Diritto del legale al compenso per difesa d'ufficio e onere della prova.

Lunedi 11 Febbraio 2019

Con l’ordinanza n. 3673/2019, pubblicata il 7 febbraio scorso, la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata in merito ai presupposti necessari affinchè il difensore d’ufficio possa vedersi riconosciuto il diritto ad ottenere dall’erario il pagamento dei propri compensi professionali per l’attività svolta a favore di un proprio assistito, ribadendo che per il suddetto riconoscimento è sufficiente allegare all’istanza di liquidazione il decreto ingiuntivo e il precetto notificato alla parte rappresentata.

IL CASO: La vicenda approdata innanzi ai Giudici di Piazza Cavour trae origine dal decreto con il quale il Tribunale aveva rigettato la richiesta di liquidazione dei propri compensi professionali a carico dello Stato depositata da un difensore d’ufficio di un imputato per l’attività difensiva svolta in favore di quest’ultimo.

Avverso il decreto di rigetto, il legale proponeva opposizione che veniva rigettata. Secondo il Tribunale, al fine di ottenere la liquidazione dei propri compensi da parte dell’erario, il difensore d’ufficio ha l’onere di fornire la prova della totale non abbienza o della completa impossidenza del proprio patrocinato.

Pertanto, il legale interponeva ricorso per Cassazione deducendo la violazione degli articoli 116 e 82 DPR n. 115/2002 ed osservando di aver fornito la prova, come previsto dalla legislazione, circa il tentativo di recupero del credito nei confronti del proprio assistito, mettendo in esecuzione il decreto ingiuntivo ottenuto contro quest’ultimo.

LA DECISIONE: Secondo i Giudici di legittimità, come affermato dal costante orientamento della stessa Corte di Cassazione, “il difensore d’ufficio che abbia inutilmente esperito la procedura esecutiva, volta alla riscossione dell’onorario, ha diritto al rimborso dei compensi ad essa relativi in sede di liquidazione degli stessi da parte del giudice, ai sensi del combinato disposto degli artt. 82 e 116 del D.P.R. n. 115 del 2002”.

Il procedimento monitorio, hanno continuato gli Ermellini, costituisce un passaggio obbligato per poter chiedere la liquidazione dei compensi ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 115/2002, artt. 82 e 116 ed i relativi costi, comprensivi di spese, diritti ed onorari, non devono rimanere a carico del professionista, ma devono rientrare in quelli che lo Stato è tenuto a rimborsare in virtù del decreto di pagamento emesso dall’autorità giudiziaria, in quanto il decreto ingiuntivo non opposto rileva come mero fatto dimostrativo dell’infruttuoso esperimento delle procedure per il recupero dei crediti professionali. Pertanto, hanno concluso, i costi delle procedure esperite dal professionista per il recupero dei propri compensi, devono essere autonomamente liquidati dall’autorità chiamata ad emettere il decreto di pagamento.

Sulla scorta delle suddette osservazioni, la Corte di Cassazione ha ritenuto palese l’errore di diritto nella decisione impugnata, lesivo del diritto al compenso, ed accolto il ricorso con rinvio al Tribunale in persona di un nuovo magistrato che dovrà riesaminare la richiesta di liquidazione dei compensi formulata dall’avvocato sulla scorta dei principi di cui sopra.

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