agevolazione fiscale prevista per l'abitazione principale solo nell'ipotesi in cui “in riferimento alla stessa unità immobiliare, tanto il possessore, quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente”. Nell'ordinanza de quo ribadisce un altro assunto: ai fini dell'esenzione IMU, non solo è richiesto che l'abitazione principale sia solo una ma anche che i coniugi non siano separati legalmente e, pertanto: nell'ipotesi in cui due coniugi fissino la propria dimora abituale e residenza in due diversi immobili, il nucleo familiare - da intendersi come unità distinta ed autonoma rispetto ai singoli componenti – resta unico ed unica, pertanto, deve essere l'abitazione principale ad esso riferibile, per poter usufruire dell'agevolazione IMU.

Di seguito, sinteticamente, i fatti di causa.

Il Comune di Martinsicuro proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale dell'Abruzzo respingeva l'appello contro la sentenza della Commissione Provinciale di Teramo che aveva accolto il ricorso della contribuente verso l'avviso di accertamento relativo all'anno d'imposta 2012, per il pagamento dell'IMU, non potendo l'immobile in oggetto considerarsi esente in quanto abitazione principale perchè il marito, non separato legalmente, aveva la residenza e la dimora abituale in altro comune.

In particolare, l'ente territoriale, deduceva, in relazione all'art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 13 comma secondo, D.L. n. 201/2011, evidenziando che il contribuente può beneficiare dell'agevolazione fiscale prevista per l'abitazione principale solo nell'ipotesi in cui, in riferimento alla stessa unità immobiliare, sia il possessore che il suo nucleo familiare, non solo vi dimorino stabilmente ma vi risiedano anche anagraficamente.

La Corte ha ritenuto il motivo fondato confermando l'orientamento richiamato ed evidenziando che il principio trovi fondamento nella ratio dell'art. 13 del D.L. n. 201/2011 - la cui formulazione è stata ripresa ed introdotta, con decorrenza dal primo gennaio 2020, dall'art. 1, comma 741 della L. n. 160 del 2019 – essendo questo finalizzato ad impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro comune, da parte di uno dei due coniugi, crei la possibilità di godere due volte di benefici previsti solo per l'abitazione principale.

Tenuto conto delle ultime pronunce sul tema, in particolare della già menzionata ordinanza n. 17408, nella diversa ipotesi in cui i componenti del nucleo familiare abbiano la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nello stesso territorio comunale, le agevolazioni si applicano per un solo immobile e ciò per scoraggiare quei comportamenti elusivi in ordine all'applicazione dell'agevolazione per la sola abitazione principale.

Lo stesso principio si applica nell'ipotesi in cui i due immobili siano collocati in comuni diversi, per quanto la fattispecie non risulti disciplinata normativamente. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, con la circolare n. 3/DF, del 18 maggio 2012, aveva chiarito che l'ubicazione degli immobili in comuni territoriali diversi offriva la possibilità di applicare, per entrambe le abitazioni, l'esenzione, favorendo coloro che, per concrete e reali necessità, si ritrovavano a dover cambiare comune di residenza.

La Corte, tuttavia, ribadisce che, in materia tributaria, la prassi dell'Amministrazione finanziaria non costituisce fonte di diritti ed obblighi, posto che da essa non discende alcun vincolo neppure per la stessa autorità emanante (Cfr. Cass. 30 settembre 2020, n. 20819), con ciò prendendo le distanze dalla posizione ministeriale sul tema e sottolineando che, nel caso di specie, non fosse stato né dimostrato né riscontrata alcuna “effettiva necessità” di trasferimento in altra abitazione da parte del coniuge della contribuente. In definitiva, per la Suprema Corte, deve considerarsi abitazione principale, quella in cui il proprietario e la sua famiglia abbiano fissato la residenza (accertabile attraverso i registri dell'anagrafe) e la dimora abituale (da intendersi come il luogo dove la famiglia abita per la maggior parte dell'anno) e che, pertanto, la norma sulla esenzione dell'imposta va interpretata con rigore, senza lasciare margini di applicazione per quelle ipotesi nelle quali è evidente che i coniugi non rispettino i predetti requisiti.

Per le ragioni esposte, la Corte ha accolto il ricorso e condannato la controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

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