Con l'ordinanza n. 28443 del 27 ottobre 2025 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi della questione della rimborsabilità o meno delle spese sostenute dall'ex per apportare migliorie all'immobile di proprietà esclusiva dell'altro coniuge.
| Mercoledi 19 Novembre 2025 |
Il caso: Mevia conveniva avanti al Tribunale Tizio chiedendone la condanna al rilascio di un immobile sito in Lecce, con annesso terreno, di proprietà esclusiva dell’attrice, ed al pagamento dei canoni di locazione a decorrere da luglio 2011.
Si costituiva Tizio che, nel costituirsi, spiegava domanda riconvenzionale di rimborso di quota parte di un mutuo, intestato all’attrice, estinto con denaro del convenuto, e di riconoscimento in favore di quest’ultimo dell’indennità per l’aumento di valore del cespite controverso.
Il tribunale accoglieva la domanda principale di rilascio, nonché, in parte, quella riconvenzionale, rigettando ogni altra istanza; in sede di appello la Corte, adita da Tizio, rigettava l'impugnazione di Tizio, che quindi ricorre in Cassazione, lamentando, per quel che qui interessa, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1150 c.c. e della normativa in materia di abusivismo edilizio e del D.P.R. n. 380 del 2011, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
Per il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe erroneamente escluso il riconoscimento del rimborso delle spese sostenute per le migliorie apportate al bene, spettante al possessore di malafede, sul presupposto che le opere eseguite da Tizio avessero carattere abusivo.
La Suprema Corte, nel ritenere infondate le censure, ribadisce i seguenti principi:
a) per giurisprudenza prevalente il coniuge che, in costanza di matrimonio, provvede a sue spese ad eseguire migliorie o ampliamenti dell’immobile di proprietà esclusiva dell’altro coniuge, adibito a casa familiare o comunque in godimento al nucleo familiare, non è titolare di un diritto di possesso o compossesso sul cespite, ma soltanto di un diritto personale di godimento, come componente del nucleo familiare, di natura atipica e fondato sull’esistenza dell’unione familiare;
b) i precedenti di segno contrario, che attribuivano al coniuge non proprietario del bene la qualifica di possessore, e dunque il diritto all’indennità per migliorie di cui all’art. 1150 c.c. sono rimasti isolati e risultano comunque superati dalla successiva elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, la quale ha esteso anche al matrimonio i principi affermati in tema di convivenza more uxorio, ricostruendo la posizione del coniuge non proprietario del bene, che esegua migliorie su di esso, in termini di detenzione qualificata, avente titolo in un negozio giuridico di natura familiare;
c) una volta escluso che a Tizio possa essere riconosciuta la condizione di possessore, non v’è spazio per l’applicazione dell’art. 1150 c.c., poiché il diritto all’indennità ivi prevista non compete al detentore, ancorché qualificato, trattandosi di norma di carattere eccezionale non suscettibile di interpretazione analogica; conseguentemente non può neanche essere riconosciuto il rimborso delle spese effettuate, essendo irrilevante la sua condizione di buona o malafede.