Morte di un cavallo: l'onere della prova e consenso informato

Nella vicenda esaminata dal Tribunale di Brescia (sent. n. 838/2025) Tizio, titolare di una scuderia in cui alleva cavalli purosangue destinati ad attività agonistica, chiama in giudizio l’anestesista, il chirurgo e il direttore di una certa clinica veterinaria al fine di ottenere il risarcimento del danno (stimato in euro 350.000,00) asseritamente subito a causa della morte del cavallo Fenix di proprietà dello stesso Tizio (il nome del cavallo è di fantasia).

Venerdi 25 Luglio 2025

Il cavallo in questione, che sotto la guida di un esperto cavaliere (Sempronio) aveva conseguito importanti e ripetuti successi in varie competizioni, soffriva da sempre di emiplegia laringea (una grave patologia respiratoria cronica che causa la chiusura parziale delle vie aeree a livello della laringe). Nell’agosto 2019, dopo l’ennesimo episodio di epistassi, conseguenza della sua patologia, il cavallo viene sottoposto ad una una laringoplastica presso la clinica Zeta (nome di fantasia). Immediatamente dopo l’intervento, il cavallo muore.

Tizio lamenta che l’intervento chirurgico non sarebbe stato eseguito secondo perizia e diligenza; che mai avrebbe dato il consenso a tale intervento del quale ignorava giorno e ora; che il consenso era stato prestato sulla base di modulo lacunoso e sottoscritto da Sempronio (il cavaliere), solo mero detentore dell’animale e dunque non legittimato a prestare alcun consesno. Diversa e opposta la tesi dei convenuti veterinari. Interessanti, a prescindere dalla condivisibilità, totale o parziale, le argomentazione del Tribunale che rigetta totalmente la domanda di Tizio. Vediamole.

Per il Tribunale bresciano Tizio non avrebbe fatto altro che puntare il dito esclusivamente sulla vicinanza temporale tra l’intervento chirurgico e la morte del cavallo non avendo però allegato (ma nemmeno ipotizzato) alcuna ragione per per la quale il decesso del cavallo sarebbe connesso alla supposta mal riuscita operazione. Si tratta, scrive il Tribunale, di un onere che incombe al danneggiato in tema di responsabilità medica quale è quella veterinaria. E vero che l’evento morte si è verificato immediatamente dopo l’intervento ma non è stato collegato (anche in termini di ipotesi) dall’attore Tizio. Si legge in sentenza che l criterio del più probabile che non non esime Tizio dall’allegare i fatti costitutivi su cui ha fondato la domanda, tra cui, appunto, il nesso causale tra la morte di Fenix e la condotta negligente, imprudente o imperita dei veterinari convenuti.

Sul punto, è dirimente il referto dell’autopsia eseguita dal reparto di anatomia patologica presso il Centro Clinico-Veterinario Zootecnico-Sperimentale dell’Università degli studi di Milano. Referto che non evidenzia alcuna negligenza o imperizia riferibile all’équipe chirurgica che possa assurgere a malpractice medica. Dall’esame autoptico emerge che il cavallo è morto a causa di una “insufficienza cardio-circolatoria (collasso di un organo non direttamente interessato dall’operazione) della quale non è stato individuato l’evento primario. Non solo. Non sono emerse circostanze che avrebbero dovuto orientare i medici a non operare.

Archiviato il tema nesso di causalità, il Tribunale esamina il tema consenso informato la cui contestazione riferita alla firma del modulo non riconducibile al proprietario dell’animale ma al detentore non legittimato a farlo (Sempronio, il cavaliere) viene in breve liquidata dal giudice bresciano. Il codice deontologico dei veterinari prescrive che il consenso può essere prestato dal proprietario dell’animale o da un detentore che dichiari di averne titolo. E Sempronio secondo il Tribunale ne aveva dal momento che, come confermato dallo stesso Tizio, si occupava del cavallo da anni sia sotto il profilo della preparazione agonistica sia sotto quello della salute (in tutti i documenti ufficiali è sempre il cavaliere a comparire e la sua continua presenza alle visite del cavallo in luogo del proprietario lo confermerebbe).

Quanto al contenuto definito lacunoso del modulo di consenso informato il Tribunale replica trattandosi di un modello standard, del tutto in linea con la corrente prassi veterinaria e che le informazioni ivi contenute sono parametrate al tipo di operazione eseguita, una laringoplastica, intervento routinario e piuttosto semplice.

Il Tribunale di Brescia respinge le domande di parte attrice e condanna Tizio a rifondere le spese di lite ai convenuti nella misura complessiva di € 16.295,50.

Questa sentenza, prescindendo da suo eventuale giudicato o meno, permette svolgere brevi riflessioni. Il tema della malpratica veterinaria è sempre più presente nelle aule di giustizia. In modo proporzionale all’aumentato interesse per gli animali d’affezione. Subordinato ad un preciso percorso dimostrativo (onere della prova) di quella che troppo spesso si ritiene essere una responsabilità del veterinario “a prescindere” . Ovviamente non è così. Pur riconoscendo una naturale e fisiologica riluttanza verso l’autopsia da eseguirsi sull’animale, tale passo si può rivelare determinante, soprattutto se le richieste che giungono all’anatomo-patologo sono precise e finalizzate alle esigenze processuali. Esame autoptico che deve essere fatto in centri specializzati a tanto (istituti zooprofilattici e/o unoversità veterinarie). Esame che deve essere richiesto da un veterinario. La mancanza di questo accertamento che può essere disposto unilateralmente dal proprietari dell’animale con una accortezza che può essere quella di notificare alla controparte luogo, giorno e ora dell’esame stesso.

La sentenza scrutinata fa emergere, ancora una volta, l’importanza del consenso informato ancora troppo spesso visto come un appesantimento burocratico quando non scambiato come preventivo di costo dell’intervento da eseguirsi. Una mancanza del consenso informato che determina una serie di conseguenze in tema di violazione dell’autodeterminazione laddove il proprietario dell’animale riesce a dimostrare quanto dirimente fosse per lui una corretta informazione.


Pagina generata in 0.003 secondi