Corte Costituzionale: la disciplina dell' impresa familiare si applica anche ai conviventi di fatto.

La Corte – nel sottolineare che la tutela del lavoro è strumento di realizzazione della dignità di ogni persona, sia come singolo che quale componente della comunità, a partire da quella familiare – ha ritenuto irragionevole la mancata inclusione del convivente di fatto nell’impresa familiare.

Giovedi 1 Agosto 2024

Con sentenza n. 148, depositata il 25 luglio 2024, la Consulta ha dichiarato l' illegittimità costituzionale dell' art. 230-bis, 3° co., cod. civ., nella parte in cui non contempla tra i familiari – oltre al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo – anche il convivente di fatto e come impresa quella in cui collabora “ il convivente di fatto”.

Di conseguenza, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale anche dell' art. 230 ter cod. civ., introdotto nel 2016 con la legge n. 76, cd Cirinnà ( Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), la quale riconosce ai conviventi di fatto una tutela ridotta definendoli – al comma 36 dell'art. 1 – come “ due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza materiale e morale”.

La vicenda oggetto della censura, si origina dalla richiesta al tribunale di una donna, ex convivente del de cuius, di accertamento dell'esistenza di un'impresa familiare, con contestuale domanda di liquidazione della sua quota, in quanto partecipante all'impresa. Il tribunale rigettava la domanda eccependo che il convivente di fatto non rientra nel novero dei familiari, ai sensi dell'art. 230-bis cod. civ. Decisione confermata dalla corte territoriale la quale evidenziava, altresì, che il rapporto di convivenza tra la donna e il defunto, era cessato prima dell'entrata in vigore della legge Cirinnà che ha parzialmente esteso ai conviventi la disciplina dell' impresa familiare.

Adìta la Cassazione, la Sezione lavoro della Suprema Corte chiedeva l' intervento delle Sezioni Unite le quali sollevano questioni di legittimità costituzionale della disciplina dell' impresa familiare, con riferimento agli artt., 2, 3, 4, 35 e 36 Cost., nella parte in cui il convivente more uxorio viene escluso dal novero dei familiari.

La Corte Costituzionale, nell' accogliere le questioni sollevate, evidenzia che, in una società profondamente mutata, vi è stata una convergente evoluzione sia della normativa nazionale, sia della giurisprudenza costituzionale, comune ed europea, che ha riconosciuto piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto. Pur persistendo le differenze di disciplina rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, quando trattasi di diritti fondamentali, questi vanno riconosciuti a tutti, senza alcuna distinzione: tale è il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione; diritto che, nel contesto di un’impresa familiare, richiede uguale tutela, versando anche il convivente di fatto, come il coniuge, nella stessa situazione in cui la prestazione lavorativa deve essere protetta, rischiando altrimenti di essere inesorabilmente attratta nell’orbita del lavoro gratuito. Irragionevole, dunque, la mancata inclusione del convivente di fatto nell' impresa familiare.

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