Il caso: nell'ambito di un procedimento penale per omicidio colposo, il conducente di un auto viene condannato, in appello, a otto mesi di reclusione per omicidio colposo aggravato per aver investito un pedone che stava attraversando sulle strisce pedonali.
Il conducente propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza di secondo grado deducendo: a) violazione di legge e contradditorietà di motivazione con riferimento alla asserita avvistabilità del pedone da parte del conducente; b) carenza di motivazione in ordine alla legittimazione della parte civile costituita (nel caso di specie, in relazione al decesso del nonno, si erano costituiti parte civile i nipoti).
La Corte di Cassazione, con la sentenza , nel rigettare il ricorso, trae spunto dalle censure sollevate da parte ricorrente per evidenziare alcuni principi in materia di responsabilità da circolazione stradale e di risarcimento del danno morale.
a) In punto di responsabilità, la Corte di Cassazione ricorda che il conducente di un veicolo è tenuto in generale a vigilare al fine di avvistare un pedone (anche quando questi attraversa la strada senza utilizzare le apposite strisce): conseguentemente, nel caso di investimento di un pedone, perchè possa essere affermata la esclusiva responsabilità del pedone (e l'insussistenza del nesso causale tra la condotta del conducente e l'evento morte) “è necessario che il conducente del veicolo si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido e inatteso”; peraltro è dato ulteriore e necessario che il conducente del veicolo non abbia violato alcuna norma della circolazione stradale e di comune prudenza.
Tali circostanze non ricorrono nel caso di specie.
b) Per quanto riguarda la legittimazione alla costituzione di parte civile dei nipoti della vittima, la Corte osserva che ex art. 74 c.p.p. possono esercitare l'azione civile nel processo penale per le restituzioni e il risarcimento i soggetti ai quali il reato ha arrecato danno.
Ciò premesso, i prossimi congiunti della vittima, siano o non siano eredi, sono legittimati ad agire per il ristoro dei danni morali sofferti a causa della morte del congiunto, a nulla rilevando la convivenza o meno con la vittima.
Naturalmente, è principio consolidato che la risarcibilità dei danni morali per la morte di un congiunto causata da illecito penale esige sia l'esistenza di un rapporto di parentela, sia il concorso di circostanze che possano far ritenere che la morte del familiare abbia comportato, in concreto, la perdita di effettivo valido sostegno morale.
Nel caso in esame, i giudici hanno accertato che, pur in assenza di convivenza, tra il nonno e i nipoti esisteva una legame affettivo molto intenso e pertanto merirevole di tutela.