Falso in bilancio: non è sufficiente come prova una rettifica contabile sommaria

Decisione: Sentenza n. 49507/2017 - Cassazione Penale - Sezione V.
Lunedi 18 Dicembre 2017

La coscienza e volontà di compiere un atto in pregiudizio dei creditori deve essere valutata in relazione al contesto specifico, allargando l’indagine all’accertamento - ove così dedotto - di essersi adoperato con risorse finanziarie personali per tentare di appianare la situazione debitoria della società.

Massima:

E' certamente astrattamente possibile che un imprenditore o un amministratore societario distragga beni dell'impresa, mascherando la loro sparizione con un artificio contabile costituito da una rettifica del valore iscritto a bilancio, ma la prova di tale comportamento di sottrazione non può essere ricavata, come è avvenuto nella fattispecie, sic et simpliciter dalla sola circostanza dell'esistenza della rettifica contabile, non accompagnata dal benché minimo riscontro fattuale circa la mancanza fisica dei beni.

Osservazioni.

Il caso deciso riguardava un amministratore di una SRL fallita, imputato del reato di cui all’ art. 216 della Legge Fallimentare (L.F.) al quale i giudici di merito attribuivano la preordinata e strumentale redazione della nota integrativa al bilancio redatta in modo sommario, per non far risultare l’occultamento di merci per 136mila €.

Giurisprudenza rilevante.

Cass. Sez. Unite 22474/2016

Cass. Sez. Unite 890/2015

Disposizioni rilevanti.

Codice Civile

Vigente al: 27-11-2017

Art. 2621 - False comunicazioni sociali

Fuori dai casi previsti dall'art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sè o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.

La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.

Art. 2621-bis - Fatti di lieve entità

Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la pena da sei mesi a tre anni di reclusione se i fatti di cui all'articolo 2621 sono di lieve entità, tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta.

Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la stessa pena di cui al comma precedente quando i fatti di cui all'articolo 2621 riguardano società che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell'articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. In tale caso, il delitto è procedibile a querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale.

Art. 2621-ter - Non punibilità per particolare tenuità

Ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'articolo 131-bis del codice penale, il giudice valuta, in modo prevalente, l'entità dell'eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori conseguente ai fatti di cui agli articoli 2621 e 2621-bis.

Allegato:

Cassazione penale Sez. V Sentenza n. 49507 del 27/10/2017

Pagina generata in 0.042 secondi