La diffusa presenza di pet esprimerebbe una medicina veterinaria solida, capillare e centrale nella qualità di vita degli animali da compagnia (cit. Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani del 6 maggio u.s..). “Per noi Medici Veterinari- dichiara il Presidente dell’ANMVI - i 65 milioni di pet sono altrettanti motivi per rafforzare una medicina veterinaria moderna, scientifica e alleata delle famiglie italiane. Il legame tra pet e persone cresce anche grazie a chi, ogni giorno, garantisce salute, prevenzione e benessere ai nostri animali.”
Martedi 23 Settembre 2025 |
Da fruitore della medicina veterinaria non posso che condividere queste premesse dichiarando anzi di avere avuto il privilegio di incontrare anche eccellenze veterinarie. Da giurista però registro anche -forse soprattutto- le problematiche di questo mondo che ormai si intreccia quotidianamente con aspettative dei custodi di quei “pazienti” destinatari della medicina veterinaria. Non sono poche. Chissà se il Rapporto Assalco-Zoomark del 2025 ne ha evidenziato alcune.
Io oggi mi concentro su due vicende di provata malpratica veterinaria. Una oggetto della sentenza del Tribunale di Lucca (n.412 del 2024), l’altra oggetto della sentenza del Tribunale di Siracusa (n. 238/2025). Provvedimenti recenti dunque.
Nella prima vicenda un allevatrice di cani si rivolge ad un veterinario per un intervento cesareo su una cagna di due anni. L’intervento si conclude con la nascita di quattro cuccioli vivi ed uno morto. Dopo poche ore dall’intervento la cagna inizia a stare male. Quindi partorisce un primo cucciolo morto e dopo alcune ore un secondo cucciolo pure morto. In buona sostanza il veterinario non si sarebbe accorto della presenza in utero di altri due cuccioli. A dire dell’allevatrice se l’intervento fosse stato eseguito correttamente i due cuccioli nati morti spontaneamente dopo il cesareo sarebbero nati vivi.
Nella seconda vicenda il proprietario di un levriero russo femmina si reca in clinica perchè l’animale, gravido a 67 giorni dall’accoppiamento, appare particolarmente affannato, con andatura lenta e lamenti, tipici sintomi di imminente parto. Nonostante l’evidente stato di gravidanza, il cane viene trattato per una pregressa patologia di origine cervicale con somministrazione di farmaci antidolorifici e sedativi, tale da indurre l’animale nello stato di coma farmacologico, senza mai prendere in considerazione l’imminente parto anche attraverso l’esecuzione di un cesareo che avrebbe consentito di salvare sia il cucciolo che il cane adulto. Entrambi deceduti.
Nell’uno e nell’altro caso l’attività veterinaria richiesta si qualifica come attività professionale sanitaria volta al perseguimento di un esito favorevole per l’animale mediante l’utilizzo dell’ars veterinaria senza garanzia del raggiungimento del risultato che è l’effettiva guarigione dell’animale. Operano i principi generali che governano l’esercizio della professione sanitaria, in forza del quale al momento dell’accesso (contatto) dell’animale presso la clinica veterinaria sorge l’obbligo di prendersene cura, sia a carico dei professionisti medici veterinari, sia della struttura veterinaria, quale complesso organizzativo volto alla cura dell’animale, nel quale essi operano.
Una responsabilità contrattuale, con conseguente applicazione del combinato disposto degli artt. 1218 e 1228 c.c. in ordine alla prova dell’assolvimento da parte dei sanitari ivi addetti, anche in veste di ausiliari, dell’esecuzione della dovuta prestazione medico professionale, secondo la migliore scienza ed esperienza. Incombe sul “paziente”, qui custode dell’animale, l’onere di allegare che la prestazione medico-veterinaria sia avvenuta in violazione delle regole di cui all’art. 1176 c.c. e che l’evento dannoso occorso all’animale di affezione sia riconducibile causalmente all’operato della struttura e del personale ivi addetto, gravati di contro della prova liberatoria della ricorrenza di altri fattori causali determinanti nella causazione dell’evento dannoso, comunque non imputabili all’operatore sanitario che ha preso in carico l’animale.
Vediamo come questi principi trovano applicazione nelle due vicende premesse. Quella decisa dal Tribunale di Lucca quella decisa dal Tribunale di Siracusa.
Nel primo caso la sussistenza del nesso di causalità tra l’inadempimento del veterinario e la morte dei cuccioli va affermata in base al noto principio del "più probabile che non". Viene dimostrato che la cagna, dopo le dimissioni a seguito del parto cesareo, rientrata in allevamento, probabilmente una volta sopitisi gli effetti della anestesia, comincia a manifestare un malessere generale (in ragione della presenza in utero di altri due cuccioli non estratti durante il cesareo). Secondo la regola del più probabile che non viene ritenuto dimostrato che la malpratica veterinaria si pone come antecedente causale (della morte dei cuccioli) connotato da elevato grado di probabilità, e ciò in difetto, inoltre, di ipotesi alternative connotate da pari grado di probabilità. Se il convenuto avesse eseguito correttamente l’intervento, provvedendo all’estrazione di tutti i cuccioli presenti, è probabile che i cuccioli sarebbero nati vivi. E’ cioè altamente probabile che gli altri due cuccioli, quelli rimasti nelle parti retrostanti dell’utero, se fossero stati estratti durante il cesareo, sarebbero nati vivi al pari degli altri quattro cuccioli.
Venendo al secondo caso il veterinario si difende sostenendo che il quadro clinico dell’animale si presentava incompatibile con la procreazione del cucciolo e con l’esistenza in vita del cane adulto, circostanze che avevano condotto alla scelta di tentare di salvare la vita di quest’ultimo anche attraverso che la somministrazione dei farmaci. Parte attrice (il proprietario del levriero) lamenta la condotta negligente del veterinario che, seppur consapevole dello stato di gravidanza dell’animale, decide di non intervenire con parto cesareo, attribuendo priorità nella individuazione del fattore causale della sintomatologia correlata al dolore al collo lamentato dall’animale ad una patologia di origine cervicale, così trattando la presunta malattia neurologica, piuttosto che all’evoluzione della gestazione, con evidenti conseguenze per la vita sia del cucciolo che della madre.
Come sempre accade la consulenza tecnica ha svolto un ruolo fondamentale divenendo essa stessa fonte di prova per l’accertamento dei fatti, atteso che le conoscenze necessarie a rilevarli e comprenderli sono estremamente tecniche. In buona sostanza il veterinario avrebbe ignorato nel caso di specie le regole di perizia adeguate al caso in quanto, pur essendovi incertezza in ordine alla concomitanza di altre patologie, non hanno mai preso in considerazione, come invece avrebbero dovuto ove avessero agito con perizia e diligenza, la condizione di gravidanza a termine dell’animale. Dalle acquisizioni processuali risulta con evidenza che se avessero dato adeguato riscontro a tale condizione di gestazione in cui la cagnolina versava, riscontro che avrebbero ben potuto fare, alla luce degli evidenziati elementi fattuali posti in risalto dal CTU, avrebbero senz’altro potuto evitare la morte del feto e anche quella della madre, tenuto conto anche che i farmaci somministrati per la sedazione sono gli stessi utilizzati e compatibili come anestetico per l’effettuazione dell’intervento chirurgico.
E’ stata ritenuta dal Tribunale Siracusa censurabile la condotta del veterinario il quale ha errato la diagnosi in ordine alla condizione di partoriente del cane, pur in presenza della evidenziate condizioni fattuali che invece avrebbero condotto a rilevarla. Non ultimo la mancata prova in ordine alla manifestazione di un consenso da parte del proprietario dell’animale rispetto alla cura farmacologica praticata all’animale. Prova che, ricordo, incombe al veterinario. E ricordo altresì che in tema di consenso informato questo presuppone informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative.